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Il senso dello Stato di Salvini, chi disturba rema contro

“Sorprende lo stop dell’Anac: è come se pezzi di Stato remassero contro l’interesse nazionale“. Con il solito trucco di non meglio precisate “fonti” il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini si scaglia contro l’Autorità nazionale anticorruzione. La colpa dell’Anac per il leader della Lega sarebbe avere fatto ciò per cui è stata inventata ovvero muovere rilievi sulla trasparenza dell’appalto che sta dietro alla diga foranea di Genova, la più importante infrastruttura finanziata dal Pnrr, più precisamente dal fondo nazionale complementare.

Anac ha evidenziato l’“omessa motivazione nell’utilizzo della procedura negoziata senza bando”, il “mancato aggiornamento dei prezzi” e l’“alterazione delle condizioni” tra la prima procedura, andata deserta per i costi troppo alti, e quella successiva. Nei mesi di governo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i suoi ministri hanno vissuto i rilievi delle istituzioni e delle autorità sempre come uno sgarbo alla Patria. È accaduto con la Corte dei conti, è accaduto con l’Ufficio di bilancio del Parlamento, accade con l’Anac e accade con i tribunali che sottolineano l’illegalità dei provvedimenti.

Convinti di essere patria Meloni, Salvini e compagnia cantante sognano pieni poteri in cui i componenti dello Stato siano camerieri e incensatori, con il Parlamento ridotto a pulsantificio e gazzarra per sollazzare il pubblico a casa e con il Presidente della Repubblica limitato agli eventi con prosecco e patatine. Piccolo particolare inquietante: questi sono gli stessi che da mesi ci rassicurano sulla riforma del premierato che – dicono – porterebbe solo benefici. A ciascuno le giuste considerazioni.

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Non solo cognati e sorelle d’Italia. Spunta pure il fratello della Santanchè

Che in Fratelli d’Italia la giusta parentela sia una virtù lo sa un ministro al’Agricoltura e sua moglie nonché sorella e capo dell’organizzazione del partito. Ora all’orizzonte si staglia anche il fratello della ministra la Turismo Daniela Santanchè pronto per entrare nel listino bloccato delle prossime elezioni regionali in Piemonte. Massimo Garnero è fratello della più famosa Daniela già coniugata Santanchè, figli di quel’Ottavio che dalle parti di Cuneo è stato per anni il titolare di un’agenzia di spedizioni, la Unione Corrieri Cuneesi.

Massimo Garnero sgomita per un seggio sicuro in Piemonte. I guai giudiziari della ministra però potrebbero bloccarlo

Diplomato in ragioneria, Massimo ha continuato l’attività del padre fino al 2015 ed è direttore generale della Tomatis autotrasporti srl. Un passione per lo sport (presidente del Busca calcio dal 1998 al 2001 e vice presidente del Country Club di Cuneo dal 2012 al 2018) nel 2022 Garnero si è candidato ed è stato rieletto consigliere comunale a Cuneo, tra i banchi dell’opposizione. Per lui una campagna elettorale altisonante: l’8 giugno del 2022 a sostenerlo c’è stata la sorella insieme all’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa. “Noi siamo Fratelli d’Italia e io qua ho il fratello capolista”, diceva Santanchè in un video elettorale. In Consiglio comunale Garnero si distingue per i temi cari al suo partito.

Il 5 settembre 2022 firma un’interpellanza a risposta orale per sapere degli “extracomunitari irregolari e come la Giunta intenda far fronte a tale problematica”, poi un’interpellanza sullo spaccio di droghe leggere al Parco Parri e una polemica per il mancato patrocinio al Giorno del ricordo alle iniziativa del Comitato 10 febbraio. Un fratello d’Italia perfetto, con l’aggiunta di essere anche un fratello giusto. Ora Garnero sarebbe pronto per il grande salto in Regione. Lo schema del ricandidato presidente di centrodestra Alberto Cirio prevede il cinque-tre-due: sono questi i posti riservati per Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel listino bloccato del presidente che evita ai candidati di doversi procacciare le preferenze.

Tra i cinque posti per i meloniani un posto è riservato proprio al fratello della ministra. Ma il destino del fratello minore dicono dalle parti di Cuneo che sia legato a doppio filo a quello della ministra. Garnero ha pedissequamente sempre seguito le mosse della sorella (è passato a Fratelli d’Italia da Forza Italia nel 2018 due mesi dopo la Santanchè) e l’indagine aperta dopo lo scoop di Report ora rischia di essere un incidente di percorso anche per lui. Così la candidatura alle regionali data per scontata fino a pochi giorni fa ora sembra essere in bilico. Lui per ora non si esprime, accontentandosi di essere ancora (per ora) il fratello giusto al posto giusto.

Il consigliere comunale di Cuneo punta ad un posto nel listino bloccato del presidente uscente Cirio

Non è un caso che quando il 22 febbraio scorso il capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Piemonte Paolo Bongioanni è partito per Roma per incontrare alcuni esponenti del governo e delle istituzioni abbia deciso di portarsi dietro il fratello della ministra Santanchè come passe-partout. Nel listino di Cirio a oggi ci sarebbe Gabusi per Forza Italia l’assessora comunale di Valenza Alessia Renza Zaio e la presidente del consiglio comunale di Borgomanero Annalisa Beccaria, coordinatrice provinciale di Azzurro Donna e molto vicina al coordinatore regionale Paolo Zangrillo.

Per la Lega l’attuale capogruppo Alberto Preioni, l’attuale vicepresidente della Regione Fabio Carosso e l’europarlamentare Gianna Gancia. Nei posti riservati al partito di Giorgia Meloni il vercellese Carlo Riva Vercellotti, la biellese, attuale assessore regionale, Elena Chiorino, Valerio Cattaneo, Matteo Marcovicchio e un punto di domanda sul “fratello d’Italia” Garnero.

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Scuola Pioltello. E anche questa settimana siamo riusciti a sprecarla parlando di niente

«Ma perché mai imparare l’italiano, se un analfabeta di ritorno riesce comunque a fare il ministro?». Il sunto di questi ultimi giorni intrisi di ignorante propaganda l’ha scritto Tomaso Montanari dopo avere letto il ministro all’Istruzione Valditara mentre sputava uno sconclusionato messaggio sui social. 

Il ministro incapace di imbroccare la consecutio ci ha voluto fare sapere, tentando di farsi capire, che nelle scuole bisognerebbe insegnare un “italiano potenziato” per facilitare l’integrazione. Ci sono due problemi di fondo, i soliti di questi squinternati al governo: l’integrazione per loro consiste nella reductio delle altre culture (fondamento di ogni xenofobia) e la loro cultura è troppo bassa per essere in grado di gestire la cultura degli altri. 

Ripercorriamo questi ultimi giorni. Una scuola a Pioltello decide di gestire i giorni di chiusura com’è nelle facoltà della sua autonomia. Non è una questione religiosa: i dirigenti scolastici sanno meglio dei ministri che conviene chiudere quando le troppe assenze potrebbero minare il percorso didattico. Il ministro Salvini assetato di propaganda per oliare il suo sprofondamento politico ulula sulla pelle dei ragazzi, come al solito, senza sapere che in realtà un limite per il numero degli alunni stranieri a scuola è in vigore già dal 2010. Accortisi dell’enorme figura di palta al governo decidono di mandare avanti il ministro Valditara per dire «è vero, c’è già il limite, ma forse potremmo abbassarlo». Pochissimi giornalisti fanno notare che gli «stranieri» di cui si parla sono ragazzi nati in Italia. E anche questa settimana siamo riusciti a sprecarla parlando di niente. 

Buon venerdì. 

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Nel Pd è guerra aperta sulle candidature europee

Ieri la segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha incontrato il presidente del partito nonché leader della minoranza interna Stefano Bonaccini. “Incontro positivo, al lavoro insieme – hanno affermato i due vertici del Pd – su elezioni europee, regionali e amministrative”. Ma il mare è tutt’altro che tranquillo.

La carica dei civici fa infuriare gli europarlamentari uscenti del Pd. Al Sud Picierno minaccia di ritirarsi

Una bordata alla segretaria arriva dallo studio de L’Aria che tira, dove la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno è tornata a discutere la linea scelta dalla sua leader di candidare civici lasciando fuori la classe dirigente dem: “Non siamo all’Isola dei famosi o in un contest: i militanti devono poter dire la loro”, ha dichiarato l’europarlamentare. Picierno ha poi precisato: “C’è una discussione aperta sulle Europee, iniziata in maniera scomposta su tivù e giornali, tutto deve essere riportato su un binario politico – ha avvertito -. Si fa tra l’altro nelle direzioni. Il Pd si tiene in piedi grazie ai suoi militanti”.

La vicepresidente uscente dell’Eurocamera è critica come tutta l’ala bonacciniana ha storto il naso, con il coordinatore nazionale Piero De Luca che ha ammesso: “C’è stato l’annuncio su Annunziata e Decaro al Sud ma il quadro è ancora molto aperto. Noi ci auguriamo che in modo costruttivo il confronto vada avanti. I civici possono essere un valore aggiunto, ma per mettere in campo la squadra migliore va valorizzata anche la classe dirigente che abbiamo”. Qualcuno suggerisce che Picierno potrebbe addirittura decidere di non candidarsi.

I cattolici di Base riformista contro l’ex direttore di Avvenire per le sue posizioni contro i conflitti

L’azzardo della segretaria è comunque rischioso. Annunziata aveva ripetuto in più occasione di non volersi candidare “né con il Pd né con nessun altro. Spero che questa smentita sia chiara abbastanza per mettere tranquilli tutti”, disse il 3 settembre dell’anno scorso. Come previsto da ieri è iniziato il cannoneggiamento nei confronti della candidatura dell’ex direttore de l’Avvenire Marco Tarquinio che non piace al presidente del Copasir e riferimento dio Base riformista Lorenzo Guerini e che viene sventolato dai centristi come simbolo di un “Pd che si smentisce nel supporto all’Ucraina”.

Ieri in difesa del giornalista sono intervenuti Goffredo Bettini e il deputato dem Nicola Zingaretti. “Penso che il nome di Tarquinio sia di grandissimo livello” ha detto anche l’ex ministro Andrea Orlando che però ci tiene a ricordare a Schlein “che la società è fatta di movimenti sociali, di lotte per il lavoro, di persone che combattono per difendere il proprio reddito. E questo credo sia un elemento che dobbiamo cercare di rappresentare con le nostre liste”. Su Tarquinio galleggiano i dubbi anche della comunità Lgbtq+ che lo ricordano come difensore del Family day e assolutamente contrario al ddl Zan. “Un partito che vuole mandare in Europa #Zan e anche Tarquinio (contrario al ddl zan, alle adozioni per le coppie #Lgbt e soldatino del Family Day) è un partito allo sbando”, scrive sul suo account X il giornalista Simone Alliva.

Sembra essersi raffreddata invece la pista che portava all’italiana Ilaria Salis, detenuta nell’Ungheria di Orbán, come candidata per Bruxelles. Mentre per la delicata questione delle donne che si ritroverebbero penalizzate dalla candidatura della segretaria in tutti i collegi (ormai data da molti per scontata) nei prossimi giorni dovrebbe riunirsi la Conferenza delle donne del Pd per valutare le possibilità di mediazione con Schlein prima di spaccarsi alla direzione che dovrà votare le liste. “Al lavoro insieme”, scrivono Schlein e Bonaccini ma il lavoro da fare è lungo e molto complicato.

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Tra Dell’Utri e Di Matteo. La doppia morale di Gasparri

Ne avevamo scritto qualche giorno fa: che ci fa il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri in Commissione Antimafia Fa il Gasparri, ovviamente. Così ha preso carta e penna per scrivere al ministro alla Giustizia Carlo Nordio un atto di sindacato ispettivo con cui chiede di punire il magistrato Nino Di Matteo, colpevole di avere risposto all’intervista del giornalista e scrittore Saverio Lodato nel libro “Il colpo di spugna” commentando la sentenza della Cassazione sul processo trattativa Stato-mafia, sollevando le criticità e illogicità presenti nelle motivazioni con cui i supremi giudici hanno assolto tutti gli imputati del processo.

Che ci fa il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri in Commissione Antimafia Fa il Gasparri, ovviamente

Gasparri ha scritto al Guardasigilli per sapere “quali iniziative intenda assumere per verificare l’eventuale sussistenza di responsabilità disciplinari e a tutela della magistratura, della Corte di Cassazione e dei suoi componenti” e per “verificare l’eventuale sussistenza di reati derivanti dalle esternazioni contenute nel citato libro”. L’ex ministro di Berlusconi, citando nella sua interrogazione svariati passaggi del libro, riportando poi la sua interpretazione, arriva a ritenere che il magistrato è autore di “gravi affermazioni e pericolose insinuazioni lesive del prestigio della suprema Corte di Cassazione”.

È il modello di giustizia che sogna certa destra dove i dubbi e le opinioni dei magistrati sono sempre diffamatori. Eppure se un magistrato dovesse trattenersi dall’avanzare accuse in giro, pensateci bene, non ci sarebbe nemmeno un magistrato. Come sognano i vari Gasparri, quelli che disconoscono la sentenza di condanna di Dell’Utri ma pasteggiano sulla manipolazione delle sentenze che gli tornano utili.

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Colletti bianchi e mafia, si è abbassata la guardia

Arrestato Matteo Messina Denaro i riflettori sull’ex boss di Cosa nostra e sulle coperture che ne hanno permesso una lunghissima latitanza si sono spenti. Nei giornali si son ripetuti ossessivi i contenuti melodrammatici del suo stato di salute, delle sue relazioni amorose vere e presunte e del riavvicinamento con la figlia. Dopo trent’anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in Italia si è ancora convinti che le mafie siano un genere letterario di boss, lupare e nessun colletto bianco.

La procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia sta ricostruendo la rete di protezione. Le prime sentenze sono state per Andrea Bonafede, l’uomo che aveva prestato la sua identità al boss, e Andrea Bonafede Junior, il geometra che ritirava le ricette dal medico Alfonso Tamburello. Il 13 marzo è stato condannato a 9 anni e due mesi Giovanni Luppino, l’uomo che faceva da autista a Messina Denaro il giorno della sua cattura. Il 60enne è stato condannato solo per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena, visto che la giudice Cristina Lo Bue non ha riconosciuto l’associazione mafiosa perché non sufficientemente provata.

Il nodo sono soprattutto le coperture ben più alte delle persone condannate e arrestate

I figli dell’autista, che avevano in custodia l’Alfa Romeo Giulietta del boss e gli facevano anche da scorta – il 29 dicembre del 2022 viaggiavano su un furgone dietro di lui mentre passava sotto casa della figlia Lorenza e delle sorelle – erano stati battezzati da Laura Bonafede, considerata per anni l’amante del boss. Ma il nodo sono soprattutto le coperture ben più alte delle persone condannate e arrestate. “C’è poi da chiarire il capitolo delle coperture extra mafiose: non credo alle coperture solo da parte dei familiari e di qualche compaesano. Dobbiamo capire se ci possano essere state coperture istituzionali. Del resto anche per Provenzano solo dopo svariati anni si è potuto accertare che ha potuto contare su coperture di altro tipo“, aveva detto il magistrato Nino Di Matteo dopo la cattura del boss.

Dopo l’arresto di Messina Denaro è mancata la domanda principale: quali sono state le coperture istituzionali del boss?

Per mesi abbiamo letto cosa mangiava Messina Denaro, come si vestiva, come corteggiava le sue donne, quali film preferiva ma è mancata la domanda principale: quali sono state le coperture istituzionali del boss? O meglio: davvero c’è qualcuno disposto a credere che l’uomo più ricercato d’Italia abbia potuto sparire per decenni grazie a un architetto, un tecnico di radiologia, qualche medico e una manciata di amici di infanzia

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Omissione pubblica

Ieri il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri ha risposto alla propaganda dei test psicoattitudinali nei confronti dei magistrati esprimendo un pensiero che hanno in molti: “se vogliamo farli per tutti i settori apicali della pubblica amministrazione sono favorevole, però facciamoli anche per chi ha responsabilità di governo e della cosa pubblica”. Aggiungendo: “facciamo anche il narco test e l’alcol test, perché uno che è sotto l’effetto di stupefacenti non solo fa ragionamenti alterati ma può essere anche sotto ricatto. Dunque, visto che ci troviamo, facciamo anche narco test e alcol test”.

Il direttore di Rainews, il meloniano Paolo Petrecca, deve avere pensato che nello scontro tra politica e magistratura c’era una parte da proteggere senza indugio e quindi ha deciso di omettere le parole di Gratteri. Il comitato di redazione sottolinea che “a un certo punto nei nostri notiziari le dichiarazioni di Gratteri sono scomparse. Ci chiediamo perché? Sul sito RaiNews.it la notizia è stata data solo grazie alla pubblicazione del servizio del Tg3 delle 19”. “Questo comportamento – si legge nella nota del Cdr – da parte del direttore non è più accettabile. Chiediamo rispetto per tutti i colleghi che intendono svolgere la propria attività senza condizionamenti di parte. L’assemblea ha dimostrato che la misura è colma ed è pronta a ogni iniziativa che restituisca dignità al servizio pubblico informativo”. 

Il servizio pubblico che omette le notizie è il modus di Paese antidemocratico. La deriva più pericolosa è quando la censura non diventa più notizia. Per questo la scriviamo qui. 

Buon giovedì. 

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Mangiatoia con i fondi del Pnrr. I rischi sono diventati realtà

Mentre da giorni si discute della fotografia di Antonio Decaro con due donne incensurate parenti di un clan mafioso che il sindaco di Bari ha sempre osteggiato tanto da meritarsi una scorta e mentre la peggiore Commissione antimafia degli ultimi anni sta preparando le carte per mettere sotto torchio il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano per spargere un po’ di propaganda, la mafia, quella vera, irrompe nelle cronache nazionali.

A ben vedere gli arresti sono all’ordine del giorno con operazioni che meriterebbero un minimo dibattito politico, ma le mafie ai tempi del governo Meloni sono uno squillare di trombe dalle parti del Viminale quando viene incarcerato qualche boss. È una questione tutta politica ad esempio che l’architetto (sospeso) Massimo Gentile promosso tre anni fa alla “posizione organizzativa nonché la responsabilità dei procedimenti relativi al Servizio Lavori Pubblici per il periodo dal 01/11/2021 al 31/10/2024″ che tradotta in parole molto più semplici significa che Gentile si ritrova a distribuire e organizzare i fondi del Pnrr.

C’è il grave pericolo che gli enormi capitali messi a disposizione dal Pnrr possano finire nelle mani delle mafie

Sul suo profilo Facebook in bella mostra l’architetto (sospeso) arrestato ieri con l’accusa di avere ceduto più volte la sua identità a Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza magnifica “l’ampliamento rotatoria e realizzazione parcheggio e marciapiedi di via Lombardia/Tolstoj/Bruni”, la “ristrutturazione di 2 capannoni con tetto in eternit. Smaltimento amianto, riqualificazione con nuove destinazioni d’uso con campo da tennis, palestra multidisciplinare, campo da basket esterno e percorso pedonale perimetrale”, la “riqualificazione della pista di atletica” e l’incarico di capo di area tecnica che era in divenire con il Comune di Turate.

Una montagna di soldi pubblici gestiti da un architetto sospeso dal gennaio 2016 in un comune – quello di Limbiate – guidato da vent’anni da un sindaco di Forza Italia, Antonio Domenico Romeo, finito al centro di sospetti su possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta con palesi interessi del clan Moscato sull’esito delle elezioni amministrative. A settembre dell’anno scorso nella sua relazione semestrale la Dia aveva sottolineato come “le mafie preferiscono rivolgere le proprie attenzioni sempre più ad ambiti affaristico-imprenditoriali, approfittando della disponibilità di ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite.

Si tratta di modi operandi dove si cerca sia di rafforzare i vincoli associativi mediante il perseguimento del profitto e la ricerca del consenso approfittando della forte sofferenza economica che caratterizza alcune aree, sia di stare al passo con le più avanzate strategie di investimento, riuscendo a cogliere anche le opportunità offerte dai fondi pubblici nazionali e comunitari (Recovery Fund e Pnrr)”. Un mese dopo l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) sottolineava come la maggior parte degli appalti Pnrr e del Piano complementare (30 miliardi di euro aggiuntivi) banditi fino a lì sono stati assegnati per affidamenti diretti alle imprese, cioè senza gara e con poca o nessuna concorrenza (e quindi zero controlli e zero trasparenza). Il rischio scontato è di rivolgersi – anche inconsapevolmente – alle imprese colluse con la mafia o a quelle che accettino la corruzione facendo aumentare i prezzi, favorendo il lavoro nero e non garantendo né qualità, tantomeno risparmi di tempo.

Emblematiche le irregolarità sulla diga di Genova. Ignorate malgrado i reiterati allarmi dell’Anac

Solo pochi giorni fa il Procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri (nella foto) ha ricordato il grave pericolo che i capitali del Pnrr possano finire nelle mani delle mafie. Per questo occorre “attrezzarsi: calcolate che adesso col Pnrr su una stessa area, mentre prima c’era un cantiere, in futuro ce ne saranno 4-5, quindi ci vorrebbe il quadruplo degli investigatori per poter avere un livello accettabile” di sicurezza. Gratteri ha aggiunto che “ci stiamo attrezzando, ma bisognava pensarci prima. Oltre a chiedere i soldi del Pnrr bisognava anche fare concorsi per più polizia giudiziaria e più magistrati”.

A dicembre dello scorso anno è stato licenziato un testo che prevede l’abolizione del controllo concomitante sulla spesa dei fondi del Pnrr (uno strumento attivabile “in itinere” su richiesta delle Commissioni parlamentari) e la proroga fino a giugno 2024 dello “scudo erariale” che limita la responsabilità contabile da condotte attive ai soli casi di dolo. “Escludere la responsabilità amministrativa per condotte commissive gravemente colpose, – spiegava il criminologo forense e giurista Vincenzo Muschio – tenute da soggetti, sia pubblici sia privati, riducendo, di fatto, la tutela della finanza pubblica, significa impedire di perseguire i responsabili e di recuperare le risorse distratte, facendo sì che il danno erariale resti totalmente a carico della collettività”.

“I controlli in itinere sul Pnrr servono perché così si monitorano i processi di spesa pubblica senza i quali si rischia davvero che il sistema cada nell’illegalità, nella corruzione e nelle mani della criminalità organizzata” aveva aggiunto Musacchio. Ma il suo appello è caduto nel vuoto. E quando qualcuno segnala qualche irregolarità viene visto come sabotatore della ripresa. Anche questo è un film già visto.

Chi critica lo stop alle verifiche sull’uso di soldi pubblici viene additato come sabotatore dall’esecutivo

Ieri Anac non ha cambiato non ha cambiato la propria posizione sulla nuova diga foranea di Genova: i rilievi inerenti la presunta irregolarità dell’aggiudicazione dell’appalto a Pergenova Breakwater (consorzio capitanato da Webuild) sono stati confermati anche a valle del secondo giro di controdeduzioni dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale e di Rina Check, coinvolta in quanto verificatrice del progetto preliminare a base della procedura d’appalto. Se si ritiene che nell’appalto della diga di Genova qualche servitore dello Stato sia stato corrotto, va individuato e punito, se invece riteniamo che qualcuno abbia applicato delle regole più semplici e veloci per arrivare alla realizzazione dell’opera va scovato e premiato”, ha commentato il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Accade sempre così: o l’arresto del boss da offrire al pubblico o le mani libere. L’antimafia e l’anticorruzione di questi tempi sono solo o bianco o nero.

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Antifascismo percepito. E antirazzismo omeopatico

L’antirazzismo omeopatico è la nuova moda del momento, insieme all’antifascismo percepito. Il trucco consiste nel dichiararsi convintamente antirazzisti quando le occasioni lo richiedono e poi comportarsi in modo opposto quando si ritiene di non essere ascoltati. Nella repubblica indipendente del calcio italiano l’antirazzismo è un prodotto di marketing che funziona moltissimo.

Nella repubblica indipendente del calcio italiano l’antirazzismo è un prodotto di marketing che funziona moltissimo

Alla stregua degli spot della Fifa anche la Figc ogni domenica ci propina qualche frase da baci perugina per dirci che essere razzisti è roba che non si fa. Striscioni con grafiche evolutissime, video con testimonial d’eccezione e comunicati stampa sinteticamente perfetti ci ripetono che il calcio italiano, come il calcio mondiale, è contro ogni forma di razzismo. Verrebbe da pensare quindi che siano anche contro il razzismo calcistico. E invece no.

Il giudice sportivo ha deciso di assolvere per mancanza di prove il calciatore dell’Inter Francesco Acerbi che in campo avrebbe detto “vai via nero, sei solo un negro” al calciatore del Napoli Juan Jesus. Le immagini mostrano chiaramente Acerbi scusarsi poco dopo con l’avversario dicendo chiaramente “non sono razzista” e indicando un suo compagno di squadra nero (è la famosa teoria del “ho molti amici neri” dei non sono razzista ma…).

In sostanza la giustizia sportiva ha assolto un calciatore che si è scusato. Ci troviamo di fronte a un capolavoro giuridico. E la politica Muta. La politica si limita ai comunicati stampa che si aggiungono agli striscioni, agli spot e a tutto il resto. Insomma, si combatte il razzismo ma solo il razzismo degli altri. Solo che gli altri alla fine hanno sempre qualche amico per cui essere antirazzisti, oltre che dirsi, viene rimandato a un’altra occasione.

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L’Europa sta invecchiando. E L’Italia è il Paese con più anziani di tutti

In Europa il miglioramento delle condizioni di vita e il conseguente allungamento della vita della popolazione anziana è in aumento in parallelo con il calo delle nascite. L’Europa sta invecchiando. All’inizio degli anni 2000 la quota di persone con almeno 65 anni di età sul totale si aggirava intorno al 16%: appena 20 anni dopo, il valore risulta incrementato di 5 punti percentuali. Nonostante qualche differenza tra gli stati europei, non c’è paese che non registri questo fenomeno. In media, il 21,3% dei cittadini Ue è anziano. Sono più di 90 milioni. Come emerge dalle rilevazioni demografiche di Eurostat si parla di oltre il 20% di tutta la popolazione: più di una persona su cinque.

In Europa il miglioramento delle condizioni di vita e il conseguente allungamento della vita della popolazione anziana è in aumento in parallelo con il calo delle nascite

L’Italia con il Portogallo è il Paese che svetta per percentuale della popolazione. Siamo al 24%. Seguono Bulgaria, Finlandia e Grecia con quote superiori al 23%. Solo in 9 stati membri non si arriva al 20%: si tratta di Lussemburgo (unico sotto il 15%), Irlanda, Cipro, Slovacchia, Malta, Austria, Romania, Belgio e Polonia. L’Italia – sottolinea in un suo rapporto Openpolis – è anche il paese con l’età mediana più elevata: 48,4 anni, mentre in Irlanda, Lussemburgo e Cipro siamo sotto i 40. L’aumento del numero degli anziani – va da sé – corrisponde con una maggiore spesa pubblica: in primis, le pensioni per vecchiaia sono un presidio necessario ma anche gli investimenti in infrastrutture di sostegno sociale e medico, come le strutture residenziali per gli anziani non autosufficienti.

Anche in questo caso l’Italia è ben sopra la media europea di spesa del Pil che si assesta al 10%: il nostro è il primo paese in Europa per spesa per anziani in rapporto al Pil (13,7%). Seguono Finlandia, Austria e Francia (sopra il 13%). Ultima invece l’Irlanda (3,1%). Nel nostro paese questa voce di spesa ammonta a più di 266 miliardi di euro, pari al 24,4% della spesa totale. In Finlandia, la quota supera il 25%. Un nuovo welfare sulla non autosufficienza per gli anziani era stato pensato dal governo Draghi con una legge delega approvata con poche modifiche dall’esecutivo Meloni e licenziata dal Parlamento senza voti contrari dell’uno o dell’altro schieramento.

Il giudizio sul risultato finale è impietoso: “la riforma dell’assistenza agli anziani è stata rinviata perché non attua la legge delega approvata lo scorso anno se non per aspetti molto limitati”. A scriverlo è il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza – il cartello tra 60 organizzazioni a vario titolo coinvolti nella rappresentanza o nella cura o degli anziani – che ha lavorato a lungo sulla legge. Per gli esperti del Patto il “decreto non prevede la riforma dell’assistenza agli anziani” poiché manca del tutto il “riordino complessivo del settore, previsto dal Pnrr, obiettivo della riforma attesa in Italia da oltre 20 anni”.

Tra pensioni e cure sanitarie, l’innalzamento dell’età incide pesantemente sulla spesa pubblica

La legge finale per il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza rimane “un testo ricco di dichiarazioni di principio, esercizi definitori e rimandi ad altre normative destinato a lasciare sostanzialmente immutate le politiche di assistenza agli anziani”: “nel passaggio dalla Legge delega al decreto attuativo viene cancellata la prevista riforma dell’assistenza a casa. Si sarebbe dovuto introdurre un modello di servizi domiciliari specifico per la non autosufficienza, oggi assente nel nostro Paese” e “l’indennità di accompagnamento” è prevista “solo si è poveri mentre attraverso il welfare è necessario sostenere anche le classi medie”. I 3,8 milioni di anziani non autosufficienti dovranno attendere ancora un welfare dedicato. Mentre i numeri ci diranno che saranno sempre di più.

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