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I deliri di una giornata tipo del campo largo tra Calenda e Bonaccini

Una tipica giornata del cosiddetto campo largo dai contorni del campo minato. Ieri mattina il presidente della Regione Emilia Romagna nonché presidente del Partito democratico dopo avere perso le primarie per la segreteria, Stefano Bonaccini, ha rilasciato un’intervista a La Stampa in cui ha affrontato il tema del cosiddetto Terzo polo che non è mai stato terzo e che non è mai stato un polo e che ora chiamano “centristi”.

Il leader di Azione, Carlo Calenda, tratta con Cirio e Bardi. Ma per il governatore è irrinunciabile

“Potrei dire che in Sardegna i centristi non erano con noi – ha spiegato Bonaccini – e la lista dei 5S non è andata bene. Ma per la prima volta quel Movimento ha eletto una presidente alla guida di una Regione. Noi dobbiamo rivolgerci a tutte le forze di opposizione al Governo, che non ha certo bisogno di stampelle. Il Pd deve crescere e allargare la sua base elettorale per essere il perno di un centrosinistra largo e aperto alle migliori esperienze civiche”.

Rapida esegesi dell’intervista: per Bonaccini e per la corrente di minoranza che rappresenta all’interno del Pd inseguire Renzi e Calenda è fondamentale per poter essere credibili. Sanno tutti che il sogno di Base riformista – la corrente che si oppone alla segretaria Elly Schlein – sarebbe un Pd chioccia del Terzo polo senza il M5S ma la vittoria in Sardegna ha smussato i loro sogni. Con il M5S ma assolutamente con i centristi, quindi. Ieri in un’altra intervista ha parlato il leader di Azione Carlo Calenda, politico irraggiungibile nell’arte di distinguersi per i no. Calenda dice che “non esiste il campo largo, ma c’è un bivio: o i riformisti o i 5 Stelle, che tutto sono fuorché di centrosinistra”, di fatto smentendo il progetto politico che sta alla base della segreteria di Elly Schlein.

Per il leader di Azione ciò non preclude certo i furbi accordi sul piano locale, dove “è più facile ritrovarsi attorno a un progetto per il territorio e a un candidato credibile”. Ma di adottare lo stesso schema per la guida del Paese non se ne parla: “Se il Pd vorrà restare insieme al M5S, capitanati da un signore che nega il sostegno all’Ucraina, noi non ci saremo perché se anche dovessimo vincere, poi saremmo incapaci di governare”. Rapida esegesi della sua intervista: mai con il M5S a meno che non si sia condannato all’irrilevanza.

L’ex ministro insiste sul veto a Conte. Ma le Regionali in Abruzzo e Sardegna hanno certificato la sua irrilevanza

Per Calenda il campo largo non è altro che un ventaglio di possibilità per adottare l’antica politica dei due forni di andreottiana memoria. Ci si allea con chi probabilmente vince per pesare molto di più della proprie dote elettorale. Le “intese locali”, come le chiama il leader di Azione, sono la palestra per un’oscillazione nazionale. Non si capisce bene perché gli indigeribili 5S dovrebbero diventare appetitosi sotto un certo numero di abitanti elettori ma la teoria raccoglie consensi. Così dopo Soru in Sardegna e D’Amico in Abruzzo ora Azione potrebbe allearsi con la destra.

Sono ben avviati i contatti per Bardi in occasione delle prossime elezioni in Basilicata e con Cirio per il Piemonte. Una tipica giornata del cosiddetto campo largo. La minoranza del Partito democratico dolcemente schiaffeggia la sua segretaria imponendo il centro come imprescindibile punto di partenza di una coalizione. Il leader M5s non parla e non parla nemmeno la segretaria del Pd. A rispondere all’opposizione interna dem ci pensa un pezzo del centro (che non parla più con l’altro pezzo del centro) per dire che la prima condizione di un qualsiasi dialogo è l’esclusione di altri. La domanda rimane sempre la stessa: come può essere potabile un campo largo così?

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Via libera al Media Freedom Act. Il Parlamento Ue fa a pezzi la riforma Rai di Renzi

Passa al Parlamento europeo il cosiddetto Media Freedom Act pensato da Bruxelles per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza per le reti pubbliche. Il nuovo regolamento, approvato con 464 voti favorevoli, 92 voti contrari e 65 astensioni, obbliga gli Stati membri a proteggere l’indipendenza dei media e il lavoro dei giornalisti, vietando qualsiasi forma di ingerenza nelle decisioni editoriali. Alle autorità sarà vietato ricorrere ad arresti, sanzioni, perquisizioni, software di sorveglianza intrusivi installati sui dispositivi elettronici e altri metodi coercitivi per fare pressioni su giornalisti e responsabili editoriali e costringerli a rivelare le loro fonti.

Il Media Freedom Act è pensato per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza

Il Parlamento ha introdotto, durante i negoziati con il Consiglio, forti limitazioni all’uso dei software spia, che sarà consentito soltanto caso per caso e previa autorizzazione di un’autorità giudiziaria nell’ambito di indagini su reati gravi punibili con pene detentive. Anche in queste circostanze, tuttavia, le persone interessate dovranno essere informate dopo che la sorveglianza è stata effettuata e potranno poi contestarla in tribunale. Per evitare che gli organi di informazione pubblici siano strumentalizzati a scopi politici, i loro dirigenti e membri del consiglio di amministrazione andranno selezionati per un mandato sufficientemente lungo sulla base di procedure trasparenti e non discriminatorie.

Il licenziamento prima della scadenza del contratto sarà consentito solo nel caso in cui vengano a mancare i requisiti professionali. I finanziamenti destinati ai media pubblici dovranno essere sostenibili e prevedibili e seguire procedure trasparenti e obiettive. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali interessi possono celarsi dietro la proprietà, tutte le testate giornalistiche, dalle più gradi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato.

Colpo alla lottizzazione della Rai. Dal M5S al Pd all’Usigrai sale il pressing per sottrarre il Servizio Pubblico dal controllo politico

E in Italia Per la presidente della Vigilanza Rai Barbara Floridia è “il punto di non ritorno” per l’emittente di Stato. “Auspico che le forze politiche – dice Floridia – siano in grado di superare staccati ideologici e interessi di parte e lavorare all’obiettivo condiviso di tutelare l’indipendenza” del servizio pubblico. “Ovviamente è un voto che non ci coglie impreparati“. Per il deputato Pd ed ex Ministro del Lavoro Andrea Orlando “il via libera al Parlamento europeo del Media Freedom Act toglie ogni alibi a tutte le forze politiche per lavorare ad una riforma, non più rinviabile, della governance della Rai in una Fondazione indipendente”.

Riforme richieste anche dal sindacato Usigrai: “Si apre la strada alla protezione dei media dalle ingerenze politiche. Un provvedimento particolarmente importante che dovrebbe essere subito adottato nel nostro Paese per non riproporre in Rai lo schema di occupazione messo in piedi dai partiti che da sempre comandano sull’azienda di servizio pubblico”. Per consigliere del Cda Rai, Davide Di Pietro, “è la pietra angolare per l’indipendenza dei media e per un Servizio pubblico forte e libero dai partiti”.

Il nuovo regolamento europeo introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati

Il Media Freedom Act introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali possano essere i conflitti di interesse di tutte le testate giornalistiche, dalle più grandi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato. I media dovranno anche riferire sui fondi che ricevono dalla pubblicità statale e sul sostegno finanziario dello Stato, anche nel caso in cui questi provengano da Paesi terzi.

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La legge del manganello. By Romano La Russa

Romano La Russa ha come più grande qualità politica quella di essere fortunato fratello di quell’Ignazio Maria Benito che ha trovato molta fortuna sul palcoscenico nazionale. Romano La Russa ha issato il proprio feudo in Lombardia, mai avara quando si tratta di garantire comode carriere al giusto fratello, al giusto parente o al giusto fidato di qualcuno di potente.

Ora Romano si ritrova a essere assessore alla Sicurezza per Regione Lombardia. Il La Russa minore ama considerevolmente quel ruolo perché si tratta di un assessorato omeopatico che si gioca tutto sul percepito: se sembri abbastanza cattivo sei un assessore abbastanza credibile. Durante una discussione della giunta lombarda, guidata dal leghista Attilio Fontana, Romano La Russa ha detto all’opposizione che “i minorenni che difendete li usate come avanguardie delle spranghe che cinquant’anni fa usavano i loro nonni”.

Al centro del dibattito c’era una mozione del leghista Davide Caparini – che incidentalmente è marito dell’eurodeputata leghista Silvia Sardone – per dare “sostegno alle forze dell’ordine e alla libertà di manifestare in modo civile”, e per “esprimere la massima solidarietà a chiunque voglia esprimere le proprie idee con la presentazione di un libro”. Si riferiva proprio alla sua coniuge. A proposito di affari di famiglia.

Per il centrodestra “le manganellate ai manifestanti sono sempre spiacevoli e deprecabili e sarebbe meglio evitarle, ma chi partecipa a un corteo deve sapere che la partecipazione deve sempre implicare senso di responsabilità e non il pensiero che appartenendo ad un gruppo si possano violare le regole”. La risposta migliore a La Russa è della consigliera regionale dem Carmela Rozza: “Non voglio tornare a cinquant’anni fa quando eri il picchiatore di San Babila. La Resistenza l’hanno fatta i partigiani sulle montagne e voi non c’eravate”, ha detto. Amen.

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Se sei povero soffri meno degli altri. Parola di giudice

C’è voluta la Corte di Cassazione per rimediare a una spaventosa sentenza secondo cui l’ingiusta detenzione di un senza tetto valesse il 30% in meno di un altro qualsiasi cittadino. Secondo la Corte d’Appello di Milano un senza tetto con una “subalternità culturale” derivante dalla marginalità socio-economica avrebbe sofferto meno degli altri. Secondo il calcolo standard il cittadino ingiustamente detenuto avrebbe dovuto avere 235 euro per ogni giorno di carcere immeritato. Ma i 107.630 euro, sono diventati 75mila. Un taglio del 30% giustificato dalla condizione del ricorrente. Per i giudici d’Appello il prevenuto “almeno per il periodo, in cui fu sottoposto alla misura custodiale, era quella di un uomo che viveva in una situazione di accentuata marginalità socio-economica e di subalternità culturale”. Senza affetti e privo di una abitazione stabile ed è per questo che la corte di merito ha ritenuto congruo tagliare di un 30% l’indennizzo per la carcerazione patita, d’altronde l’aver vissuto in una baracca e l’assenza di un’occupazione “e di rapporti affettivi di qualsivoglia natura”, sono fattori che avevano certamente inciso molto negativamente sulla qualità della sua esistenza. Tutto questo secondo i giudici doveva dunque necessariamente aver mitigato il patimento naturalmente connesso alla carcerazione.

La terza sezione di Cassazione con la sentenza numero 9486/2024 ha rimediato alla sentenza classista parlando di “principio rovesciato”. “Per non parlare – scrivono i giudici – dell’incomprensibile richiamo, pure utilizzato nell’ordinanza impugnata, alla subalternità culturale”.

Buon giovedì. 

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Una legge sull’Intelligenza artificiale. Meloni la vuole controllata dal governo

Dice Giorgia Meloni che “il governo sta predisponendo un provvedimento di legge che ha come obiettivo quello di stabilire alcuni principi, determinare le regole complementari a quelle del regolamento europeo che è in via di approvazione e individuare le misure più efficaci per stimolare il nostro tessuto produttivo. Inoltre stiamo lavorando per individuare l’organismo più idoneo a svolgere il ruolo di autorità competente sull’uso delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale”. Per questo secondo la presidente del Consiglio esiste la necessità di costruire una “via italiana all’intelligenza artificiale”.

Il sottosegretario Butti esclude che sarà un’Autorità indipendente a vigilare sull’Intelligenza artificiale

Meloni l’ha spiegato ai partecipanti al convegno “L’intelligenza artificiale per l’Italia”, parlando di nuovi investimenti sull’intelligenza artificiale. “Il sistema Italia – ha detto la premier – ha bisogno che si parta dai grandi campioni di questa nazione e per questo voglio ringraziare Cdp – e in particolare Cdp Venture Capital – perché grazie al loro impegno sarà possibile investire un miliardo di euro sull’IA, sia creando un nuovo fondo di investimento specializzato sull’IA, sia usando fondi di investimento già attivi ma che coinvolgono questa tecnologia”. Al convegno organizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, e da Agid (Agenzia per l’Italia Digitale), era presente anche il Sottosegretario di Stato, con delega all’innovazione, Alessio Butti (nella foto). Facendo riferimento a quanto detto da Meloni sulle norme che regoleranno l’IA in Italia, Butti ha detto che l’autorità competente per l’intelligenza artificiale, ai sensi del regolamento Ue, sarà “prevedibilmente un’agenzia e non un’autorità indipendente”.

Si tratterà, ha aggiunto il sottosegretario, di “un organismo con un ruolo di supporto all’attuazione della strategia nazionale, ma anche con funzioni di vigilanza e sanzioni”. Butti ha anche dichiarato che “sull’IA ci sarà un disegno di legge e non un decreto legge, per scelta del presidente del Consiglio che vuole un confronto con il Parlamento. Il governo varerà il provvedimento penso nei prossimi 15 giorni”. “Intendiamo dispiegare immediatamente le risorse a disposizione. Nel disegno di legge sarà già presente il Fondo che abbiamo fatto decollare con Acn e Cdp che cuberà intorno agli 800 milioni. In più, dopo il piano industriale di Cassa depositi e prestiti venture capital, ci sarà la disponibilità di un miliardo” ha spiegato Butti.

La norma prevede due punti chiave: l’indipendenza tecnologica e la valorizzazione delle imprese italiane

L’intelligenza artificiale in salsa sovranista prevede due punti chiave: l’indipendenza tecnologica e la valorizzazione delle imprese italiane. Rimangono però almeno due dubbi che diverranno a breve temi politici. Sugli enormi rischi dell’intelligenza artificiale nella propaganda politica e nell’informazione. Tenere le redini dell’agenzia in mano al governo significa non poter controllare i controllori. Negli Usa – dove l’intelligenza artificiale è al centro del dibattito politico da mesi – se ne occupa un dipartimento di Stato che fornisce indicazioni politiche per implementare un’IA affidabile attraverso l’Osservatorio sulle politiche dell’IA dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), una piattaforma istituita nel febbraio 2020 per facilitare il dialogo tra le parti interessate e fornire analisi politiche basate sull’evidenza nelle aree in cui l’IA ha il maggior impatto. C’è poi il rischio di una figuraccia già vista con il ministro Lollobrigida e la carne coltivata: una legge sull’intelligenza artificiale che anticipa il dibattito le decisioni dell’Ue è destinata a essere solo retorica e propaganda.

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Salvini è una mina vagante. Ora Meloni teme un altro Papeete

Giorgia Meloni si sente forte, fortissima. La vittoria di Marsilio in Abruzzo ha spazzato le nubi soffiate dalla Sardegna e la presidente del Consiglio è rinfrancata. Si continua quindi sulla stessa linea, decide tutto lei. Tra le soddisfazioni che la leader di Fratelli d’Italia si intasca per il risultato abruzzese c’è anche il caotico crollo dell’alleato scomodo Matteo Salvini. Le voci vicine a Palazzo Chigi dicono della reale speranza che il ministro alle Infrastrutture molli la polemica nella maggioranza. Più che dedicarsi al fallimentare – per ora – tentativo di erodere voti alla premier il segretario della Lega dovrà occuparsi di tenere insieme la base del suo partito.

Oltre al fronte aperto con la Meloni. Salvini è bersagliato pure nel Carroccio. Dove la sua leadership non è più un tabù

Non va sottovalutato comunque che il governo perde cinque punti di fiducia nell’ultimo mese e scende sotto il 40%. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio Ixè, diffuso subito dopo le elezioni regionali in Abruzzo. Nel gradimento dei leader, scendono Giorgia Meloni (40%, -3% rispetto a febbraio) e Matteo Salvini (33%, -3%). Stabile Giuseppe Conte (32%) e in crescita di due punti Elly Schlein (26%). Per la seconda settimana consecutiva Fratelli d’Italia cala nei sondaggi, passando dal 27,3 al 27,1 per cento. Sette giorni fa il calo era stato dello 0,4 per cento. Naturali e prevedibili flessioni, dicono da Fratelli d’Italia. Chi sorride nel centrodestra è Antonio Tajani che ora sogna realisticamente il sorpasso alla Lega alle prossime elezioni europee ristabilendo gli equilibri di sei anni fa.

Il risultato abruzzese è un viatico importante in previsione dello sprint per le elezioni di Bruxelles. Per quell’occasione il leader di Forza Italia potrà contare su una nutrita truppa di leghisti della prima ora, proprio quelli che riaccendono lo spirito della Lega che fu e che con Salvini non riesce ad essere più. Sono sempre più insistenti le voci del reclutamento per le prossime europee di Marco Reguzzoni, ex capogruppo in Parlamento della Lega che tre giorni fa ha condannato la gestione di Salvini: “Ha commesso un errore fondamentale – ha detto Reguzzoni il 29 febbraio durante la presentazione del suo libro -. Aveva i numeri per poter incidere in Europa e ha scelto di stare fuori dal Ppe e in opposizione. Aveva un numero di parlamentari importante, ben 23, pensate che tutta l’Ungheria ne ha eletti 21, eppure non ha saputo incidere. E questo, la Lega lo pagherà in termini di consenso alle prossime elezioni”.

L’Abruzzo ha messo all’angolo il leader della Lega. Che minaccia di correre da solo in Veneto

Reguzzoni andrebbe ad aggiungersi agli ex colonnelli leghisti Flavio Tosi, Roberto Cota, l’eurodeputata Stefania Zambelli e altri transfughi in arrivo. I pessimi risultati di Matteo Renzi con il suo partito Italia Viva hanno convinto Tajani di tentare anche un deciso assalto al centro tra i moderati. Alla candidata al Nord Letizia Moratti il compito di adescare nomi di peso spaventati dalla soglia di sbarramento complicata per Renzi come per Calenda. Lui, Salvini, tenta di arginare l’emorragia puntando su nomi esterni che gli permettono di non mettere mano nel partito in subbuglio.

l problema è che le candidature simbolo come quella del generale Roberto Vannacci (che comunque non ha ancora sciolto la riserva) rischiano di acuire il malcontento. Il rifiuto dei presidenti di regione di aiutare il loro segretario, da Luca Zaia ad Attilio Fontana fino a Massimiliano Fedriga, è un segnale politico che non ha bisogno di troppe interpretazioni. E qui sorge il timore vero di Giorgia Meloni: se Salvini rimarrà solo potrebbe pensare al colpo di coda mettendo in pericolo il governo, come ha già fatto con il primo governo Conte. Proprio ieri il leader della Lega ha balenato l’ipotesi di correre da solo in Veneto “se ci saranno incompatibilità”. È una provocazione, ovviamente. Ma è il primo passo per vedere l’effetto che fa.

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I militari Nato sono già in Ucraina

Non ci ha fatto caso nessuno alla frase pronunciata dal ministro degli Estero polacco Radosław Tomasz Sikorski che in un’intervista a Sky News ha testualmente detto: “In Ucraina sono già presenti militari della Nato. Vorrei ringraziare gli ambasciatori di quei Paesi che hanno corso questo rischio. Questi Paesi sanno chi sono, ma non posso rivelarli. Contrariamente ad altri politici, non li elencherò”. 

Sono parole dal suono simile a quelle del presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel che in un’intervista al canale della rete pubblica ha testualmente detto che “dopo l’annessione della Crimea e l’occupazione di parte del Donbass, che fu essenzialmente un’aggressione anche se su scala molto più piccola di oggi, sul territorio ucraino operava una missione di addestramento della Nato, che un tempo comprendeva più di 15 Paesi e contava circa 1.000 persone”. Nessuna novità quindi per Pavel. 

Pochi giorni fa è stata resa pubblica l’intercettazione di una conversazione riservata tra il capo dell’Aeronautica della Germania Ingo Gerhartz e alcuni collaboratori. L’audio, della durata di 38 minuti e risalente al 19 febbraio, riguarda la possibile consegna dei missili a lungo raggio Taurus all’Ucraina. Gli intercettati citano la presenza di soldati britannici, statunitensi e francesi in Ucraina – ufficialmente negata da Londra, Washington e Parigi – per supportare le forze kievane nell’utilizzo dei sistemi d’arma occidentali.

L’Ue con Macron in testa sta discutendo la possibilità di inviare militari Nato in Ucraina. Qualcuno teme l’escalation. Ma siamo sicuri che i militari non siano già lì?

Buon giovedì. 

Nella foto: una stazione di servizio vicino a Kiev dopo un attacco missilistico russo, 7 febbraio 2024

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Bambini senza futuro. L’unica certezza è la guerra

A proposito di trattative che non trattano e di fomentatori della guerra vale la pena fare un giro dai bambini che stanno a Gaza, raccontando come stanno coloro che sono riusciti a scampare alla morte per pallottole o bombe nel totale di più di 30mila morti che dovrebbero essere il risultato della legittima reazione di Israele.

A proposito di trattative che non trattano e di fomentatori della guerra vale la pena fare un giro dai bambini che stanno a Gaza

In una ricerca gli esperti di salute mentale e di protezione dell’infanzia che lavorano con Save the Children a Gaza si parla di paura, ansia, carenza di cibo, iper-vigilanza e problemi di sonno, un’alternanza nello stile di attaccamento ai genitori, regressione e aggressività. Il disagio emotivo di schivare bombe e proiettili, la paura di perdere i propri cari, di essere costretti a fuggire attraverso strade disseminate di detriti e cadaveri e di svegliarsi ogni mattina senza sapere se riusciranno a mangiare hanno aggravato la situazione rendendo gli adulti di riferimento sempre più incapaci di affrontarla. Il sostegno, i servizi e gli strumenti di cui hanno bisogno per prendersi cura dei loro figli – secondo la ricerca – sono sempre meno. E proprio genitori e care giver hanno dichiarato all’organizzazione che la capacità dei bambini di immaginare un futuro senza guerra è ormai praticamente scomparsa.

“Mentre i bisogni umanitari aumentano, l’ultima escalation di violenza e l’assedio hanno causato un collasso totale dei servizi di salute mentale a Gaza, con i sei centri pubblici dedicati e l’unico ospedale psichiatrico di Gaza non più funzionante”, sottolinea Save the Children. Toccherà trovare qualcuno che spieghi a questi bambini che non devono prendersela troppo. Sono solo gli effetti collaterali di una guerra giusta.

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Dall’Abruzzo alla Basilicata. C’è… Speranza per l’intesa

Prima lo stallo, poi la quasi ripartenza e ora si riparte ma dal via. Il risultato delle elezioni regionali in Abruzzo complica le cose in Basilicata, dove il centrosinistra il prossimo 21 e 22 aprile si presenta da sfavorito. Da queste parti però bisogna sciogliere il rebus di quale sia il recinto del campo largo. Per sapere chi c’è, chi non c’è e chi ci potrebbe essere bisogna tornare al candidato. Angelo Chiorazzo, il nome scelto dal Partito democratico locale e appoggiato dall’ex ministro Roberto Speranza, ha confermato che oggi alle 17 sarà nel suo comitato elettorale a illustrare le sue proposte per rilanciare l’occupazione femminile. Il re delle cooperative lucane non piace al Movimento 5 stelle.

Pressing per la candidatura in Basilicata dell’ex ministro Speranza che consentirebbe al Centrosinistra di correre unito

Nei giorni scorsi la segretaria dem Elly Schlein e il presidente dei 5S Giuseppe Conte l’avevano incontrato per esercitare una moral suasion sulla necessità di lasciare spazio a un nome che avrebbe potuto essere condiviso da tutti. L’ha ripetuto ieri anche Angelo Bonelli. “La nostra intenzione è di andare tutti insieme”, ha detto il leader dei Verdi riferendosi alla composizione di coalizione appena vista in Abruzzo, convinto “che andrebbe trovato un candidato che unisce, va trovato un candidato unitario, i 5S non mi pare lo vogliano – ha detto Bonelli – ma stiamo parlando per far sì che si trovi una soluzione condivisa”.

Sulla stessa linea è anche la segretaria del Pd Schlein che dell’alleanza con il partito guidato da Conte ha fatto il tratto distintivo della sua linea. Per Schlein la rimonta seppur perdente in Abruzzo deve spingere “a continuare a batterci con ancora più determinazione per costruire un’alternativa solida in grado di competere con la coalizione delle destre”, ha detto ieri. Si insiste sul campo largo, quindi, senza esitazioni nonostante Schlein sappia benissimo che la fronda interna aspetta impaziente l’occasione per poterlo mandare in soffitta.

Sì, ma Chiorazzo? Nei giorni scorsi è uscita una ridda di nomi – ufficialmente smentiti – che va dal dirigente sanitario Lorenzo Bochicchio componente dell’associazione “Basilicata casa comune” fondato proprio da Chiorazzo o l’altro socio Giampiero Maruggi. Usciti anche i nomi di Rocco Paternò, presidente dell’ordine dei medici di Potenza, Piero Marrese presidente della provincia di Matera e quello di Gildo Claps, fratello di Elisa. In lizza anche l’ex parlamentare Giampaolo D’Andrea e Cecilia d’Elia, parlamentare lucana eletta nel Lazio alle Politiche 2022.

Il dem piace a tutti e avrebbe l’autorevolezza per allargare

Ma il nome che metterebbe d’accordo tutti è quello dell’ex ministro alla Salute Roberto Speranza. Il dem piace a tutti, avrebbe l’autorevolezza per allargare e soprattutto giocherebbe la carte del sacrificio per amore della propria terra che in questi tempi di sovranismo ha una buona allure. Nelle scorse settimane qualcuno ha soffiato l’ipotesi all’ex ministro che però sembra poco convinto. La possibilità (e la necessità) di essere la chiave per sbloccare la situazione potrebbe fargli cambiare idea. Anche perché Speranza è stato il primo sponsor proprio di Chiorazzo e quindi la vicinanza non è in discussione.

Nei 5S Conte sa bene che il brutto risultato uscito dalle urne in Abruzzo smussa sensibilmente il suo potere di trattativa. “Bisogna arrivare a una sintesi che soddisfi anche i 5 Stelle”, ha detto ieri l’eurodeputata dem Pina Picierno: “La disponibilità di Chiorazzo c’è – ha detto Picierno – sta interloquendo con Conte e l’interlocuzione ci porterà a una sintesi, la migliore possibile”. È il modo dolce per dire al leader dei 5S che il tempo sta scadendo.

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L’Abruzzo giù dal Carroccio. Il declino di Salvini è inarrestabile

In via Bellerio, nel quartier generale della Lega, i fedelissimi di Matteo Salvini avevano fissato l’asticella al 10%. Sotto quella cifra, si diceva nel cerchio magico del leader, sarebbe stato difficile non riconoscere la sconfitta. Il risultato impietoso uscito dalle urne delle regionali in Abruzzo è ben lontano, fermandosi a un 7,4% che brucia ancora di più di fronte al 13% degli alleati di Forza Italia (che che in due anni sono cresciuti di due punti) e al 24% di Fratelli d’Italia a cui andrebbe aggiunto molto di quel 6% della lista civica del presidente Marco Marsilio fortemente sostenuta da persone della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Salvini deve contare altri 122mila voti persi. Dopo le Europee potrebbe farsi avanti un triumvirato composto da Zaia, Fedriga e Fontana

Il tracollo della Lega sta tutto nel tracollo del suo segretario. Le cifre disegnano i contorni del crollo. Rispetto alle elezioni regionali abruzzesi del 2019 stravinte dalla Lega con il 27% dei voti il partito ha perso qualcosa come 122mila voti. Le 165mila preferenze di cinque anni fa sono un mucchietto di 43mila schede. Se è vero che Marsilio è stato riconfermato presidente (l’unico a riuscirci qui negli ultimi trent’anni di alternanza forsennata tra centrodestra e centrosinistra) la geografia del suo potere oggi racconta tutt’altra storia: i 10 consiglieri leghisti della scorsa legislatura oggi sono diventati due e c’è da scommettere che i quattro assessori del Carroccio su sei saranno solo un ricordo.

Che la Lega stesse cominciando “a perdere tutto” per “il chiudere gli occhi, il tirare a campare rispetto a una valanga di problemi che, per scelta venivano accantonati, o per insipienza elusi” l’aveva denunciato all’orecchio di Salvini un leghista doc deluso che a novembre 2021 aveva lasciato la presidenza della società di trasporto pubblico abruzzese. Gianfranco Giuliante in una lettera aperta aveva descritto la leadership di Salvini come “un cesarismo cacio e ova ove esponenti storici della Lega si ritrovano con un daspo che impedisce la possibilità di partecipazione ai congressi senza motivo o per antipatia personale dopo molti anni di ruoli attivi e continuativi che hanno garantito la presenza della Lega in ogni occasione”.

Per Giuliante la gestione Salvini aveva tradotto “il dramma in farsa” e “la storia, che qui è una storiaccia, in isteria”. Poi ci sono stati gli addii dell’ex assessore ad Ambiente ed Energia Nicola Campitelli passato dalla Lega a Fratelli d’Italia (rieletto ieri) e l’assessora regionale alla Salute Nicoletta Verì che ha preferito candidarsi nella lista Marsilio. I dieci consiglieri di Salvini nella scorsa legislatura si sono dimezzati cammin facendo, con uscite più o meno polemiche nei confronti del ministro alle Infrastrutture. Che Salvini fosse terrorizzato da un risultato deprimente era la voce che circolava tra i leghisti. Negli ultimi giorni il segretario si era traferito in Abruzzo in pianta stabile, macinando quindici incontri in sei giorni, attraversando anche i paesi più piccoli. Non è servito.

La gestione padronale del partito presenta il conto al leader della Lega

Non è servita nemmeno la simulata sincerità con cui rivendicava avere comunicato agli abruzzesi il fallimento della linea Roma-L’Aquila con i fondi del Pnrr, poi recuperata in extremis con la promessa arrivata direttamente da Palazzo Chigi. A Salvini in Abruzzo non crede più nessuno e ora, anche in mancanza di congresso, la fronda interna è pronta alla sostituzione. Gli permetteranno come ultimo flop quello delle elezioni Europee e poi l’epoca del “capitano” si chiuderà mestamente. A sostituirlo sarà il triumvirato formato dal presidente veneto Zaia, il governatore friulano Fedriga e il presidente lombardo Fontana oppure il solo Fedriga con l’assenso degli altri due. Si riparte dal nord, dicono i militanti, ma soprattutto si riparte mettendo in panchina Salvini. Lui sui social scrive: “Bella vittoria del centrodestra, con un buon risultato per la Lega che supera i 5 Stelle e sinistra malamente sconfitta”. Ma è una voce in lontananza.

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