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La realtà spegne la propaganda

La propaganda ha il fiato corto. Magnificare la patria può servire per scaldare i cuori poco prima di una tornata elettorale, affilare l’odio per gli avversari politici torna utile per i commenti sui social network, manganellare i fragili riempie le pance degli odiatori seriali, inscenare conferenze stampa senza stampa sfama al massimo qualche giornalista servile, torcere i numeri per magnificare una credibilità internazionale esalta solo i tifosi del proprio partito.

La politica è altro. La politica si impiglia nei calli delle persone che lavorano tutto il giorno per andare a letto la sera comunque poveri. L’Istat li chiama “occupati in condizioni di vulnerabilità economica” ma sono uomini e donne che faticano senza scrollarsi mai di dosso il senso del fallimento. La politica sta in mezzo al tavolo poco apparecchiato per la cena di famiglie che si impoveriscono nonostante con impegno continuino a fare quello che hanno sempre fatto ma sono più povere.

La politica se ne fotte dell’aporofobia di questo tempo, la paura dei poveri e della povertà che spinge i commentatori a fingere di non vedere. La politica – al contrario della propaganda – guarda in faccia i problemi, gli dà un nome, non ne ha paura. Dice l’Istat che la povertà in Italia si mangia il cuore di milioni di persone e famiglie vittime di una guerra ideologica che ha cancellato la povertà solo per poter dire di avere sconfitto gli avversari politici.

Scelte propagandistiche – appunto – e per niente politiche che sono state prese da una classe dirigente politica che ha lavorato poco, pochissimo, in vita sua, scambiando il mondo del lavoro con gli aperitivi della ristretta cerchia di imprenditori che possono bisbigliare all’orecchio del governo.

Se in una Repubblica fondata sul lavoro come mezzo per la libertà i lavoratori sono schiavi significa che la Costituzione è tradita fin dal suo primo articolo. Se la povertà in Italia è un affare degli occupati, oltre ai disoccupati, significa che la democrazia è una truffa elettorale. Propaganda, appunto.

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La dissoluzione democratica nella Tunisia di Saied, alleato dell’Italia

La dissoluzione dei principi democratici nella Tunisia governata dal presidente Kais Saied corre veloce. L’alleato di Giorgia Meloni nella gestione degli indesiderati flussi migratori non ha digerito un intervento dell’avvocata e opinionista Sonia Dahmani al canale televisivo Carthage+, andato in onda lo scorso 7 maggio. A turbare il regime tunisino sono state le sue insinuazioni sarcastiche sulla situazione del Paese, in particolare per quanto riguarda i migranti sub-sahariani, la cui presenza non è per nulla gradita in Tunisia.

La dissoluzione dei principi democratici nella Tunisia governata dal presidente Kais Saied corre veloce

Il giudice istruttore ha emesso un mandato di arresto sabato scorso e ha convalidato la detenzione dell’avvocata. Dahmani è indagata, in particolare, per aver diffuso “false informazioni con l’obiettivo di minare la sicurezza pubblica” e “istigazione all’odio”, ai sensi del decreto legislativo 54 emesso dal presidente Saïed il 13 settembre 2022, volto a combattere false informazioni sulle reti di comunicazione e prevede fino a 5 anni di carcere. Nella notte tra sabato e domenica sono stati fermati altri due opinionisti per le loro dichiarazioni sui media. Ieri sera la polizia tunisina è tornata nella sede dell’Ordine degli avvocati e per arrestare Mehdi Zagrouba. In un comunicato il ministro degli Interni tunisino, ha fatto sapere che è stata aperta un’indagine dalla Procura nei confronti di due avvocati in seguito all’aggressione di un poliziotto a margine della manifestazione degli avvocati a Tunisi.

Ma non è tutto. Dieci giorni fa le forze dell’ordine hanno smantellato un accampamento davanti all’edificio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e mandato centinaia di persone verso i confini del Paese. Tra questi anche donne e bambini. Un’ottantina di persone sono state arrestate. Lunedì 6 maggio, durante il Consiglio di sicurezza, è stato proprio il presidente Saied a riconoscere per la prima volta che le autorità tunisine hanno effettuato espulsioni collettive, ammettendo che circa 400 persone sono state mandate alla frontiera orientale. Come spiega l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) nell’annunciare le deportazioni, Saied ha fatto nuovamente riferimento a un presunto piano di sostituzione etnica in Tunisia, una dichiarazione in linea con la campagna razzista e xenofoba lanciata nel febbraio 2023 che ha dato il via a un’ondata di arresti e violenze contro le persone di origine sub-sahariana.

Nuova ondata di deportazioni e arresti ai danni dei migranti e della società civile da parte del presidente Saied, fedele alleato di Meloni nel contenimento dei flussi migratori

Il 10 Maggio il Comitato ONU per i diritti umani ha accolto la richiesta di misure di urgenza a tutela di un gruppo di rifugiati e richiedenti asilo di nazionalità sudanese, tra cui minori e individui bisognosi di cure, abbandonati al confine con l’Algeria. Nonostante l’ordine di protezione intimato alla Tunisia, l’11 maggio i ricorrenti hanno riferito di essere stati arrestati dalla Garde Nationale e da allora non si hanno più notizie del gruppo.

“Ribadiamo fermamente la necessità che il governo italiano e l’UE interrompano immediatamente ogni forma di collaborazione con la Tunisia mirata a favorire il trattenimento, il rimpatrio e il respingimento delle persone in un paese in cui rischiano di subire violenze e persecuzioni, e che invece si impegnino a incentivare la tutela dei diritti fondamentali e vie d’accesso sicure all’Europa” – dichiara Antonio Manganella, Direttore regionale Euromed di Avocats Sans Frontières.  Laura Boldrini (Pd) e Riccardo Ricciardi (M5s) hanno chiesto al ministro degli Esteri Tajani di riferire in Parlamento. Bocca cucita da parte della presidente del Consiglio Meloni. 

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I giovani oggi sono più soli ma socialmente impegnati

Come sono usciti i giovani dalla pandemia Più della metà crede di non essere capita dagli adulti, il 14% di loro vive in condizioni di povertà assoluta (il dato più alto dal 2014) e peggiorano i dati sul benessere mentale. Nell’ambito della campagna “Non sono emergenza” di Con i Bambini, Openpolis presenta alcuni dati, non esaustivi, per comprendere meglio la condizione degli adolescenti in uscita dalla pandemia. La didattica a distanza e le chiusure prolungate delle scuole hanno sicuramente avuto un impatto in termini di apprendimenti, pagato soprattutto dagli studenti svantaggiati. Le difficoltà economiche di alcuni nuclei familiari hanno spinto all’aumento dell’incidenza della povertà minorile, ai suoi massimi nella serie storica recente. In parallelo con la rarefazione delle relazioni sociali, il benessere psicologico è diminuito, specialmente tra le ragazze, così come sono aumentati i casi di disturbi alimentari e altri comportamenti a rischio. Eppure i giovani dimostrano una grande capacità di mobilitarsi per i temi che hanno a cuore, convinti di poter essere un effettivo agente id cambiamento del mondo in cui vivono. 

La fondazione “Con i bambini” ha rilevato la forma del disagio negli adolescenti, ma anche la voglia di attivarsi positivamente per la pace, i diritti e l’ambiente

Il 54% degli adolescenti è convinto di non essere capito dagli adulti. Il 38% lamenta che gli adulti non si mettono mai in discussione e il 37% non sopporta il loro continuo paragone con i tempi passati. Male l’avanzata della povertà. Secondo i dati preliminari dell’Istat si registra l’incidenza più elevata degli ultimi dieci anni. Nel 2023 i minori in povertà assoluta sono 1,3 milioni, il 14%. Il disagio spesso è figlio delle condizioni della famiglia. Il 33,9% dei minori è in deprivazione sociale e materiale se i genitori non sono diplomati. Significa 10 volte rispetto all’incidenza tra i figli di laureati (3%). Rispetto al pre-Covid, l’incidenza di bambini e ragazzi deprivati tra i figli di non diplomati è aumentata di quasi 5 punti percentuali. Come scrive Openpolis anche gli apprendimenti appaiono in calo rispetto al pre-pandemia. Nei test Ocse-Pisa il risultato in matematica degli studenti 15enni italiani è diminuito di oltre 15 punti tra 2018 e 2022. Un indicatore in questo senso è dato anche dalla dispersione implicita, in crescita nel corso della pandemia. È la quota di studenti che, pur portando a termine il ciclo di studi, lo completano con competenze inadeguate che sono il 9,7% ed erano il 7% nel 2019. La rarefazione dei contatti sociali iniziata con la pandemia ha impattato anche dopo. Uno studente su due ha visto diminuire la frequenza con la quale vedono amici e amiche. La rivelazione arriva dall’Istituto superiore della sanità che stima in 65.967 gli studenti che tra 11 e 17 anni con tendenza all’isolamento sociale negli ultimi sei mesi. i tratta dell’1,6% del totale, sulla base di un campione rappresentativo della popolazione studentesca. Mentre quasi 100mila (il 2,5% del campione) presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media. Il 75,9% degli studenti di 11-13 anni a rischio dipendenza da social dichiarano una difficoltà comunicativa con i genitori. 2.778 gli accessi in pronto soccorso di minori per sindromi e disturbi da alterato comportamento alimentare nel 2021. Si tratta di un aumento del 10,5% rispetto al 2019.

Il 14% dei giovani vive in condizioni di povertà assoluta (il dato più alto dal 2014)

Ma non è una generazione arresa. Quasi 2 su 3 i giovani italiani tra 15 e 24 anni che si dichiarano molto preoccupati per il cambiamento climatico. Molto più della media della popolazione (53%). In uscita dalla pandemia, nel 2022, il 6,4% dei giovani tra 14 e 17 anni ha prestato attività gratuite in associazioni di volontariato. In crescita rispetto all’anno precedente (3,9%). Il 2,9% dei giovani 18-19enni ha preso parte ad associazioni ecologiche, per i diritti civili, per la pace, più della media della popolazione pari all’1,6%.

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Non li votano nemmeno i parenti

Il candidato alle elezioni europee Pietro Fiocchi vi sarà capitato di vederlo se abitate in una sua circoscrizione elettorale. Nel manifesto il candidato di Fratelli d’Italia imbraccia un fucile e punta direttamente in faccia i malcapitati che lo osservano. Niente di nuovo, Fiocchi a Natale aveva riempito la sua Lecco con manifesti in cui appariva seduto su un poltrona con dietro un albero addobbato con bossoli colorati. 

Fiocchi è l’ex presidente e membro del consiglio d’amministrazione di Fiocchi of America Inc., la divisione americana dell’azienda. Cacciatore convinto, Fiocchi è uno dei tanti feticisti delle armi e del suo uso di questa destra che si sogna trumpiana. 

Qualche giorno fa Pietro Fiocchi è stato criticato nientedimeno che dal cugino Stefano Fiocchi, presidente del Consiglio di amministrazione della Fiocchi spa, che ha chiarito come il meloniano sia “solo un socio di minoranza della Giulio Fiocchi Holding. Non supportiamo e non finanziamo in alcun modo la sua campagna elettorale“. Non solo, Stefano Fiocchi in un’intervista al Corriere della sera ha spiegato che il parente “è stato invitato formalmente a evitare riferimenti alla società“. I cartelloni? “Un’immagine da cui ci dissociamo“, dice Stefano Fiocchi. 

Un candidato politico che vorrebbe una seggiola a Bruxelles che non verrebbe votato dai parenti ma che inevitabilmente prenderà i voti di parecchi esaltati è una fotografia paradigmatica di quest’epoca politica in cui si esagera per farsi notare, con buona pace della credibilità personale e della dignità, mentre i capi partito (in questo caso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni) imbarcano voti senza proferire verbo. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: frame del video di Pietro Fiocchi per gli auguri di Natale 2023

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Contestare uno scrittore ci sta, esaltare Hitler un po’ meno

Che uno scrittore venga contestato per le sue idee riportate in un suo libro è addirittura una buona notizia. Nell’epoca delle opinioni compresse in qualche riga o in qualche manciata di secondi la critica – anche forte – per il contenuto di un libro indica che la letteratura è viva ed è in salute. Le contestazioni sono indice di democrazia nonostante la ministra Roccella e i suoi colleghi di governo fatichino a comprenderlo. Stefano Massini stava presentando al Salone del libro di Torino il libro “Mein Kampf”. Suo ultimo testo teatrale sulla vita di Adolf Hitler.

Durante il dialogo con Danco Singer uno spettatore seduto in prima fila ha più volte espresso il suo disappunto ad alta voce. Ci sta. Gli incontri dal vivo si chiamano dal vivo perché sono partecipati da vivi in carne e ossa, in presenza, con le loro reazioni. In un tempo in cui la presidente del Consiglio celebra conferenze stampa senza stampa fingendo di salutare persone inesistenti in sala è quasi una rivoluzione. Finito l’incontro, mentre Stefano Massini si apprestava a raggiungere il tavolo del firmacopie l’uomo si è avvicinato a Massini, l’ha preso per il bavero della giacca strattonandolo e gridandogli in faccia queste parole: “Hitler aveva ragione, voi comunisti senza contraddittorio camuffate la storia e la state riscrivendo. Ma ora finalmente possiamo dire la verità”.

Quindi la verità è che Hitler aveva ragione nello sterminare ebrei, omosessuali, slavi, oppositori di guerra, dissidenti religiosi, disabili e neri. E poi c’è quell’affermazione: “Ora finalmente possiamo dire la verità”. Possono perché protetti, evidentemente. Da chi? Questa è la domanda.

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Corruzione in Liguria, spunta una talpa. Toti per ora resiste e non si dimette

Dopo l’apertura di un filone d’inchiesta sulle mascherine (gli investigatori hanno scoperto una maxi frode da un milione e 200 mila euro sulle forniture sanitarie durante il Covid) ora nell’inchiesta che ha coinvolto tra gli altri anche il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti spunta anche l’ipotesi di una talpa tra gli investigatori. Aldo Spinelli, i fratelli Arturo Angelo e Italo Maurizio Testa, sapevano di essere intercettati.

La Procura di Genova ha aperto un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio. Dalle carte dell’inchiesta si scopre che Aldo Spinelli era preoccupato per eventuali trojan all’interno del suo telefono e per questo limitava le telefonate.

Spinelli sapeva di essere intercettato e raccomandava cautela. Le opposizioni chiedono le dimissioni di Toti che insiste a rimanere in carica

Intanto in Consiglio regionale la richiesta di dimissioni del governatore (ai domiciliari) da parte delle opposizioni è unanime. “Ora o mai più, perché questa legislatura è finita”, ha detto Ferruccio Sansa, capogruppo dell’omonima lista con sui aveva sfidato Toti alle elezioni regionali nel 2020. “Adesso sono tutti contro Toti, noi queste cose le dicevamo da anni. Mi dicevano “vai in Procura” e noi ci siamo andati, perché eravamo convinti ci fossero degli illeciti”. Il capogruppo dei Cinque Stelle Fabio Tosi dice che “in un Paese normale e civile, un presidente di Regione ai domiciliari si dimette”. “È innegabile – ha detto Tosi nel corso della seduta –  gli inquirenti hanno scoperchiato un sistema di potere malato. Un sistema che denunciamo da anni in tutte le sedi, ricevendo in cambio insulti – ha aggiunto -. Volete aspettare dieci anni, che finisca il procedimento? C’è una questione morale, di dignità di ognuno di noi”. Che “l’unica strada percorribile sia quella delle dimissioni” lo pensa anche il capogruppo Pd Luca Garibaldi.

Intanto Toți si prepara al confronto con i pm. “È informato e sta continuando a leggere gli atti. Prepara materiale utile per quando sarà sentito”, ha detto il suo avvocato Stefano Savi interpellato da LaPresse. Toti presenterà istanza al gip per chiedere la revoca della misura cautelare. Poi sarà valutato il ricorso al Tribunale del Riesame. Solo dopo avere ottenuto risposte negative in tutti questi passaggi si valuterà realmente l’ipotesi delle dimissioni.

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Salvini molla Zaia e la Lega si spacca: il partito diviso in due tra il Doge e Vannacci

Salvini scarica Zaia e rischia di essere scaricato da Vannacci. Il cono d’ombra in cui si è infilato il leader della Lega diventa ogni giorno più stretto e complicato e nel partito l’insofferenza è già programmata per esplodere un minuto dopo le elezioni europee. La frase pronunciata dal ministro dei Trasporti domenica a Vicenza a margine dell’Adunata nazionale degli Alpini e al Bhr hotel di Quinto, presentando il suo libro di fronte allo stato maggiore del Carroccio della Marca, non son parole sfuggite per caso.

Matteo Salvini ha deciso di abbandonare il presidente del Veneto Luca Zaia al suo destino. Non ci saranno barricate per ottenere il terzo mandato dei presidenti di Regione. Ufficialmente Salvini dice ai suoi che “nessuno in Parlamento è d’accordo” ma la sua cerchia ristretta bisbiglia che la spaccatura ormai è ufficiale. C’è la Lega di Vannacci, extraterrestre naïf per puntare ai voti fuori dal partito, e c’è la Lega di Zaia e di Fedriga e di Giorgetti che non vede l’ora di dismettere i panni del sovranismo per tornare alle origini e “agli interessi reali dei territori”. 

Salvini scarica Zaia e rinuncia alla battaglia per il terzo mandato. Ormai la spaccatura all’interno del partito è ufficiale. E se Salvini non prende il 10% alle europee…

In Veneto Zaia e i suoi sono “costernati” – dicono così – dai temi e dai modi con cui il segretario ha annunciato la fine dell’era Zaia. Al presidente veneto non è piaciuto il riferimento a “almeno 10 nomi” che il leader leghista avrebbe pronto per sostituirlo. “Così si sminuisce tutto il lavoro fatto in questi anni”, dice un dirigente veneto. Che il Veneto rimanga alla Lega è tutt’altro che scontato. Fratelli d’Italia sta già scaldando il ministro Adolfo Urso, il coordinatore regionale di FdI Luca De Carlo e Raffale Speranzon segretario del partito a Venezia ma soprattutto molto vicino a Giorgia Meloni.

E in FdI la vicinanza conta, eccome. In Forza Italia si spera nel sorpasso della Lega alle prossime elezioni per Bruxelles per spingere la candidatura a presidente di Flavio Tosi, ex leghista ed ex sindaco di Verona. La presidenza Zaia confida nello slittamento delle elezioni al 2026 per le Olimpiadi e nel caso punterà sulla sia vice Elisa De Berti oppure sull’assessore Roberto Marcato e presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti. Marcato e Ciambetti, come Zaia, sono tra quelli che si sono opposti fermamente alla candidatura del generale Vannacci. Anche questo è un indizio. 

Il Capitano potrebbe virare su un partito personale. Già depositato il simbolo

A proposito di Vannacci, i suoi detrattori all’interno della Lega sottolineano come il generale si stia velocemente smussando durante la sua campagna elettorale. Nelle chat interne gira accompagnata da molte risate la lettera che Vannaci ha scritto per porgere le sue scuse alla pallavolista Paola Egonu che alcuni mesi fa lo ha querelato a proposito delle frasi razziste che la riguardano all’interno del suo libro. “Ritengo che le diversità e le differenze di religione, di cultura, di origini, di etnia rappresentino una ricchezza per la società”, scrive Vannacci a Egonu, “Ma come – si dice tra i leghisti – ora non ci serve più nemmeno per prendere i voti di una certa area”.

Di certo il generale nella Lega è un corpo estraneo e molti scommettono in un suo distacco appena raggiunto lo scranno a Bruxelles. Così alla fine Salvini finirebbe scaricato dall’uomo della salvezza. Se la Lega resterà sotto il 10% alle europee e verrà superata da Forza Italia al vice premier non resterà che battere in ritirata, magari rifugiandosi in quell’”Italia sicura” di cui è già stato depositato il simbolo, in compagnia dei fedelissimi Andrea Crippa, Claudio Durigon, Susanna Ceccardi. E chissà se ci sarà anche Vannacci. 

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Torcere le leggi per scavallare i diritti

L’Egitto? È un Paese sicuro nonostante le persecuzioni accertate, nonostante l’utilizzo della tortura, nonostante le forme di detenzioni degradanti, nonostante Giulio Regeni che purtroppo è uno dei simboli di tutto questo, nonostante il rapporto di Amnesty International che scrive di “migliaia di persone critiche verso il governo o percepite come tali rimanevano arbitrariamente detenute e/o perseguite ingiustamente. I casi di sparizione forzata e di tortura e altro maltrattamento sono rimasti dilaganti”. 

Tunisia È un Paese sicuro nonostante nel 2023 “sono continuate le gravi violazioni dei diritti umani, comprese le restrizioni alla libertà di parola, la violenza contro le donne e le restrizioni arbitrarie dovute allo stato di emergenza del Paese”, come scrive Human Rights Watch (Hrw), World Report 2023).

Il governo italiano ha aggiornato la lista dei Paesi sicuri (dm 7 maggio 2024): Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. L’elenco torna utile alle politiche di respingimenti illegali di Giorgia Meloni e probabilmente all’Unione europea che verrà. Legalizzare l’inferno però non lo rende vivibile. È solo un gioco sporco di riabilitazione per oliare i rimpatri. 

Assistiamo all’ennesima torsione delle leggi per scavalcare i diritti, è bastato un colpo di penna, ed è tutto così degradante che non vengono le parole per scriverlo.

Buon martedì. 

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Il “tetto terroni” del ministro Valditara

Dopo averci edotti sull’inutilità dello studio dei dinosauri il ministro Giuseppe Valditara ha deciso di darci un prova lampante di cosa sia il razzismo introiettato di chi vorrebbe sembrare antirazzista. Per difendere il suo segretario e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini che ha proposto un tetto del 20% agli alunni stranieri in classe il ministro rispondendo alla segretaria del Pd Elly Schlein scrive su X: “Schlein mistifica la realtà e dimostra ancora una volta di non conoscere la scuola: i tetti per gli stranieri li ha introdotti un governo di sinistra. Nessun altro governo, come questo, ha fatto così tanto per la inclusione, partendo dal Mezzogiorno e prossimamente per gli studenti stranieri”. 

Dopo averci edotti sull’inutilità dello studio dei dinosauri il ministro Valditara ha deciso di darci un prova lampante di cosa sia il razzismo introiettato di chi vorrebbe sembrare antirazzista

Innanzitutto un errore da matita rossa: il tetto agli stranieri (del 30%) è in una circolare (la 2/2010) emanata nel 2010 dall’allora ministra dell’istruzione Mariastella Gelmini. Presidente del Consiglio a quel tempo era Silvio Berlusconi che tutto è stato tranne che di sinistra. Ma l’errore da matita blu che svela la natura razzista del post del ministro è in quell’inclusione “partendo dal Mezzogiorno” equiparata a quella per studenti stranieri.

In poche parole il ministro vorrebbe essere ringraziato perché gli studenti siciliani, campani o calabresi possono frequentare la scuola pubblica. La gente del sud sostanzialmente è gente “straniera” che ottiene il permesso grazie alla magnanimità del governo di essere considerata italiana a tutto tondo. 

Ora il ministro (che tra l’altro per nostra disgrazia è anche un insegnante) ci spiegherà di essere stato frainteso o che è colpa del suo telefono. O forse vorrà essere ringraziato per non avere messo il tetto pure ai terroni. 

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Von der Leyen scontenta tutti. Tour elettorale a Roma con l’agenda mezza vuota

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen da ieri sera è in Italia ma il clima è molto cambiato rispetto alle sue visite precedenti.

La candidata al bis del Partito popolare europeo alle prossime elezioni non ha partecipato all’apertura della campagna elettorale di Forza Italia al Salone delle fontane dell’Eur, ma ha incontrato il leader azzurro, Antonio Tajani, con cui ha passato parte del pomeriggio.

Nessun incontro, invece, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nonostante le due negli ultimi mesi avessero moltiplicato le occasioni pubbliche insieme a partire dall’alluvione in Emilia Romagna fino alle trasferte internazionali dalla Tunisia all’Egitto.

Dubbi su Ursula pure da Forza Italia

Forza Italia prova a dire che la partecipazione di von der Leyen all’evento del partito non era prevista. L’unico appuntamento confermato dalla staff è stato quello in Corso Rinascimento, di fronte al Senato, dove la candidata del Ppe ha incontrato alcuni giovani proseguendo nella sua campagna di sensibilizzazione anti-astensione in vista del voto dell’8-9 giugno.

Di sicuro non le ha riservato i soliti onori il presidente del partito Antonio Tajani, pur avendo passato con lei diverse ore. Per capire l’aria che tira tra i berlusconiani basta riascoltare le parole pronunciate nelle ultime ore dalla vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, durante un comizio a Stradella, in provincia di Pavia: “Lo dico da orgogliosa appartenente al Ppe, Ursula Von der Leyen è ormai un cavallo zoppo”.

Una bocciatura netta: “L’appuntamento delle elezioni europee – ha aggiunto – è cruciale anche per dichiarare ufficialmente chiuso il capitolo della maggioranza Ursula”.

Meloni si smarca da von der Leyen

A che punto sia il rapporto con Giorgia Meloni e con il gruppo europeo Ecr di cui Fratelli d’italia fa parte è chiaro da settimane.

La presidente del Consiglio ha chiarito di avere collaborato con “von der Leyen per spirito istituzionale” ma che ora con le elezioni alle porte gli equilibri sono cambiati.

Fratelli d’italia vuole evitare di rimanere schiacciata dall’antieuropeismo della Lega di Salvini che si propone come unica forza della maggioranza scontenta di questa Unione Europea. Per questo, nonostante le continue avance di von der Leyen, Meloni preferisce tenere un profilo basso.

La spitzenkandidat Ppe al bivio

La spitzenkandidat dei popolari rischia di avere osato una mossa che scontenta a tutti: troppo di destra per i moderati e troppo moderata per la destra. Così ora la candidata del Ppe rischia di trovarsi in mezzo al guado.

“È più che mai importante – ha detto von der Leyen all’Ansa provando a coinvolgere Meloni – che un’ampia coalizione di forze pro-europee cooperi nel momento in cui sono in gioco i nostri interessi comuni. Lavorerò quindi con tutti coloro che sono chiaramente impegnati a favore dello Stato di diritto, dell’Unione europea e dell’Ucraina”.

Ospite della trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio sul Nove, la presidente della Commissione Ue ha voluto specificare che “l’Italia è molto ben messa nell’implementazione del Pnrr” dicendosi disponibile a collaborare con tutti i partiti “pro-Ue, pro-Kiev e pro-Nato”, includendo quindi anche Fratelli d’italia.

Dubbi e riserve su Ursula

L’apertura a destra di von der Leyen nel tentativo di recuperare consensi intorno alla sua candidatura non è comunque sfuggito al candidato presidente di Commissione dei Socialist, Nicolas Schmit, che in un’intervista a La Stampa si è detto “scioccato” per le aperture a destra della candida del Ppe.

La spitzenkandidat dei popolari europei rischia di avere osato una mossa che scontenta tutti: troppo di destra per i moderati e troppo moderata per la destra. E nemmeno gli uomini forti del Ppe (di cui Tajani è stato presidente) sembrano convinti.

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