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Il lavoro non fa la felicità: così i valori della società sono cambiati – Lettera43

Un rapporto Censis-Eudaimon certifica che la maggior parte delle persone rifiuta straordinari e si nega a call e mail extra, preferendo badare a gestione dello stress e relazioni. E secondo un’altra ricerca un dipendente su due non è soddisfatto del proprio ruolo. C’entrano anche gli stipendi da fame. Oltre a uno scollamento di imprenditori e classe dirigente dalla realtà.

Il lavoro non fa la felicità: così i valori della società sono cambiati

C’è una novità che si fatica a intercettare nel dibattito pubblico: il lavoro non è più l’attività di vita per eccellenza intorno alla quale tutto il resto deve strutturarsi. Sta scritto nero su bianco nel settimo rapporto “Il welfare aziendale e la sfida dei nuovi valori del lavoro” firmato Censis-Eudaimon. Si scopre che la grande maggioranza dei lavoratori esplicitamente indica che nel prossimo futuro ha intenzione di ridurre il tempo dedicato al lavoro, mentre quote significative già oggi, qualora possibile, proteggono il proprio tempo di non lavoro rifiutando straordinari, negandosi a call, mail e a ogni attività extra rispetto alle mansioni definite. E quote alte di occupati dichiarano che, rispetto a qualche anno fa, il lavoro è meno importante, perché nella loro vita è cresciuta la rilevanza di attività personali alternative.

Più attenzione al benessere psicofisico e alle relazioni

I numeri ci dicono che il 93,7 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici occupati in Italia considera molto importante il benessere e la felicità quotidiana. La stragrande maggioranza dei lavoratori ritiene che dedicare più tempo a sé stessi e alla propria famiglia sia la strada per aumentare il benessere. L’82,8 per cento del campione del Censis si è dichiarato più attento rispetto al passato al proprio benessere psicofisico, alla sua salute, alla gestione dello stress e alle relazioni. L’87,3 per cento degli occupati ritiene un errore fare del lavoro il centro della propria vita e per il 52,1 per cento il lavoro oggi influenza meno la vita privata rispetto al passato. Anche per questo, il 67,7 per cento degli occupati vorrebbe ridurre il tempo dedicato all’attività lavorativa nel prossimo futuro.

Solo il 49 per cento delle persone si ritiene felice del proprio lavoro

La quarta edizione della ricerca promossa dall’Associazione ricerca felicità 2024 restituisce risultati simili. Solo il 49 per cento del campione si ritiene felice del proprio lavoro. La percentuale è particolarmente negativa tra i lavoratori e le lavoratrici del Nord-Ovest (46 per cento), tra i colletti blu (44 per cento) e tra i più giovani (44 per cento).

Il lavoro non fa la felicità: così i valori della società sono cambiati
Il lavoro non è più al centro delle priorità degli italiani (Imagoeconomica).

Spiega Sandro Formica, vicepresidente e direttore scientifico dell’Associazione ricerca felicità: «Il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Non è un’impressione, non è trascurabile, è un fatto. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente anche uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76 per cento che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35 per cento non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41 per cento il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47 per cento non aiuta a capire sé stessi».

Lavoro deriva da “pena”, “sforzo”, “fatica”, “sofferenza”

Siamo una Repubblica fondata sul lavoro? Una Repubblica fondata sul lavoro significa che il lavoro realizza la Repubblica. “Lavoro” in italiano, labour in inglese, travail in francese, trabajo in spagnolo, arbeit in tedesco. “Lavoro” e labour derivano dal latino labor che significava “pena”, “sforzo”, “fatica”, “sofferenza” e ogni attività penosa, e corrispondeva esattamente al greco πόνος. Nel XII secolo, insieme a labeur era apparso ouvrier, dal latino operaius, “uomo di pena”, che rinvia esso stesso a due parole: opus, “opera”, e operae, gli “impegni”, le “obbligazioni” che devono essere assolti sia dall’affrancato verso l’antico padrone, sia di fronte a un cliente nel caso di un contratto d’affari tra uomini liberi (locatio operis faciendi).

Il lavoro non fa la felicità: così i valori della società sono cambiati
Lavoratori in una raffineria di gas naturale (Imagoeconomica).

Nell’etimologia latina nessun riferimento alla gioia o al piacere

Non è presente, nell’etimologia latina, alcun riferimento alla gioia o al piacere come effetto del lavoro stesso. Ma se andiamo ancora più indietro nella ricerca delle origini del termine lavoro, arriviamo alla radice sanscrita labh (a sua volta dalla più antica radice rabh) che, in senso letterale, significa afferrare, mentre, in senso figurato, vuol dire orientare la volontà, il desiderio, l’intento, oppure intraprendere, ottenere. Se ci fermiamo a questa etimologia il lavoro diventa il luogo dove l’essere umano afferra il desiderio, orienta la volontà, intraprende e ottiene per se stesso, per il suo bisogno di autodeterminazione e per il suo benessere. E nel lavoro si professano i propri ideali, si alimenta la Repubblica italiana.

I problemi: stipendi da fame e classe dirigente scollata dalla realtà

Qui sorge la domanda: ma siamo davvero sicuri che oltre agli stipendi da fame (che non crescono da decenni) il “problema” di certa nostra imprenditoria non sia l’incapacità di cogliere l’evoluzione dei valori? Quanta classe dirigente c’è in grado di comprendere una soddisfazione personale che non derivi dal successo (pubblico) e dal potere? Siamo sicuri che basti minimizzare tutto come pigrizia? A meno che – il dubbio è legittimo – la ricerca della felicità sia un hobby riservato solo al circolo dei ricchi.

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Un processo tira l’altro. Sorci Verdini per Denis & Son

Piccolo riassunto dei guai con la giustizia della famiglia Verdini, capitanata dal patriarca Denis che negli anni è stato uno dei più fedeli collaboratori di Silvio Berlusconi (Forza Italia), poi amicale consigliere di Matteo Renzi (quindi Italia viva) e infine quasi parente acquisito di Matteo Salvini (infine Lega).

Piccolo riassunto dei guai con la giustizia della famiglia Verdini, capitanata dal patriarca Denis

Denis è stato condannato in via definitiva a 6 anni per bancarotta nelle vicende del Credito Cooperativo Fiorentino, a 5 anni e 6 mesi per il fallimento della Società Toscana Edizioni ed a 3 anni e 10 mesi per il fallimento di un’impresa edile di Campi Bisenzio (FI), condanne che sta scontando nel carcere di Sollicciano. Suo figlio Tommaso è finito agli arresti domiciliari lo scorso 28 dicembre nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sulle commesse Anas. Il ministro Salvini aveva detto di essere certo della sua innocenza.

Tommaso Verdini ha chiesto di patteggiare una pena a due anni e 10 mesi. La Procura di Roma non si è ancora pronunciata sulla richiesta avanzata dai suoi difensori. Nelle scorse settimane i pm di piazzale Clodio hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato per reati di corruzione e turbativa d’asta anche per Fabio Pileri, socio di Tommaso Verdini nella società Inver.

La figlia Diletta invece ha patteggiato un anno di reclusione. Secondo l’accusa, si sarebbe spacciata per avvocato con una badante romena per seguirla in un processo di lavoro. Poi avrebbe scritto anche una finta sentenza, vantandosi con la cliente di aver vinto la causa. La vicenda è emersa grazie a un servizio della trasmissione Le iene. Non male, eh?

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Nervi tesi tra Pd e M5S per le primarie saltate a Bari. Schlein: “Così si aiuta la destra”. Conte: “La legalità non è un optional”

Il primo che prova a metterci una pezza è lo storico dirigente del Partito democratico Goffredo Bettini che ospite al programma Omnibus su La7 lancia un appello “sia Conte che al Pd per ritirare i rispettivi candidati e trovare una soluzione che possa di nuovo ricostruire e riallacciare un processo unitario e rendere così più probabile, direi quasi certa, la vittoria del centrosinistra a Bari”. Il dem ci tiene a precisare che “nello statuto del PD ci sono le primarie” ma “le primarie, in certi caso, sono anche un po’ una trappola: quando si tratta di fare l’unità tra due partiti, in situazioni in cui uno dei due è stato all’opposizione e l’altro ha governato, occorre trovare una candidatura che sia il più possibile unitaria”. 

Scambio di accuse tra i Pd e 5 stelle. Ognuno chiede all’altro di convergere sul proprio candidato

L’ennesima inchiesta su un presunto voto di scambio che ha portato all’arresto di otto persone, tra cui il sindaco di Triggiano, Antonio Donatelli e Sandro Cataldo, marito dell’assessora regionale ai Trasporti, Anita Maurodinoia indagata annuncia uno strascico lungo nei rapporti tra il Pd e il Movimento 5 stelle. Saltate le primarie tra Vito Leccese (uomo del sindaco di Bari Decaro e del presidente Emliano) sostenuto dal PD e l’avvocato Laforgia sostenuto dal M5s ora a traballare è il percorso che stavano costruendo Elly Schlein e Giuseppe Conte. “A me dispiace, perché era la prima volta, poteva essere un laboratorio: il Movimento Cinque Stelle si apriva alle primarie, che hanno sempre caratterizzato la vita democratica, le scelte democratiche dei candidati, da parte del Partito Democratico. Di questo sono dispiaciuto”, dice il sindaco di Bari Antonio Decaro. 

Il sindaco dem di Firenze Dario Nardella invita Conte a ripensare la sua “decisione di andare da solo”: “non possiamo permetterci di regalare Bari, che è stata amministrata molto bene, alla destra solo perché siamo divisi. – dice Nardella – Dobbiamo fare ogni sforzo per trovare ciò che ci può riportare uniti, tenendo conto che c’era un accordo tra Pd e M5s per fare le primarie”. 

Conte: “l’accusa di slealtà da parte del Pd la rispedisco al mittente”

Conte non ci sta a fare la figura del sabotatore. Su potenziali alleanze a livello nazionale le “conseguenze ci sono se il Pd continua di parlare di slealtà da parte nostra” è un’accusa “offensiva che respingo al mittente”, ha detto il presidente del Movimento cinque stelle”. “Il Pd non ha rispetto dei partiti con cui lavora. Se non ritirano le accuse di slealtà sarà sempre più difficile lavorare con il Pd”, ha aggiunto. L’ex presidente del Consiglio ci tiene a precisare che di Bari aveva già parlato con Schlein mercoledì, preannunciando che ulteriori sviluppi dell’inchiesta avrebbero determinato lo scioglimento dei patti. Il candidato Laforgia sostenuto dal M5s e Sinistra italiana scrive una nota per dire che “negare una interlocuzione e attribuire a Conte ogni decisione è semplicemente irresponsabile, prima che falso”. Per Laforgia il suo avversario Vito Leccese, sostenuto da Pd e Verdi, “non può negare che sin dalla mattina di ieri ho parlato con lui, e poi con altri autorevoli interlocutori del PD – e non solo – per cercare una soluzione unitaria. Sa bene – dice il candidato grillino – che sino a pochi minuti prima di arrivare in piazza della Libertà ho chiesto a lui e al PD, nella sua massima espressione, di condividere la decisione di sospendere il voto delle primarie”. Poco dopo Conte incalza: “Michele Laforgia – dice il leader del Movimento –  è una personalità della società civile che non abbiamo indicato noi, ditemi perché non va bene”. Fratoianni chiede ai candidati di smettere di litigare e “di trovare una soluzione”.

Schlein: così si aiuta la destra

Ma non sembrano esserci i presupposti. “Chi ha iniziato a fare politica con palazzo Chigi capisco che non abbia dimestichezza con la militanza e con i gazebo. Pretendo però che si abbia rispetto. È una sberla per tutta la gente perbene che si stava preparando ad andare a votare. Così – ha detto Schlein in serata – aiutano la destra”. “Per il M5S la legalità non è un valore negoziabile, non è merce di scambio”, replica a stretto giro Conte.

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Yermak: “Per l’Ucraina sta scadendo il tempo”

La difesa dell’Ucraina non può permettersi di aspettare i tempi della politica e ora è in seria difficoltà. “Il problema per noi è il tempo: vorrei sottolineare che adesso è un momento critico per l’Ucraina. È molto importante che il pacchetto di aiuti venga approvato questo mese (dal Congresso degli Stati Uniti) perché nel frattempo ci sta costando vite”, ha dichiarato in un’intervista a Politico il capo di gabinetto del presidente ucraino Andry Yermak. “Il duro colpo che l’Ucraina ha subito nelle ultime tre settimane fa parte della campagna russa in vista di una grande offensiva… che potrebbe iniziare alla fine di maggio o all’inizio di giugno. Senza sistemi di difesa aerea è impossibile difendere le nostre città”, ha aggiunto.

Il capo di gabinetto del presidente ucraino Andry Yermak parla di “momento critico per l’Ucraina” e chiede che il pacchetto di aiuti Usa venga approvato questo mese

Nella notte le forze russe hanno attaccato l’Ucraina con 5 missili e 13 droni kamikaze. “Durante la notte e la mattina del 5 aprile, sono stati sventati diversi tentativi da parte del regime di Kiev di effettuare attacchi terroristici utilizzando droni aerei”, ha affermato in un comunicato il ministero della Difesa russo, precisando che in totale sono stati abbattuti o intercettati 53 droni, tra cui 44 sopra la regione di Rostov. 

L’esercito di Kiev avrebbe risposto effettuando con successo un attacco all’aeroporto di Morozovsk nella regione russa di Rostov, a seguito del quale sarebbero stati distrutti almeno 6 aerei. Lo riporta Unian citando fonti informate. In particolare si tratterebbe di bombardieri Su-24, Su-24M e Su-34 che la Russia utilizza per sganciare bombe aeree guidate sulle posizioni delle forze armate in prima linea e sulle città ucraine.

La Russia intanto insiste sulla “pista ucraina” per l’attacco al municipio di Crocus in cui sono morte 144 persone e 360 sono rimaste ferite. Nonostante l’attentato sia stato rivendicato dall’Isis gli investigatori russi fanno sapere di avere trovato nei telefono dei dodici sospettati arrestati “foto di uomini in mimetica con la bandiera Ucraina sullo sfondo di edifici distrutti”, si legge nella nota degli investigatori che non aggiungono ulteriori dettagli. “Questi dati potrebbero testimoniare un legame tra l’attacco e lo svolgimento dell’operazione militare speciale”, si legge nel comunicato stampa, utilizzando l’eufemismo imposto dal Cremlino per descrivere l’offensiva in Ucraina.

 

Leggi anche: Moody’s, il piano Nato farebbe esplodere il debito pubblico. Secondo l’agenzia di rating l’Italia è tra i paesi più a rischio

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Lobby fossile a tutto gas. 57 aziende causano da sole l’80% delle emissioni

Un nuovo studio dimostra che solo 57 produttori di di petrolio, gas, carbone e cemento sono direttamente collegati all’80% delle emissioni mondiali di gas serra dall’accordo sul clima di Parigi del 2016. Una potente schiera di società (controllate dagli stati o multinazionali in mano agli azionisti) che sarebbero – secondo il report di Carbon Majors Database – sarebbe il principale motore della crisi climatica.

Solo 57 produttori di di petrolio, gas, carbone e cemento sono direttamente collegati all’80% delle emissioni mondiali di gas serra

Nonostante nel 2016 i governi si siano impegnati a tagliare i gas serra l’analisi rileva che la maggior parte dei grandi produttori ha addirittura aumentato la produzione di combustibili fossili e le relative emissioni nei sette anni successivi a quell’accordo rispetto ai sette anni precedenti. Dal database rilasciato ieri dei 122 maggiori inquinati al mondo i ricercatori scrivono che il 65% delle aziende statali e il 55% delle aziende del settore privato hanno aumentato la produzione in barba agli accordi sottoscritti dagli Stati. In testa alle aziende inquinatrici svetta il colosso statunitense ExxonMobil che avrebbe prodotto 3,6 gigatonnellate di CO2 in sette anni, ovvero l’1,4% del totale globale. Seguono Shell, BP, Chevron e TotalEnergies con l’1% delle emissioni globali a testa. Dai dati risulta evidente l’aumento di emissioni legate allo sfruttamento di carbone, nonostante l’Agenzia internazionale dell’energia abbia più volte avvertito che non è possibile aprire nuovi giacimenti di petrolio e gas se il mondo deve rimanere entro i limiti stabiliti del riscaldamento globale.

L’elenco del Carbon Majors Database. ExxonMobil capofila tra gli inquinatori

Gli scienziati concordano nel ritenere che le temperature globali si stiano avvicinando rapidamente all’obiettivo di Parigi, l’aumento entro gli 1,5°, con conseguenze potenzialmente disastrose per le persone e l’ambiente. “È moralmente riprovevole per le aziende continuare ad espandere l’esplorazione e la produzione di combustibili al carbonio di fronte alla consapevolezza decennale che i loro prodotti sono dannosi”, ha detto Richard Heede, che ha istituito il set di dati Carbon Majors nel 2013. “Non si possono incolpare i consumatori che sono stati costretti a dipendere dal petrolio e dal gas a causa della cattura del governo da parte delle compagnie petrolifere e del gas”, ha aggiunto. Tzeporah Berman, direttore del programma internazionale presso Stand.earth e presidente del Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, spiega che “la ricerca di Carbon Majors ci mostra esattamente chi è responsabile del calore letale, del clima estremo e dell’inquinamento atmosferico che minaccia le vite e scatena il caos sui nostri oceani e sulle nostre foreste. Queste aziende – dice Berman – hanno realizzato miliardi di dollari di profitti negando il problema e ritardando e ostacolando la politica climatica. Stanno spendendo milioni in campagne pubblicitarie sull’essere parte di una soluzione sostenibile, pur continuando a investire in una maggiore estrazione di combustibili fossili”.

Il 65% dei colossi statali e il 55% di quelli privati hanno aumentato la produzione in barba alle intese di Parigi

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia il consumo globale di carbone è aumentato di quasi l’8% dal 2015 al 2022, raggiungendo un massimo storico di 8,3 miliardi di tonnellate nel 2022. Questa ricerca rileva che dal 2015 al 2022, le emissioni di CO2 e legate alla produzione di carbone di proprietà degli investitori sono diminuite del 28%, mentre le emissioni di CO2 e legate alla produzione di carbone delle società statali e degli Stati nazionali sono aumentate rispettivamente del 29% e del 19%. È il paradosso di una lotta al cambiamento climatico che si limita a essere pronunciata più che praticata.

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Nervi tesi tra Pd e M5s per le primarie saltate a Bari

Il primo che prova a metterci una pezza è lo storico dirigente del Partito democratico Goffredo Bettini che ospite al programma Omnibus su La7 lancia un appello “sia Conte che al Pd per ritirare i rispettivi candidati e trovare una soluzione che possa di nuovo ricostruire e riallacciare un processo unitario e rendere così più probabile, direi quasi certa, la vittoria del centrosinistra a Bari”. Il dem ci tiene a precisare che “nello statuto del PD ci sono le primarie” ma “le primarie, in certi caso, sono anche un po’ una trappola: quando si tratta di fare l’unità tra due partiti, in situazioni in cui uno dei due è stato all’opposizione e l’altro ha governato, occorre trovare una candidatura che sia il più possibile unitaria”. 

Scambio di accuse tra i Pd e 5 stelle. Ognuno chiede all’altro di convergere sul proprio candidato

L’ennesima inchiesta su un presunto voto di scambio che ha portato all’arresto di otto persone, tra cui il sindaco di Triggiano, Antonio Donatelli e Sandro Cataldo, marito dell’assessora regionale ai Trasporti, Anita Maurodinoia indagata annuncia uno strascico lungo nei rapporti tra il Pd e il Movimento 5 stelle. Saltate le primarie tra Vito Leccese (uomo del sindaco di Bari Decaro e del presidente Emliano) sostenuto dal PD e l’avvocato Laforgia sostenuto dal M5s ora a traballare è il percorso che stavano costruendo Elly Schlein e Giuseppe Conte. “A me dispiace, perché era la prima volta, poteva essere un laboratorio: il Movimento Cinque Stelle si apriva alle primarie, che hanno sempre caratterizzato la vita democratica, le scelte democratiche dei candidati, da parte del Partito Democratico. Di questo sono dispiaciuto”, dice il sindaco di Bari Antonio Decaro. 

Il sindaco dem di Firenze Dario Nardella invita Conte a ripensare la sua “decisione di andare da solo”: “non possiamo permetterci di regalare Bari, che è stata amministrata molto bene, alla destra solo perché siamo divisi. – dice Nardella – Dobbiamo fare ogni sforzo per trovare ciò che ci può riportare uniti, tenendo conto che c’era un accordo tra Pd e M5s per fare le primarie”. 

Conte: “l’accusa di slealtà da parte del Pd la rispedisco al mittente”

Conte non ci sta a fare la figura del sabotatore. Su potenziali alleanze a livello nazionale le “conseguenze ci sono se il Pd continua di parlare di slealtà da parte nostra” è un’accusa “offensiva che respingo al mittente”, ha detto il presidente del Movimento cinque stelle”. “Il Pd non ha rispetto dei partiti con cui lavora. Se non ritirano le accuse di slealtà sarà sempre più difficile lavorare con il Pd”, ha aggiunto. L’ex presidente del Consiglio ci tiene a precisare che di Bari aveva già parlato con Schlein mercoledì, preannunciando che ulteriori sviluppi dell’inchiesta avrebbero determinato lo scioglimento dei patti. Il candidato Laforgia sostenuto dal M5s e Sinistra italiana scrive una nota per dire che “negare una interlocuzione e attribuire a Conte ogni decisione è semplicemente irresponsabile, prima che falso”. Per Laforgia il suo avversario Vito Leccese, sostenuto da Pd e Verdi, “non può negare che sin dalla mattina di ieri ho parlato con lui, e poi con altri autorevoli interlocutori del PD – e non solo – per cercare una soluzione unitaria. Sa bene – dice il candidato grillino – che sino a pochi minuti prima di arrivare in piazza della Libertà ho chiesto a lui e al PD, nella sua massima espressione, di condividere la decisione di sospendere il voto delle primarie”. Poco dopo Conte incalza: “Michele Laforgia – dice il leader del Movimento –  è una personalità della società civile che non abbiamo indicato noi, ditemi perché non va bene”. Fratoianni chiede ai candidati di smettere di litigare e “di trovare una soluzione”. Non sarà oggi. I nervi sono troppo tesi. 

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Elezioni europee: sono i giovani ad avere voglia di votare

Il primo dato è che i giovani dipinti come disinteressati e oziosi si interessano delle prossime elezioni europee più degli adulti. A votare per Bruxelles avrebbe intenzione di votare il 47% dei giovani italiani. l dato è positivo se si tiene conto che l’affluenza complessiva probabile è stimata al 45%, con un dato più basso per gli over 54 al 43%.

I giovani finora dipinti come disinteressati e oziosi si interessano delle prossime elezioni europee

Sono i risultati d un’indagine del Consiglio nazionale dei giovani (Cng), realizzata in collaborazione con l’Istituto Piepoli. Se teniamo conto che nel 2019 la partecipazione al voto in Italia è stata del 54,5% e che i sondaggisti concordano  nel prevedere una sensibile flessione che confermerebbe il trend complessivo di discesa negli ultimi 15 anni (al contrario degli altri paesi Ue in cui il dato è in crescita) il dato di partecipazione giovanile conferma i risultati dell’indagine Eurobarometro sulle ultime elezioni europee che mostrano, infatti, come nel 2019 l’aumento complessivo dell’affluenza alle urne è stato determinato principalmente dalle giovani generazioni in tutta l’Ue. In particolare, i giovani cittadini sotto i 25 anni (+14 punti percentuali sul 2014) e i 25-39enni (+12 punti percentuali sul 2014), con un’affluenza complessiva alle passate elezioni europee del 50,6%, la più alta dal 1994, con 19 Stati membri.

A votare per Bruxelles avrebbe intenzione di votare il 47% dei giovani italiani ma solo l’8% dei giovani si ritiene molto soddisfatto dal dibattito politico

A interrogarsi piuttosto dovrebbero essere i partiti che animano il dibattito elettorale. Dallo studio, eseguito su un campione rappresentativo della popolazione italiana, emerge, come per gli under 35 i temi affrontati nella campagna elettorale non riflettano le proprie preoccupazioni e priorità. Solo l’8% dei giovani, infatti, si ritiene molto soddisfatto dal dibattito politico sulle europee, mentre 6 giovani su 10 reputano che quest’ultimo non stia affrontando adeguatamente le criticità e le esigenze che vivono. Per i giovani, i temi di cui si deve discutere sono innanzitutto quelli relativi a lavoro e occupazione (39%), a cui seguono, in ordine di preferenza, scuola e università (18%), formazione post-scuola/università (18%) per lo sviluppo di nuove competenze professionali, e il cambiamento climatico (9%). Questi dati rivelano un urgente bisogno di riorientare il focus del dibattito politico verso questioni che hanno un impatto diretto sul futuro professionale e personale di ragazze e ragazzi.

“I dati che abbiamo rilevato sull’intenzione di voto – commenta la presidente del Consiglio nazionale dei giovani, Maria Cristina Pisani -dimostrano, ancora una volta, che sono soprattutto le giovani generazioni a voler contribuire alle scelte collettive, non solo del nostro Paese ma anche dell’Unione europea, attraverso l’esercizio del diritto di voto”. “È la dimostrazione – osserva Pisani – che sono per lo più i giovani a voler esercitare con responsabilità il loro diritto al voto, anche se solo l’8% dei giovani si ritiene molto soddisfatto dal dibattito di queste settimane sulle europee, ma, nonostante ciò, mostrano, ancora una volta, la volontà di contribuire alle scelte collettive non solo del nostro Paese ma anche dell’Unione Europea, indicando delle priorità chiare”. 

Chissà se i partiti cominceranno a parlare ai giovani, oltre che parlare spesso a vanvera dei giovani. 

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Moody’s, il piano Nato farebbe esplodere il debito pubblico

L’economia di guerra potrebbe fare esplodere il debito pubblico. A certificarlo non è una sparuta minoranza di pacifisti ma l’agenzia di rating Moody’s. I ministri degli esteri della Nato hanno iniziato ieri la discussione di un piano da 100 miliardi di dollari proposto dal segretario generale, Jens Stoltenberg, per mettere al riparo il sostegno all’Ucraina dagli stravolgimenti nel caso di elezione negli Usa di Donald Trump

La Nato spinge per un programma quinquennale da 100 miliardi di dollari

Se approvato il pacchetto quinquennale di aiuti permetterebbe, nelle intenzioni di Stoltenberg, una maggiore autonomia rispetto alle decisioni politiche dei singoli stati. La proposta arriva mentre negli Usa il presidente Biden fatica a ottenere l’approvazione dal Congresso di un pacchetto di aiuti a Kiev di 60 miliardi di dollari apertamente contestato da Trump. “I ministri degli Esteri discuteranno il modo migliore per organizzare il sostegno della Nato all’Ucraina, per renderlo più potente, prevedibile e duraturo”, ha detto ieri un funzionario della Nato al Financial Times, aggiungendo che l’obiettivo è di chiudere un accordo entro il vertice previsto a luglio a Washington. 

Il nuovo piano del Nato sposterebbe il baricentro verso l’Europa, costringendo i paesi del’Unione a farsi carico degli aiuti all’Ucraina indipendentemente dalle scelte prese a Bruxelles. Si tratta, di fatto, dell’ennesima accelerazione all’economia “di guerra” auspicata da diversi leader europei. Affidare alla Nato il ruolo di “coordinare il sostegno militare all’Ucraina” – come ha detto ieri il segretario Stoltenberg – significherebbe sottrarre la questione militare ancora di più alla politica.

L’agenzia di rating Moody’s avvisa: in Italia il 2% di spese militari farebbe schizzare il debito pubblico al 147%

Sul mastodontico progetto di spesa è arrivato però l’avviso di Moody’s che ha sottolineato l’infausto impatto che una decisione del genere potrebbe avere sulle economie dei paesi membri. Per l’agenzia di rating un imponente riarmo dei paesi Nato impatterebbe sugli sforzi per abbattere il debito pubblico. L’agenzia sottolinea come nel caso italiano un eventuale raggiungimento della soglia del 2% per le spese militari farebbe schizzare il rapporto tra debito e Pil al 147% entro il 2030. Moody’s sottolinea nel suo report anche l’inevitabile impatto sociale che l’aumento delle spese militari porterebbe con sé: “dato il fardello che rappresenterebbe un aumento della spesa finanziato esclusivamente a debito, – scrive Moody’s –  i governi probabilmente cercheranno di introdurre misure che aumentino le entrate o introdurranno aggiustamenti alla spesa esacerbando il conflitto sociale“. “Queste pressioni – si legge nel documento di Moody’s intitolato ‘Higher defence spending will strain budgets, but is credit positive for companies‘ – probabilmente saranno sentite più acutamente nei Paesi già altamente indebitati come Spagna e Italia. Tuttavia anche la Germania troverà difficoltà nel finanziare una simile spesa indebitandosi, dato il suo tetto al debito sancito dalla Costituzione”.

Diversi analisti e organizzazioni ripetono da mesi che in Italia l’economia di guerra sia una scure sullo stato sociale

Che l’economia di guerra sia una scure sullo stato sociale in Italia lo ripetono da mesi, inascoltati, diversi analisti e organizzazioni. Ogni volta che qualcuno esprime dei dubbi sul pericoloso impatto del riarmo sulla spesa pubblica si sollevano le accuse di collaborazionismo con il nemico, calunniando il pacifismo come è sempre accaduto in tempi di guerra. Che l’economia di guerra sia utile solo ai signori della guerra l’ha ripetuto per una vita intera il fondatore di Emergency Gino Strada. La risposta ogni volta è la stessa: i pacifisti sono solo dei sabotatori. Ora sarà difficile accusare di sabotaggio una delle più importanti agenzie di rating internazionali. I numeri, almeno quelli, non hanno possibilità di mentire. 

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Il segreto per diventare ricchi? Nascere ricchi

Il segreto per diventare ricco? Nascere in una famiglia ricca. Sembra la scoperta dell’acqua calda ma come tutte le storture merita di essere ossessivamente ripetuta, almeno per smontare la favola terribile del sogno americano che di tanto in tanto spunta su certa stampa – anche progressista- dove si legge di giovani rampanti omettendo la dichiarazione dei redditi dei loro genitori.

Per la prima volta in 15 anni, secondo i dati di Forbes, tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato la loro ricchezza. L’ascensore sociale decantato dai sacerdoti del capitalismo è l’oppio per gli incagliati. 84mila miliardi di dollari nei prossimi 20 anni – lo dice la società di consulenza Cerulli Associates – nei prossimi anni passeranno da padre in figlio, da nonno ai nipoti. Con tanti saluti al feticcio del merito. 

Il giovane più ricco italiano è Clemente Del Vecchio, 19 anni, che alla morte del padre ha ottenuto la sua bella quota di partecipazione in EssilorLuxottica ed è diventato il più giovane miliardario al mondo nel 2023. Dividere la sua eredità con i suoi 5 fratelli non ha minato la sua possibilità di entrare in classifica. 

La brasiliana Livia Voigt ha 19 anni e possiede un patrimonio 1,1 miliardi di dollari grazie alla sua partecipazione di minoranza nel produttore di apparecchiature elettriche Weg, co-fondato dal suo defunto nonno. Negli Stati Uniti, i nati prima degli anni Sessanta detengono 95,9 trilioni di dollari su un totale di 147,1 trilioni di dollari di ricchezza familiare, secondo la Federal Reserve. Una montagna di soldi pronta a passare di mano in mano. Intanto iIn 52 paesi, i salari reali medi di quasi 800 milioni di lavoratori sono diminuiti. I lavoratori hanno perso complessivamente 1,5 trilioni di dollari negli ultimi due anni, equivalenti a 25 giorni di salario perso per ciascun lavoratore. 

Buon venerdì. 

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La Guardia costiera libica spara in mezzo al mare

“Una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica è intervenuta violentemente pochi minuti fa proprio mentre la Mare Jonio stava soccorrendo un’imbarcazione in pericolo in acque internazionali“. Lo fa sapere Mediterranea saving humans. “I miliziani libici – prosegue la ong – hanno sparato colpi d’arma da fuoco in acqua e in aria, creando il panico e provocando la caduta in acqua di diverse persone. Il team della Mare Jonio sta recuperando e proteggendo i naufraghi. Chiediamo – aggiunge – che il Governo italiano intervenga subito per fermare i comportamenti violenti, pericolosi e criminali della cosiddetta guardia costiera libica“.

Far West libico in mare. Col nostro concorso esterno. Spari in acqua, panico tra i naufraghi

Il capomissione a bordo Denny Castiglione ha sottolineato che “la cosiddetta ‘zona Sar libica’, dove ci stiamo dirigendo, è la zona di Mare dove avvengono, per decisione politica dei governi italiani ed europei, le violazioni sistematiche dei diritti umani che da inizio anno hanno causato numerosi naufragi e quasi 400 vittime accertate, senza contare le persone disperse e i ‘naufragi-fantasma’ di cui non sappiamo nulla. Le milizie libiche – ha ricordato Castiglione – pagate fior di milioni e rifornite di mezzi navali e terrestri, hanno il compito di catturare e deportare chi tenta di fuggire dai lager: dall’inizio dell’anno sono state 3.791 le donne, uomini e bambini respinti in questo modo verso la Libia“.

La guerra in mezzo al Mediterraneo si trascina da anni. In questa guerra l’Italia ha il grande merito di armare gli assassini, addestrarli e fornirli di attrezzature militari. Se ancora una volta la cosiddetta Guardia costiera libica ha dimostrato di essere criminale quindi il nostro governo è colpevole di concorso esterno. Semplice. 

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