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A Bari l’omicidio di Lello Capriati potrebbe riaprire la guerra di mafia

Raffaele Capriati detto Lello stava percorrendo via Bari nel quartiere Torre a Mare ed è stato ucciso con quattro colpi in uno dei pochi punti in cui non ci sono telecamere di sorveglianza. Il suo assassino aveva perfettamente pianificato il delitto. Almeno quattro colpi di arma automatica che hanno mandato in frantumi il finestrino della macchina su cui viaggiava il nipote di Tonino Capriati, lo storico boss della Città vecchia.

Lello Capriati, nipote dello storico boss di Bari, è stato ucciso dove nessuno poteva vedere

Lello Capriati era da poco in libertà dopo la condanna a 17 anni, ad agosto 2022, e aveva ripreso il suo posto in famiglia. Con la moglie aveva aperto una attività di ristorazione nella Città vecchia, pubblicizzata senza remore. Le indagini coordinate dalla Dda di Bari devono capire, innanzitutto, cosa ci facesse a Torre a Mare nella sera di Pasquetta, fuori dalla zona in cui può sentirsi al sicuro. Anche a suo fratello Mimmo nel 2018 costò essersi allontanato dal suo quartiere: fu ammazzato a Japigia da un killer che voleva mettersi in proprio per fatti di droga.

Fino a ieri a Bari sembrava essere tornata la pax mafiosa tipica dei territori in cui i clan smettono di fare rumore perché convergono negli affari. Le cosche Strisciuglio, Parisi e Capriati avevano scelto di dedicarsi agli affari (che da queste parti sono soprattutto droga e estorsioni) lasciando perdere gli omicidi che a detta die boss “davano troppo nell’occhio”, facendo troppo rumore, evitavano i giornali a scriverne e i magistrati a indagare. È la normalizzazione della mafia di cui parlava già Paolo Borsellino e che Cosa nostra, Ndrangheta e Camorra hanno imparato benissimo: mimetizzarsi come imprenditori tra gli imprenditori è il modo migliore per scomparire senza bisogno di sotterrarsi.

Gli inquirenti temono che sia la fine della pax mafiosa tra i clan Capriati e Strisciuglio

A Bari sembravano passati i terribili anni 80 che avevano insanguinato la città. Lello è figlio di Sabino e soprattutto nipote di quel Tonino Capriati che per decenni ha controllato la zona del centro storico prima che gli scissionisti del clan Strisciuglio decidessero di mettersi in proprio. Quegli anni li ha raccontati un prezioso collaboratore di giustizia, Raffaele Laraspata che dopo avere perso il fratello Franco a 33 anni assassinato sotto casa potrebbe avere ripreso in mano le redini del clan dopo essere uscito dal carcere a gennaio di quest’anno, appena due mesi fa. Lello Capriati era uno dei pochi membri della sua famiglia a essere tornato in libertà. Appena diciottenne c’era anche lui con Leonardo Ungredda che colpì con un proiettile vagante il sedicenne Michele Fazio, un ragazzo innocente morto perché era nel momento sbagliato nel luogo sbagliato in una città infiammata dalla guerra mafiosa.  La faida tra Capriati e Strisciuglio ha ucciso da innocente anche il 15enne Gaetano Marchitelli, finito in mezzo a una sparatoria a Carbonara, periferia della città.

Ora a Bari si teme la faida. “La città non può vivere nel terrore dell’attesa di un regolamento di conti tra clan – ha detto ieri il sindaco di Bari Antonio Decaro – È importante agire subito per bloccare qualsiasi potenziale recrudescenza. Ringrazio il Prefetto che a stretto giro ha convocato per giovedì il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica”. Sulla città scende la paura della mafia che qui tutti conoscono bene. Non è la mafia usata come clava per convenienza politica che ha coinvolto qualche giorno fa il sindaco Decaro e non è nemmeno la mafia che il ministro dell’Interno Piantedosi crede di sconfiggere con qualche operazione che raccatta qualche grammo di droga. A Bari la mafia – quella vera – ha suonato il suo rintocco spaventoso nel giorno di Pasquetta. 

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Terremoto a Taiwan. 4 morti, 50 feriti. Danni a diversi edifici.

Una violenta scossa di terremoto magnitudo 7.4 ha colpito nella notte Taiwan danneggiando gli edifici e provocando almeno 4 morti e 97 feriti. Lo US Geological Survey in una nota registra il sisma  a 18 km a Sud-Sud/Ovest dalla località di Hualien, a una profondità di 34,5 km. A Hualien un edificio di 5 piani ha riportato gravi danni. Il palazzo si è inclinato di 45 gradi e il primo piano è crollato. Nella capitale Taipei i danni hanno colpito diversi edifici. Le scuole sono state evacuate e gli studenti dotati di caschi gialli protettivi. Molti bambini hanno indossato anche caschi da motociclista per proteggersi dalla caduta di oggetti durante le continue scosse. Il servizio ferroviario è stato sospeso in tutta l’isola di 23 milioni di persone, anche le corse della metropolitana di Taipei sono state interrotte. Più di 87mila persone sono attualmente senza elettricità: lo ha reso noto l’operatore elettrico di Taiwan, Taipower.

In Taiwan il terremoto più grave degli ultimi 25 anni

Il capo dell’ufficio di monitoraggio dei terremoti di Taiwan, Wu Chien-fu, ha affermato che gli effetti sono stati rilevati fino a Kinmen, un’isola controllata da Taiwan al largo delle coste della Cina. Diverse repliche sono state avvertite anche Taipei. Il violento sisma è stato avvertito anche in Cina, fino a Shanghai. Secondo i media statali, la provincia del Fujian, quella dall’altra parte dello Stretto di Taiwan, è stata particolarmente interessata: la scossa, infatti, è stata avvertita anche a Fuzhou, Xiamen, Quanzhou e Ningde. Si tratta della scossa più forte degli ultimi 25 anni.

La Cina offre sostegno

Il governo nazionale cinese si è detto disposto a fornire assistenza alle persone colpite dal forte terremoto che ha scosso oggi l’isola di Taiwan, ha dichiarato il portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato, Zhu Fenglian. “Stiamo monitorando attentamente la situazione e gli ultimi sviluppi, siamo pronti a fornire assistenza e sostegno alle persone colpite da questa emergenza”, ha affermato Zhu. Il funzionario di Pechino ha sottolineato che il governo nazionale è preoccupato per l’emergenza ed esprime solidarietà ai taiwanesi colpiti.

Intanto Tsmc, Foxconn crollano in borsa

Il terremoto in Taiwan ha affondato anche i colossi dei semiconduttori del paese Tsmc e Focxonn che hanno registrato perdite del’1,4 e di oltre il 2 per cento in borsa stamattina. Gli stabilimenti produttivi delle due aziende si trovano nella porzione occidentale di Taiwan, meno interessata dalle scosse, ma Tsmc ha comunque annunciato l’evacuazione di alcune delle sue strutture, precisando che i sistemi di emergenza hanno funzionato a dovere. Un blocco anche parziale delle attività produttive di Tsmc e Foxconn, azienda fornitrice di Apple, causerebbe gravi danni alla catena di fornitura globale dei semiconduttori, e la situazione nell’isola è osservata con apprensione dai mercati e da diverse industrie globali.

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Sempre a proposito di Delmastro e Pozzolo

Ha ragione Matteo Renzi quando dice che la vicenda dello sparo di Capodanno è terribilmente scivolata nelle retrovie, come se si trattasse di un retroscena o peggio, un’invenzione giornalistica. Il deputato di Fratelli d’Italia (ora sospeso) Emanuele Pozzolo aveva giurato di non essere colui che aveva fatto partire il colpo e soprattutto aveva giurato di spiegare tutto ai magistrati.

Non l’ha fatto. Di Pozzolo si conoscono solo i silenzi e l’ostinazione con cui si dichiara innocente. Peccato che la perizia balistica scriva nero su bianco che “il revolver in sequestro era impugnato da Pozzolo Emanuele, che si trovava in posizione eretta sul lato lungo del tavolo rivolto verso il muro”.

Fantasiose e contraddittorie anche le versioni del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, uomo forte del cerchio magico di Giorgia Meloni. In un primo momento Delmastro aveva raccontato che al momento dello sparo si trovava fuori, a 300 metri di distanza, dove si era recato per caricare la macchina con gli avanzi della cena, e di non aver udito il rumore del colpo. Pochi giorni dopo in Procura ha fornito una versione diversa, sostenendo di aver sentito il rumore dello sparo, e di aver pensato fosse un petardo, mentre fumava una sigaretta all’esterno della sala. 

L’uomo colpito dal proiettile vagante – Luca Campana – racconta che Delmastro era presente nella stessa stanza, anche se distante tre metri dal punto in cui è partito lo sparo. Il capo scorta di Delmastro invece riferisce che il suo scortato fosse serenamente fuori dalla stanza con la scorta serenamente all’interno. 

L’omertà, le contraddizioni, il mancato rispetto dei protocolli, l’avventatezza e la presenza di bambini rendono il tutto piuttosto grottesco.

Buon mercoledì. 

Nella foto (da fb): Andrea Delmastro e Emanuele Pozzolo

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Ansa su “I mangiafemmine”

Un decreto per regolamentare “l’attività venatoria del femminicidio”, firmato, appena vinte le lezioni, da Marzia Rizzo dei Conservatori assieme al leader del partito Valerio Corti, è l’estrema provocazione che segna il ritorno di Giulio Cavalli alla narrativa con la sua satira nutrita da uno humour grottesco e noir che scardina e mette a nudo la paradossale ferocia quotidiana della nostra realtà, da cui erano nate nel 2019 le visioni macabre sui flussi migratori di ‘Carnaio’ (finalista al Premio Campiello).

    Il libro alterna cronache di una sempre più affannata campagna elettorale dei Conservatori con racconti di donne uccise dai propri uomini, in carica o ex, a cominciare da quella di Frida Novelli, moglie di Tullio Ravasi, che in ufficio ricatta in modo vile per sesso una povera stagista e a casa è violento e insofferente, sino a esplodere e ammazzare non sopportando che lei sia sempre più ansiosa e impaurita. Un racconto in cui si succedono il modo di vivere il rapporto di Lui e di Lei. 
    È questo solo il primo fatto a coinvolgere direttamente, durante una incontro stampa tv, il povero Corti con la sua bieca, elementare cultura maschilista, che replica insinuando che forse era colpa di lei, visto che il marito la manteneva da signora permettendole di non lavorare. E dopo, a Marco Fumagalli, responsabile della comunicazione dei Conservatori, chiede di sapere, per il futuro, quanti uomini siano stati ammazzati recentemente da una donna, per poter “riequilibrare la narrazione” relativamente ai vari uxoricidi, come – dice – si sono sempre chiamati questi omicidi. 
    Il problema è che Corti, dato per vincitore scontato, avendo 13 punti percentuale in più del suo avversario Luigi Posso dei Democratici, non è amato dai moderati, di cui invece dovrebbe assolutamente conquistare i voti, e, con i suoi interventi fuori luogo mentre gli ammazzamenti di donne si susseguono a ritmo incalzante e la gente chiede chiarezza, peggiora sempre più la sua situazione, finché si decide che se il problema che mette in forse la sua vittoria sono le donne, allora si faccia da parte e si candidi alla presidenza una donna, la Rizzo appunto. 
    Ecco poi il decreto del governo che autorizza il femminicidio come se fosse caccia e la battaglia che contro tutto ciò ingaggia la giornalista Clementina Merlin, ritrovandosi però praticamente sola, coi suoi capi e i democratici che ritengono di lasciar perdere, non accettare la provocazione e affrontano la questione solo contestando le incongruenze giuridiche del decreto. Eppure si annuncia che nel primo giorno di caccia “le femmine abbattute sono ottocentocinquantaquattro. La soppressione è avvenuta regolarmente, rispettando le norme igieniche” previste dal decreto. 
    Il paese DF, in cui tutto è ambientato, assomiglia sempre più alla nostra realtà e, in questo gioco, le varie giustificazioni, le spiegazioni patriarcali, i riferimenti alla natura dell’uomo cacciatore e della donna che si fa preda, “perché non ci sono notizie di donne stuprate mentre stanno a casa” prese dai lavori domestici, diventano automaticamente non meno paradossali del resto e di citazioni che hanno creato nel tempo gli schemi sul ruolo o carattere della donna, che vanno da Aristotele a San Paolo, da Ambrose Bierce a Flaubert, e sono il vero senso del libro, la sua denuncia dark e impietosa. 
    Cavalli, giornalista che vive sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro le mafie, sappiamo che sa essere realista e preciso, come qui dimostra con la bella resa narrativa delle pagine sui vari racconti di femminicidi di Clara, Sonia, Frida, Alissa e i loro uomini, ma sa che la letteratura è visionaria, è metafora, e che la verità della sua denuncia, se è questo che vuol fare, nasce proprio dal presentarsi nella sua alterità e utilizzare libertà e stravolgimenti esemplari, che alla fine hanno una natura iperrealista come Kafka insegna e dimostra un maestro quale Swift, in particolare, col discorso sul come affrontare la fame nel mondo.    

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/unlibroalgiorno/2024/04/02/giulio-cavalli-e-i-mangiafemmine_177aa244-f4a3-439c-ad3f-1d674c0779e2.html

Altro che antisemitismo, è la distorsione del dibattito a fare spavento

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione “della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata perché le università non si schierano con una parte o con l’altra, le università non entrano in guerra. L’università ha un’arma potentissima, la ricerca scientifica, la formazione, che è un’importante e potente arma di pace”.

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata”

Bernini si riferisce alla notizia strombazzata da molta infervorata stampa secondo cui l’università di Pisa avrebbe “interrotto la collaborazione in atto in atto con gli atenei israeliani”. Molti quotidiano l’hanno scritto esattamente così, con queste precise parole. Da lì in poi anche alla Normale ovviamente sono diventati antisemiti, con il solito misero trucco di identificare tutti gli ebrei con il governo di Israele, fottendosene del fatto che gli israeliani in massa siano per le strade a manifestare anche loro l’orrore per il proprio governo.

Solo che basterebbe andare sul sito dell’università per rendersi conto che il Senato accademico dell’università ha scritto tutt’altro. Basta Google, non serve essere giornalisti d’inchiesta. Si legge che l’università “si impegna, in coerenza con il dettato costituzionale, a esercitare la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella striscia di Gaza”.

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Foglie di fico dal cielo su Gaza

Non è cambiato niente. Sono passati giorni dalla risoluzione Onu per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas ma si continua a morire. Come spiega Ispi a cinque mesi dall’inizio del conflitto, il deficit tra il volume dei rifornimenti che sarebbero entrati nella Striscia se non fosse stato per la guerra e ciò che è stato effettivamente ricevuto ha superato il mezzo milione di tonnellate. Secondo l’Integrated food security phase classification (Ipc) delle Nazioni Unite nessuno degli abitanti dell’enclave è ormai più al sicuro dal punto di vista alimentare. Da quando è stato istituito, 20 anni fa, l’Ipc ha dichiarato solo due carestie: in Somalia nel 2011 e in Sud Sudan nel 2017. A meno che non sia ripristinata la fornitura di aiuti, hanno fatto sapere, gli esperti dovranno dichiararne una terza.

Agenzie e organizzazioni umanitarie continuano a ripetere che gli aiuti aerei sono il metodo meno efficace per distribuire rifornimenti umanitari. Da allora diversi palestinesi sono annegati mentre cercavano di raggiungere a nuoto alcune casse che erano cadute in mare, o sono rimasti schiacciati quando i paracaduti non si sono aperti correttamente. L’alto funzionario per i diritti umani, Volker Türk  ha ripetutamente denunciato alla Bbc che l’ipotesi secondo cui Israele sta usando la fame come arma di guerra a Gaza è “plausibile”. Se l’intento fosse dimostrato, ha spiegato, equivarrebbe a un crimine di guerra. Accuse che il governo di Benjamin Netanyahu definisce come “una totale assurdità”. I camion intanto restano bloccati a Rafah. 

Buon martedì. 

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Militarizzare gli atenei, l’ultima frontiera del bavaglio al dissenso. Dilaga la protesta pro-Palestina, per il governo è allarme terrorismo

Due settimane fa all’università della Columbia un professore ha sollevato la questione di un’emoji della bandiera palestinese che una studentessa aveva messo accanto al suo nome durante le riunioni di Zoom. Per il professore quella minuscola bandiera avrebbe “causato reazioni traumatiche” tra gli studenti che non si sentirebbero sicuri. Qui da noi tre giorni fa la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha afferrato il telefono per chiamare il capo della Polizia Vittorio Pisani per confrontarsi “sulla situazione degli atenei”.

Allarmismo

Ad allarmare la ministra e il suo governo sono le contestazioni al direttore di Repubblica Maurizio Molinari da parte degli studenti dell’Università di Napoli, poi le contestazioni al giornalista David Parenzo e infine le istanze contro la guerra che, dopo Napoli e Torino, hanno occupato nei giorni scorsi La Sapienza e manifestato a Genova per chiedere l’interruzione del bando di collaborazione tra Italia e Israele (Maeci) e dei rapporti con Leonardo e Fondazione Med-or, presieduta da Marco Minniti.

Al Viminale il ministro Matteo Piantedosi ha pronto il suo fantomatico piano che prevede accessi “limitati e controllati” agli atenei e di porre le forze dell’ordine all’ingresso delle aule dove si tengono convegni e appuntamenti per bloccare le contestazioni. Il ministro dell’Interno si è mosso dopo che il ministro dell’Agricoltura, nonché cognato di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, ha sentenziato sul “pericolo terrorismo” nelle università in caso di un “eccesso di tolleranza”.

Predicare bene…

Pensare che al suo insediamento, solo alcuni mesi fa, la sorella di sua moglie nonché presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento invitava i giovani a “essere folli e liberi”. “Contestatemi”, disse la leader di Fratelli d’Italia con una certa sicumera.

Chissà se aveva già in tasca la carta del pericolo del terrorismo. Lollobrigida ci ha spiegato che non prendere provvedimenti contro gli universitari “in passato ha poi portato al terrorismo e al suo rafforzamento fino all’episodio di Aldo Moro, che, con il suo sacrificio, creò un allarme democratico talmente ampio che ci permise di sconfiggere quel fenomeno brutale che è l’eversione”. Riuscire a mettere insieme la difesa dei diritti umani a Gaza con l’uccisione del segretario della Democrazia cristiana è un capolavoro di allarmismo sconclusionato.

Essere “pro Palestina” quindi diventa un’etichetta che vorrebbe ridurre – come al solito – a un tema di ordine pubblico un tema squisitamente politico. La narrazione degli scapestrati studenti polemici serve a tacere sui 1.300 accademici che hanno firmato una lettera indirizzata al ministro agli Esteri Antonio Tajani con cui si chiede un completo stop agli accordi di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica in vigore con Israele “con lo scopo di esercitare pressione sullo stato di Israele affinché si impegni al rispetto del diritto internazionale tutto, come è giustamente richiesto a tutti gli stati del mondo”.

Strani intrecci

Il Movimento No Muos siciliano in un dossier su Università e Guerra, spiega l’intreccio di interessi: “Quello meramente economico e remunerativo: le aziende belliche che finanziano la ricerca non lo fanno in maniera disinteressata ma creano profitto e possono attingere a un bacino ampio di stagisti/e e tirocinanti da impiegare presso le proprie strutture; un altro fine è politico e propagandistico, con una università che si presta da un lato a legittimare le aggressioni imperialiste e, dall’altro, a diffondere la cultura della difesa e della sicurezza nei territori, che serve a normalizzare la guerra e le sue conseguenze”.

È tutt’altro che una questione di studenti indisciplinati.

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Genova crocevia tra Usa e Arabia, ecco la nuova rotta delle armi. La nave saudita Bahri Abha ha attraccato in Liguria con un carico di mezzi leggeri per l’esercito americano

La denuncia arriva da The weapon watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei: la cavalcata dell’economia di guerra lascia tracce al porto di Genova. La Bahri Abha, una delle navi della compagnia nazionale saudita Bahri che, a volte, oltre alle classiche merci trasportano armamenti diretti nei teatri di guerra del mondo, ha scaricato nel porto di Genova una decina di mezzi militari, che non sono destinati a ripartire.

Si tratta – per l’osservatorio – probabilmente dell’Oshkosh L-ATV (la sigla sta per Light Combat Tactical All-Terrain Vehicle), il veicolo 4×4 tattico leggero dell’esercito americano che in parte sta sostituendo gli HMMWV. È la prima volta che questi arsenali galleggianti portano armi nel nostro paese. Lo fanno come una routine commerciale, evidentemente c’è una “domanda” nuova a cui rispondere. Infatti i mezzi scaricati sono destinati alla base americana di Camp Darby. Camp Darby è il più grande deposito di materiale bellico al di fuori degli Stati Uniti, che occupa ben 2.000 ettari nella pineta tra Pisa e Livorno. Ha avuto origine da un accordo segreto Italia-Stati Uniti firmato nel 1951.

Aveva un carattere temporaneo (quarant’anni) in seguito divenuto permanente. È formalmente una base italiana con un comandante italiano, ma di fatto è il fulcro del dispositivo militare Usa nell’Europa meridionale. Ha servito di supporto a tutte le guerre condotte dagli Stati Uniti negli ultimi decenni, in particolare per le spedizioni militari nei Balcani e in Medio Oriente. Per The weapon watch si tratta di “una base militare “italiana” che è servita e serve a condurre guerre, in aperta contraddizione con l’articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra…”) e l’articolo 87 (“il presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”) della Costituzione.

“Questo passaggio della Bahri Abha che consegna armi alle basi militari Usa sul territorio italiano – scrivono gli osservatori di armi nei porti europei – è un altro passo della militarizzazione globale. Infatti sinora nella catena logistica che rifornisce le installazioni militari Usa in Europa sono state impiegate solo navi con bandiera Usa, come quelle che toccano regolarmente il porto di Livorno. L’impiego anche della flotta Bahri, sotto bandiera saudita, nella logistica militare Usa sancisce che l’alleanza di interessi tra gli Stati Uniti e la monarchia di Riyad è ormai un’alleanza militare attiva, non più una mera fornitura di materiale per la difesa, il che si constata anche nel Mar Rosso occupato dalle cannoniere occidentali in funzione anti-houthi. Com’è noto, gli alleati dei nostri alleati diventano nostri alleati”.

Traffici armati

Per The weapon watch è anche “il caso di Israele, con cui i governi italiani hanno stretto patti militari importanti, anch’essi rimasti largamente segreti. Ed è ora il caso della sanguinaria e per nulla democratica monarchia assoluta araba saudita. Del resto i portuali genovesi lo stanno provando direttamente da anni sulla propria pelle: ogni arrivo delle navi Bahri in porto è preceduto e accompagnato – racconta The weapon watch – da un incredibile spiegamento di forze di polizia dentro l’area portuale, anche dove normalmente operano i mezzi e i lavoratori portuali.

Quello che è un transito di armamenti in violazione di leggi nazionali e trattati internazionali è da tempo presentato come prioritario interesse per la sicurezza del nostro paese. È invece un altro tassello della pratica partecipazione dell’Italia alle guerre in corso e, temiamo, a quelle che si stanno preparando”. Le attività delle navi della compagnia Bahri sono attentamente monitorate dal Calp, che in diverse occasioni ha lanciato mobilitazioni per bloccare i varchi portuali e impedire che queste potessero ripartire. L’osservazione di navi militari nei porti italiani si è intensificata negli ultimi anni.

Nel marzo 2017 creò polemiche l’attività della nave statunitense Liberty Passion, lunga 200 metri e progettata per il trasporto veicoli e carichi su ruote, che stabilì un collegamento regolare tra Livorno e i porti di Aqaba in Giordania e Gedda in Arabia Saudita, con rotte mensili insieme ad altri due mercantili, Liberty Pride e Liberty Promise. In questo caso fu proprio l’Amministrazione marittima Usa che le tre navi facevano parte del “Programma di sicurezza marittima” necessario per fornire al Dipartimento della difesa americano “la capacità di trasportare centinaia di veicoli da combattimento e da appoggio, tra cui carriarmati, veicoli per il trasporto truppe, elicotteri ed equipaggiamenti per le unità militari”. Nel maggio 2019 era esplosa la polemica legata alla sbarco del cargo saudita Bahri Yanbu al porto di Genova.

Una nave, anche in quel caso, carica di armi battente bandiera saudita, come avevano denunciato una serie di associazioni, dalla Rete per il disarmo fino ad Amnesty. Il cargo, per quanto se ne seppe, trasportava bombe destinate alle forze armate della monarchia saudita e che rischiavano di essere utilizzate anche nella guerra in Yemen. Stesso discorso nel maggio 2021, quando la nave Asiatic Island, portacontainer arrivata in porto a Livorno e ripartita nel giro di poche ore, carica di armi ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod. Movimenti di armi e mezzi che interessano i porti di Genova e Livorno da anni, prima e dopo ogni grande conflitto. Come nel caso della prima guerra del Golfo.

Il caso Moby Prince

Traffici militari che, si sospetta, senza però averne mai ottenuto la conferma, neanche in sede giudiziaria, abbiano avuto un ruolo anche nella tragedia del traghetto Moby Prince del 10 aprile 1991, 140 le vittime arse vive dopo l’impatto con a petroliera Agip Abruzzo. Il più grave incidente della marineria italiane sui cui pesa da anni il sospetto del coinvolgimento di mezzi militari americani e navi militarizzate che movimentavano armi e logistica verso a base di Camp Derby al termine della prima guerra nel Golfo.

È stato accertato, come ricostruì il Fatto Quotidiano, che da febbraio a giugno 1991 gli Stati Uniti spesero circa 10,5 milioni di dollari per tenere in rada a Livorno sei navi militarizzate cariche di armi ed esplosivi di ritorno dal Golfo, ufficialmente per riportarle nella base di Camp Darby. Ma dall’inchiesta condotta sul disastro del traghetto Moby Prince è emerso che il traffico tracciato da queste navi alla base militare Usa in Toscana fu circa lo 0,2 per mille del carico complessivo delle navi militarizzate americane.

Secondo le conclusioni di una delle inchieste sulla tragedia del 10 aprile 1991 è che la collisione tra il traghetto e la petroliera sarebbe avvenuto in seguito a una manovra evasiva volontaria del Moby Prince per evitare un terzo natante non identificato che si trovava vicino alla petroliera Agip Abruzzo ma anche ad alcune navi militarizzate americane.

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L’isola di Calipso recensisce I mangiafemmine

(L’isola di Calipso recensisce “I mangiafemmine”)

“I Mangiafemmine di Giulio Cavalli è un libro da leggere, un libro da riprendere in mano a giorni alterni e su cui riflettere, perché quello che racconta con più di una punta di sarcasmo non è poi così lontano dalla realtà.

Tutte le storie che Cavalli inserisce nella trama del suo romanzo per descrivere vari femminicidi, quasi tutti avvenuti all’interno della famiglia, sono totalmente plausibili. Sono quelli che leggiamo distrattamente sui giornali, quelli che ormai albergano a giorni alterni sui nostri quotidiani. Sono fedeli estratti delle cronache giudiziarie.

Frida uccisa e decapitata dal marito frustrato perché sospeso dal lavoro a causa delle molestie fatte ad una tirocinante in cambio di un assunzione.

Sonia decisa a vivere dopo anni di botte, che lascia il marito quando i figli ormai grandi vanno vai di casa, freddata da due colpi di fucile per la strada perché lui non lo accetta.

Clara che dopo aver tentato di spiegare al compagno che non lo ama più e non intende rimanere ancora in quella relazione, viene pugnalata dall’uomo nella sua stanza da letto dove lui si era introdotto perché possedeva ancora le chiavi di casa.

Donne che hanno pagato con la vita la scelta dell’uomo sbagliato, che sono state lo sfogo dell’insoddisfazione, della frustrazione, della piega che aveva preso la loro vita, incapaci di accettare la fine di una relazione o l’autonomia della propria compagna. Perché la costante è sempre il senso di possesso. La donna vista non come persona, come soggetto autonomo, capace di scelte, di sogni, di desideri propri, ma solo come oggetto del desiderio maschile, emanazione della sua volontà, prolungamento del proprio ego.

E in questo contesto Cavalli immagina una nazione, DF, alle porte di un’elezione politica, alle prese con un incremento di femminicidi. Il candidato premier a cui la cosa non importa, ma anche anzi disturba non poco – infondo le donne non sono sempre state uccise? Cosa è mai ora questa necessità di descriverla come un’emergenza da risolvere al più presto? – commette una gaffe dietro l’altra e viene sostituito in corsa da una donna. E’ il modo più veloce ed indolore per mettere a tacere le polemiche e chiudere la questione.

Ed è la presidente del Consiglio donna a firmare un decreto che inserisce la piena legittimità e legalità all’uccisione delle donne, assimilate ad animali su cui è consentita la caccia, rispettando, ovviamente, le quote stabilite, le regole imposte dai regolamenti d’attuazione (non donne incinte, non in presenza di minori, non in modo cruento, senza utilizzare termini dispregiativi e ingiuriosi mentre si commette l’uccisione e così via). Un’operazione pulita e indolore che tutto sommato non suscita grandi reazioni nell’opinione pubblica, solo un gruppo delle “solite e facinorose” femministe cerca di protestare e attirare l’attenzione sull’orrore della legge.

Decreto Legge n. 55/4231 Misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidioIL PRESIDENTEVisti gli articoli 77 e 87 della Costituzione, […] Decreta:Articolo 1 – FinalitàIl presente Decreto Legge stabilisce misure straordinarie per la regolamentazione della caccia al fine di preservare l’ordine pubblico e i principi etico-sociali, nel rispetto delle nome igienico-sanitarie.Articolo 2 – autorizzazione all’attività venatoria specialeè consentita la pratica venatoria volta all’equilibrio dei generi, secondo i protocolli e le modalità stabilite nel presente Decreto Legge. L’autorizzazione alla caccia è subordinata al possesso di una licenza rilasciata dalle autorità competenti, previo superamento di un esame attestante la conoscenza delle norme igienico-sanitarie e delle regole di sicurezza.

Leggendo il nuovo romanzo di Giulio Cavalli, ci si rende tremendamente conto di quanto la realtà distopica che lui costruisce sia l’immaginate fedele di quello che viviamo. Esagerata? Sì. Portata all’eccesso? Anche. Ma purtroppo non falsa.

I politici che descrive sono inventati ma non è difficile vedervi riflessi atteggiamenti, posizioni, dichiarazioni di cui leggiamo o assistiamo in televisione. Dibattiti imbarazzanti, ipocrisie, scontri verbali che gettano spesso fumo negli occhi, distolgono l’attenzione dai veri problemi, creano polemica sterile ed inutile pur di alzare un polverone teso a coprire altro.

E l’imperante maschilismo, il patriarcato non sono ipotesi fantasiose di povere femministe (e mi viene in mente quanto dice Chimamanda Ngozi Adichie nel suo brevissimo Dovremmo essere tutti femministi, di quanto la parola “femminista” si porti dietro un notevole bagaglio negativo).

I Mangiafemmine è una potente critica alla nostra società e a tutti quei retaggi culturali che la permeano. Cavalli con uno stile scevro da qualsivoglia orpello stilistico, in modo a volte persino freddo, ribalta la posizione di partenza, dando per assodato e addirittura legalizzato il femminicidio, portando a galla l’atteggiamento sotto traccia che infondo le donne se la cercano, che sono i loro atteggiamenti a farle diventare terreno di caccia, che gli uomini “poverini” sono stati “costretti” a difendersi dalle pazze, aggressive, incontrollate femmine che li circondano.

Quello che mi piace dei libri di Giulio Cavalli è che la distopia che racconta non è mai così lontana dalla nostra realtà. Come già in Carnaio, in cui rifletteva sui morti che arrivano sulle coste di un immaginario paese e le reazioni inconsulte e disumane che le continue stragi in mare provocano, anche qui l’orrore quotidiano si stempra in un atto di accusa lucido e reale su come i femminicidi vengono raccontati, giustificati e alla fine banalizzati dal sistema politico e dalla società”

Gli effetti della distrazione di massa e l’apocalisse che non vediamo – Lettera43

Ci accapigliamo sulla scuola di Pioltello, i test per i magistrati, le sparate di Salvini contro gli autovelox, la grammatica di Valditara. Peccato che intanto la situazione su Ucraina e Gaza rischi di precipitare e il ministro Giorgetti lanci l’allarme sulla tenuta dei conti pubblici. È vero che distrarre è un ingrediente fondamentale della propaganda, ma non staremo esagerando?

Gli effetti della distrazione di massa e l’apocalisse che non vediamo

Una bella fetta di settimana è passata con il baccano su una scuola (una) a Pioltello in cui il dirigente scolastico, con il voto unanime dell’intero consiglio d’istituto, ha deciso di sfruttare la sua autonomia scolastica per fissare un giorno di vacanza in un giorno in cui la scuola sarebbe stata semi vuota causa fine del Ramadan. L’inezia di provincia è stata trasformata in una crociata contro l’islam in difesa delle radici cattoliche italiane da un caravanserraglio di parlamentari, eurodeputati e politici minori che si sono buttati in picchiata nell’agone sovranista. Sono visibilmente soddisfatti, hanno trovato la leva per una polemica scolastica anche in un periodo in cui i presepi sono inscatolati in soffitta.

Pioltello, i docenti «Offesi e maltrattati, ci sentiamo aggrediti dallo Stato»
Genitori fuori dalla scuola di Pioltello (Ansa).

L’isteria di Berlusconi sui magistrati è diventata riforma

Un’altra fetta di Co2 è stata consumata per ribattere e commentare il test psicoattitudinale che il ministro Carlo Nordio ha voluto rifilare ai magistrati per corroborare l’idea che siano una manica di pericolosi invertiti. Silvio Berlusconi nella tomba starà ridendo come un matto osservando come una sua isteria sia diventata una riforma per di più con l’assenso di pensosi commentatori che da giorni prendono sul serio il quiz che la mia generazione compilava prima del servizio di leva militare. Ai tempi quando si andava in processione all’ospedale militare di Baggio a farsi interrogare per quale sinistro motivo ci piacessero i fiori ma non volessimo fare i fiorai nessuno di noi, nemmeno il più fantasioso, avrebbe mai potuto immaginare che quel test sarebbe stato rivenduto come tassello fondamentale di una desiderata riforma della Giustizia. Il ministro Nordio ripete da giorni che «i test ci sono in tutta Europa». Falso. È vero invece che in Francia sono stati eliminati nel 2017 con imbarazzo e risolini.

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri: «Test psicoattitudinali per i magistrati? Allora anche per chi governa».
Carlo Nordio (Imagoeconomica).

La battaglia piena di panzane di Salvini sugli autovelox

Il ministro ai Trasporti Matteo Salvini ha invece irrobustito la sua personale battaglia agli autovelox. Come spesso gli capita, il leader della Lega non può dire veramente quello che pensa perché rischierebbe di finire – ancora di più – nel cassetto dei dissennati, quindi si è limitato ad affermare che «in Italia ci sono il 10 per cento degli autovelox installati nel mondo». Ovviamente il dato è una panzana, ma sui social più intestinale ha funzionato benissimo. Migliaia di giga sprecati per faccette che applaudono.

Fleximan colpisce anche nel Milanese quattro autovelox distrutti a Buccinasco
Autovelox (Getty Images).

Valditara e quel tweet incomprensibile

Il ministro all’Istruzione e al merito Giuseppe Valditara occupa i giornali (quindi banda e inchiostro) grazie a un tweet sostanzialmente illeggibile che ha il demerito di essere incomprensibile per forma e infantile nel contenuto. Una nutrita truppa di commentatori politici è stata costretta anche a riportare la stizza del ministro che dice di avere dettato il messaggio al telefono. Da lì via di analisi sui messaggi dettati, sulla presenza di collaboratori per i social del ministro e sulle funzioni di dettatura. Avanti così. Intanto sotto la voce “terrorismo” ci sono finiti gli studenti che legittimamente protestano, chiunque non sia d’accordo con la distruzione di Gaza e l’annientamento dei suoi abitanti e chi approccia di persona salottieri televisivi abituati a interrompersi solo in occasione del blocco pubblicitario.

Scuola chiusa per la fine del Ramadan a Pioltello, Valditara chiede verifiche
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Imagoeconomica).

Intanto l’Ue corre verso l’economia di guerra

Mentre si bruciavano neuroni su simili bagattelle questa settimana l’Unione europea ha ampliato le sue falcate verso l’economia di guerra pur consapevole di non avere abbastanza soldi per difendere l’Ucraina che promette di difendere. Gli Usa sono appesi a un candidato che vende bibbie personalizzate per pagare i suoi guai giudiziari. Un ministro ha accusato l’autorità nazionale anti corruzione di essere «contro gli interessi di Stato» come se vigilare sia sinonimo di sabotare. I numeri indicano un impoverimento nazionali insieme al disfacimento della sanità pubblica. Il Pnrr continua a essere tutt’altro che trasparente a tre mesi dalla sua modifica. La natalità è al suo minimo storico. Il Tar del Lazio ha dovuto ribadire il diritto di sciopero smentendo il ministro PreCetto Laqualunque.

Giorgetti si sgola per lanciare l’allarme sui conti

La seconda più importante agenzia di stampa del Paese che appartiene anche a un ministero sta per essere ceduta a un parlamentare di maggioranza che è anche un editore all’insaputa del ministro. I conti del bilancio dello Stato tornano sempre meno al ministro Giancarlo Giorgetti che inascoltato si sgola per lanciare l’allarme. I terroristi – quelli veri – si organizzano per sfruttare il disequilibrio dell’Occidente logorato dalle guerre. È vero che distrarre è un ingrediente fondamentale della propaganda, ma non staremo esagerando nel farci distrarre?

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