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Patto di Stabilità Ue, Lega e FdI in fuga dal voto e da Giorgetti

La Commissione Econ del Parlamento europeo ha approvato la riforma del Patto di stabilità confermando a maggioranza il proprio voto favorevole a quanto emerso dai negoziati inter-istituzionali sui tre testi di legge che compongono le nuove regole fiscali. Chi mancava nel momento del voto? Gli europarlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega.

Per la premier Meloni la riforma del Patto di Stabilità era una vittoria. Ma al momento dell’ok i suoi si sono volatilizzati

Il 20 dicembre dell’anno scorso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in una nota da Palazzo Chigi definiva l’accordo preso a Bruxelles “un compromesso di buonsenso per un accordo politico”. “L’Italia è riuscita, non solo nel proprio interesse, ma in quello dell’intera Unione, a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid”, dettava Meloni, che di fronte ai giornalisti si diceva “soddisfatta”, anche se non era “il Patto di stabilità che avrei voluto io”.

Da canto suo il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti aveva sottolineato, in Commissione bilancio della Camera, come con il nuovo patto di stabilità “probabilmente abbiamo fatto un passo indietro”, ma “la valutazione però la faremo tra qualche tempo, rispetto al vecchio ha il pregio che la Commissione può costruire un percorso per ogni singolo paese”, quindi con un sistema di regole “complicato ma mobile”.

La vittoria sventolata da Meloni settimana dopo settimana ha cominciato ad ammainarsi

La vittoria sventolata da Meloni settimana dopo settimana ha cominciato ad ammainarsi. L’altro ieri in commissione l’ultimo atto. Gli europarlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia membri titolari della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo hanno disertato il voto. “Evidentemente si vergognano di mettere la faccia sui tagli draconiani che questa riforma porterà al nostro Paese”, dice l’europarlamentare dei 5s Tiziana Beghin, che sottolinea la “presa di distanza pusillanime” che “non cambia le responsabilità su come si è arrivati a questo testo”. “Il loro Ministro Giancarlo Giorgetti lo ha negoziato in Europa e Giorgia Meloni lo ha più volte difeso. È loro la responsabilità politica – aggiunge Beghin – del ritorno dell’austerity e noi glielo ricorderemo ogni singolo minuto in campagna elettorale. La strategia dello struzzo e cioè far finta che i problemi creati non esistano con i cittadini non funziona”.

Uno studio della Confederazione europea dei sindacati (Ces) basato sui calcoli del prestigioso think tank Bruege ha ipotizzato che il nuovo Patto di stabilità porterà a un taglio alle spese per sanità, istruzione e investimenti che potrebbe arrivare a 100 miliardi di euro in Ue nei prossimi anni. Di cui un quarto solo in Italia. La riforma potrebbe costringere l’Italia a tagli annuali al bilancio tra lo 0,61% e l’1,15% del Pil (le percentuali più alte in Ue dopo Belgio e Slovacchia). Questo dipenderà dal tipo di piano di rientro del debito che il nostro governo concorderà con la Commissione europea (una delle novità della riforma), ossia se un piano di 4 anni o uno di 7 anni.

I sovranisti disertano la Commissione. M5S: “Si vergognano di metterci la faccia”

Nel primo caso, il taglio annuale, calcola la Ces, sarebbe di 25,4 miliardi. Nel secondo caso, lo sforzo scenderebbe a 13,5 miliardi. L’Italia ha ottenuto clausole per ammortizzare i tagli nell’immediato ma per Jeromin Zettelmeyer, economista tedesco con un passato da direttore al Fondo monetario internazionale, se lo sconto nel brevissimo termine “renderà la vita più facile ai governi che hanno negoziato il compromesso” (quindi a Meloni), il rinvio del pagamento degli interessi graverà sui “loro successori”.

“La riforma del Patto di Stabilità che obbligherà l’Italia a tagliare 12/13 miliardi l’anno – spiega Beghin – è passata in Commissione sostenuta da una maggioranza che va dai socialisti a Orban, passando per i liberali e i popolari. Tutti uniti, ahimé, nel difendere l’austerity”. Per l’Italia mancavano solo i diretti interessati.

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Quei 1.500 camion bloccati a Rafah

Sono almeno mille e cinquecento (1.500) i camion carichi di aiuti umanitari per la popolazione di Gaza bloccati al valico di Rafah. Bloccati perché gli è impedito di entrare nella Striscia dove la popolazione – secondo il Wto – si appresta a contare almeno altri 75mila morti per fame e per sete. 

Le immagini dei mezzi costretti al fermo le ha mostrate Meri Calvelli, cooperante della ong Acs, giunta al valico di Rafah assieme alla delegazione italiana che chiede il cessate il fuoco immediato e l’ingresso nella Striscia di aiuti umanitari senza alcuna limitazione. 

Su Gaza cadono bombe e pochi (pochissimi) aiuti umanitari dal cielo. Lo Stato di Israele evidentemente crede che per sconfiggere Hamas sia necessario impedire l’ingresso di cibo per salvare la gente stremata. Impossibile sapere cosa c’entri con la strategia militare del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affamare la gente già stracciata. 

Gli operatori umanitari fanno l’elenco di cose semplici che Israele non ha fatto per facilitare l’arrivo degli aiuti: consentire forniture essenziali sufficienti, aprire prima i punti d’ingresso e rispettare le minime condizioni di sicurezza per i convogli e gli operatori umanitari e i loro uffici, che invece vengono attaccati. Israele, inoltre, continua a respingere regolarmente le richieste umanitarie di far entrare altre fonti di energia come i pannelli solari, i generatori e le batterie. I civili palestinesi muoiono per cause evitabili: bombardamenti, mancanza di acqua e cibo, diffusione di malattie, assenza di cure mediche.

Il blocco israeliano è una forma di punizione collettiva e un crimine di guerra. Anche se scriverlo offende qualcuno. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: i camion bloccati a Rafah da Pagina esteri

 

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Figli di due mamme. C’è un giudice a Padova

Si tratta solo del primo round. Il tribunale di Padova ha respinto il ricorso della Procura che nella primavera scorsa aveva chiesto di annullare tutti gli atti di nascita con i quali il comune di Padova aveva riconosciuto a 35 bambini lo status di figli con due mamme. Quei bambini sono finiti in un limbo, orfani per sentenza, con l’avvallo della politica omofoba al governo. Per il tribunale il ricorso della Procura è inammissibile.

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso in Europa viene riconosciuto legalmente e realizzato in 21 stati

Poco distante, a Milano, però un mese fa la Corte d’Appello ha dichiarato illegittime le iscrizioni anagrafiche dei bambini con due mamme. La furia ideologica del governo con la mamma cristiana e italiana Giorgia Meloni e con il ministro all’Interno Matteo Piantedosi è semplicemente rimandata. La discriminazione che sfrutta i vuoti normativi è pusillanime. Ma non si possono lasciare i diritti in mano ai giudici.

Non possono essere i tribunali a decidere la geografia delle famiglie. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso in Europa viene riconosciuto – a febbraio del 2024 – legalmente e realizzato in 21 stati ovvero: Andorra, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Estonia. Il Parlamento ha l’obbligo di affrontare la questione.

Così ognuno si potrà assumere le proprie responsabilità: gli omofobi si siederanno con gli omofobi, i finti progressisti si sveleranno e ai cittadini verrà data la possibilità di giudicare i voti e non solo le promesse e le posture. La cosa certa è che fingere di non vedere la pluralità di famiglie non le cancella, con buona pace di Meloni e compagnia.

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Sull’Ucraina abbiamo scherzato. Pure l’atlantista Rampini in ritirata

La traiettoria della difficile guerra in Ucraina dopo l’invasione russa partorisce stelle cadenti, commentatori convinti di un’idea che ora predicano l’opposto senza nemmeno un plissé. Nell’orda si riconoscono le bretelle del giornalista del Corriere della Sera Federico Rampini. In un video all’interno della sua rubrica Rampini ci spiega che “bisogna parlare del futuro dell’Ucraina in termini realistici che significa anche crudeli”. “Nei vertici militari americani – spiega Rampini – pochi si illudono che sia possibile liberare tutta l’Ucraina dalla Russia”.

Rampini teorizzava la completa vittoria sul campo dell’Ucraina. Ora ammette: impossibile liberare i territori occupati

Qui allo spettatore sorge il primo velenoso dubbio. Ma come? Ma non era lo stesso Rampini un’esponente di quella folta schiera che fin dalle prime ore dell’invasione russa ci ha spiegato urbi et orbi che la completa vittoria militare dell’Ucraina era l’unica soluzione possibile? E poi: ma non c’era anche Rampini tra coloro che accusavano di filoputinismo chiunque si sforzasse di raccontare la realtà sul campo al di là dell’epica bellicista Deve avere cambiato idea, mica una cambiamento da poco. Ha tutta l’aria di essere un’inversione.

“Probabilmente, dopo le elezioni americane bisognerà trattare con Putin e, alla fine, lasciargli il territorio dell’Ucraina che ha occupato”, scrive il giornalista del Corriere. Dell’esigenza di una trattativa politica che non passasse dalle armi e che prevedesse una mediazione (la più giusta possibile) scrivono le associazioni pacifiste di tutto il mondo fin dall’inizio del conflitto. Non si tratta di “buonismo dei pacifinti”, come sprezzantemente dicono i sodali di Rampini: si tratta di realismo. È la famosa complessità che in Italia si dileggiava. Ora Rampini è diventato pacifinto e consapevole della complessità.

Il nuovo Rampini ora si domanda: “cosa si può dare all’Ucraina in cambio di questo grandissimo sacrificio? La certezza di entrare a far parte dell’Unione Europea al più presto e quindi dell’Occidente, cosa che desidera. E inoltre è necessario stabilire dei patti bilaterali di difesa con la Francia, con la Germania, con la Gran Bretagna, visto che non si potrà accelerare più di tanto il suo ingresso nella Nato”. In un aspetto l’atteggiamento è sempre lo stesso: come per la guerra anche per la pace si dà per scontato che siano altri Paesi a dover decidere le sorti dell’Ucraina.

Il giornalista attaccò su Repubblica il direttore di Avvenire per aver detto ciò che lui stesso sostiene ora

Rampini uno punto zero – vale la pena ricordarlo – era quello che due anni fa apostrofò come amico di Putin il mansueto ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio che si era permesso durante una trasmissione televisiva di contestare che 330 miliardi di dollari (la prima spesa complessiva per armi degli Stati europei della Nato) fossero “pochi” e che provò a spiegare come “le sanzioni non piegano i regimi” ma molto spesso “piegano i popoli”. Rampini si infuriò: “Ma stiamo scherzando? – sbottò in diretta televisiva – Questa è un’offesa vergognosa alle madri dei bambini uccisi. Questa è una cosa ignobile che si è permesso di dire e che rivela da che parte sta lei. È uno dei tanti che lavorano per Putin. Questo è il suicidio dell’Occidente: siamo pieni di gente che non vuole aprire gli occhi davanti al vero pericolo”. L’allora direttore di Avvenire non si scompose per “non abbassarsi agli insulti” ma fece notare che “evidentemente Rampini è uno che scrive, ma non legge”.

Ora la penna del Corriere della Sera deve avere trovato qualche minuto per leggere altre opinioni al di là della sua e ha scoperto che la complessità non si cancella deridendola. Chissà che delusione tra i suoi fiancheggiatori bellicisti. Resta solo un ultimo dubbio: non è che le opinioni cambiano in previsione delle nuove opinioni del nuovo potere che avanza negli Usa dove Rampini vive?

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Assange nel sacco dell’umido

Finalmente s’ode una parola per la tutela di Julian Assange dall’Europa che si è fatta unione per proporsi come culla del diritto e della libertà al resto del mondo. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri ha detto che «sarebbe bene che i tribunali britannici gli garantissero la necessaria protezione, perché deve effettivamente aspettarsi persecuzioni negli Stati Uniti, in considerazione del fatto che ha tradito segreti di Stato americani». 

Non è un caso che la domanda gli sia stata posta da uno studente durante un incontro in un centro formativo professionale a Sindelfingen. I grandi media, soprattutto quelli che si definiscono più progressisti, perdono la lingua ogni volta che si pronuncia il nome dell’attivista statunitense che rischierebbe 175 anni di carcere se estradato negli Usa. 

Tra i vari sconcerti di questa storia magnificamente silenziata c’è anche la cupidigia con cui gli stessi giornali che oggi si scordano di parlarne quando Assange era fonte autorevole per riempire le prime pagine dei giornali. È qualcosa che ha a che vedere con il giornalismo e con la lealtà. Giornalisticamente è obbligo per ogni testata custodire e proteggere la propria fonte, ancora di più se ha permesso di svelare vergognosi crimini di guerra compiuti in nome dell’esportazione di democrazia. Dal lato della lealtà (meglio, della slealtà) c’è la tranquillità con cui si è buttato nel sacco dell’umido un personaggio che anche dalle nostre parti qualche anno fa era un eroe. Tra il prima e il dopo è cambiata semplicemente l’ossessiva rabbia degli Usa. 

Buon martedì. 

Per approfondire Patrick Boylan Julian Assange la posta in gioco è la sua stessa vita 

Il libro di Left su free Julian Assange

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Il senso delle istituzioni. E le parole a caso di Donzelli

L’indebolimento di una democrazia comincia con l’abuso delle parole e dei dettami costituzionali. Accade così, in qualsiasi parte del mondo. Quando il linguaggio si svuota di significato per diventare solo luogo di propaganda si sedimenta una pericolosa abitudine a soprassedere le gravità e le falsità che vi sono contenute.

Donzelli dice di non ritenere “democratica” l’opposizione al governo. Siamo sicuri che si tratti solo di uso spregiudicato delle parole?

Mai stanco di difendere la sua capa Giorgia Meloni il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli è intervenuto sulle parole della presidente del Consiglio che quasi tutti hanno inteso come un attacco frontale nei confronti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in merito alle note manganellate contro gli studenti che manifestavano a Pisa.

Donzelli non è un parlamentare qualsiasi, è responsabile nazionale dell’organizzazione del suo partito e ne è stato per tre anni coordinatore nazionale, fino al 2017. Spiega Donzelli che quando Giorgia Meloni ha parlato di ”istituzioni”, che “tolgono il sostegno alle forze dell’ordine”, si riferiva alle forze di opposizione in Parlamento, “perché noi speriamo sempre – dice Donzelli – di avere di fronte un’opposizione istituzionale e democratica, ma purtroppo non è cosi”.

Come ha spiegato la giurista Vitalba Azzolini il singolo parlamentare non può essere definito come istituzione, perché non rappresenta l’istituzione Parlamento, la cui volontà si esprime solo attraverso il voto collegiale, né fa istituzione a sé. Sono concetti che si studiano al primo anno di giurisprudenza che evidentemente sfuggono a influenti dirigenti politici nazionali. C’è anche altro. Donzelli dice di non ritenere “democratica” l’opposizione al governo. Siamo sicuri che si tratti solo di uso spregiudicato delle parole?

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Per questo di Gaza va scritto tutti i giorni, tutto il giorno

“Le morti di bambini che temevamo sono arrivate, mentre la malnutrizione devasta la Striscia di Gaza. Secondo le notizie, almeno dieci bambini sono morti per disidratazione e malnutrizione nell’ospedale di Kamal Adwan, nel nord della Striscia di Gaza, negli ultimi giorni. È probabile che altri bambini stiano lottando per la vita da qualche parte in uno dei pochi ospedali rimasti a Gaza e che un numero ancora maggiore di bambini nel nord non possa ricevere alcuna cura. Queste morti tragiche e orribili sono causate dall’uomo, prevedibili e del tutto evitabili”. Lo scrive l’Unicef in un comunicato di ieri a tarda sera. 

La disparità di condizioni tra nord e sud è la prova evidente che le restrizioni agli aiuti nel nord stanno costando vite umane. Gli screening sulla malnutrizione effettuati dall’Unicef e dal Wfp nel nord del Paese a gennaio hanno rilevato che quasi il 16% – ovvero 1 bambino su 6 sotto i 2 anni – è gravemente malnutrito. Esami simili sono stati condotti nel sud, a Rafah, dove gli aiuti sono stati più disponibili, e hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni è gravemente malnutrito.

La diffusa mancanza di cibo nutriente, di acqua sicura e di servizi medici, conseguenza diretta degli ostacoli all’accesso e dei molteplici pericoli che le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite devono affrontare, si ripercuote sui bambini e sulle madri, ostacolando la loro capacità di allattare i propri figli, soprattutto nel nord della Striscia di Gaza. Le persone sono affamate, esauste e traumatizzate. Molti si aggrappano alla vita. L’arma più feroce usata su Gaza è il senso di impotenza iniettato tra la gente che può solo osservare attonita. Per questo va scritto tutti i giorni, tutto il giorno. 

Buon lunedì. 

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Giorgia Meloni maestra dell’argomento fantoccio

”Diciamolo agli italiani: si sta cercando di mettere in piedi uno scontro con il presidente della Repubblica perché la sinistra non sa come spiegare che non vogliono che i cittadini scelgano da chi farsi rappresentare. Cercano di schermarsi dietro al Capo dello Stato. Non mi pare corretto e per questo rinnovo la mia stima al presidente e anche la mia solidarietà per questi tentativi di strumentalizzarlo”. Parole, opere e omissione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, maestra di quello che tecnicamente viene chiamato “argomento fantoccio”.

La presidente del Consiglio Meloni è maestra di quello che tecnicamente viene chiamato “argomento fantoccio”

La fallacia logica consiste nel rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario esagerandola, travisandola, in modo da spostare il focus dall’argomentazione reale proposta ad un’argomentazione fittizia, con lo scopo di confutarla più facilmente.

L’argomento può essere costruito – lo spiega molto bene qualsiasi manuale – estremizzando l’argomento iniziale; citando fuori contesto parti dell’argomento iniziale; inserendo nella discussione una persona che difenda debolmente l’argomento iniziale e confutando la difesa più debole dando l’impressione che anche l’argomento iniziale sia stato confutato. citando casi-limite dal forte impatto emotivo; citando eventi avvenuti sporadicamente e/o accidentalmente e presentandoli come se fossero la prassi; forzando analogie fra argomenti solo apparentemente collegati tra loro; semplificando eccessivamente l’argomento iniziale; inventando una persona fittizia che abbia idee o convinzioni facilmente criticabili facendo credere che il difensore dell’argomento iniziale condivida le opinioni della persona fittizia.
Giorgia Meloni dice che non ce l’aveva con Mattarella quando tuonò contro i manganelli usati sugli studenti inermi. E oltre alla fallacia logica si intravede anche un po’ di vigliaccheria.

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“Dall’Ucraina alla Palestina, subito il cessate il fuoco. La pace non si costruisce con la guerra”: parla Vignarca

Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo, cosa ci dice l’enorme partecipazione in Russia ai funerali di Navalny?
“Dimostra quello che sottolineano da tempo. Anche se non lo può esprimere, la maggioranza dei russi è contro questa guerra. Non lo dice perché c’è repressione e autoritarismo e perché c’è la difficoltà di capire che c’è una guerra in corso. La possibilità per loro di attingere a informazioni non è semplice. C’è una censura di base anche se dopo due anni la consapevolezza è maggiore. Per questo noi abbiamo lavorato per favorire gli obiettori di coscienza in Russia, sia dall’esterno passando informazioni sia con chi è all’interno e lavora con i gruppi locali. Lavoriamo con le madri dei soldati, con le associazioni della società civile. C’è bisogno della stessa cosa anche in Bielorussia e in Ucraina. C’è bisogno di ragionare sul fatto che la guerra si inizia a fermare quando non la fai fare alla gente”.

Intanto sembra esserci stata una reazione internazionale dopo l’eccidio, ribattezzato degli affamati, a Gaza…
“Ti dico la verità, forse la gravità estrema di quello che è successo ieri (giovedì, ndr) ha smosso oltre ogni ipotesi che si poteva fare. Delle persone che vengono uccise mentre provano a recuperare cibo perché tutto è bloccato da tempo, hanno svegliato le coscienze. Non ho mai visto certe reazioni di politici italiani che per tanto tempo non hanno detto niente e hanno sostenuto in maniera acritica le posizioni di Israele. Ieri hanno detto ‘forse siamo a un livello impossibile’. Spero che ci si renda conto di qualcosa di cui bisognava accorgersi prima: bisogna arrivare a un cessate il fuoco perché la situazione è impossibile”.

Intanto l’Europa si prepara a un’economia di guerra e vota per una vittoria bellica del’Ucraina…
“Questa guerra viene utilizzata dalla retorica per aumentare la spesa militare. È inutile pensare che con le armi e gli eserciti si possa raggiungere la pace. È impossibile da pensare e da realizzare. Quello che sta succedendo in questi mesi è che la disgrazia che si è abbattuta sull’Ucraina è diventata giustificazione di affari sulla pelle della gente e non si capisce che è impossibile raggiungere la pace in questa maniera”.

È stupito che tra i partiti italiani solo il Movimento 5 Stelle abbia votato contro?
“No, perché purtroppo c’è un’assuefazione a queste posizioni. Non è facile perché la pressione fin dall’inizio è stata fortissima. Qui nessuno assolve Putin, sia chiaro. C’è veramente una forte pressione all’omologazione, quasi rendendo la guerra naturale. Altrimenti se ti opponi sei putiniano, non hai più visibilità, non vieni eletto. C’è una difficoltà estrema e quindi una politica che su questi temi non è preparata – quella italiana è molto italocentrica e riporta le questioni alle beghe di casa nostra – non riesce ad andare oltre. È faticoso. Queste pressioni destabilizzano chi non è attrezzato a subirle. Io spero che si faccia largo la consapevolezza che due anni di guerra senza altre strade non hanno portato a nulla. Serve trovarne altre che non portano subito a una pace vera fino in fondo, ovviamente. Ma bisogna andare a ragionare con Putin, la pace si costruisce a pezzi. Il primo passo è provarci. La pace giusta perfetta non esiste. Nessuno ammette che se vogliamo togliere Putin di mezzo bisogna distruggerlo ma così significa avere una guerra diretta e una possibile catastrofe nucleare. La politica non può diventare bianco e nero banalizzante. È la stessa cosa su Israele con Hamas che va eradicato: che fai? Esacerbi la situazione? Per eliminarlo devi fare un percorso. Una politica debole ha paura di schierarsi. Io vorrei vedere un percorso, una prospettiva”.

L’elezione di Trump potrebbe essere un ulteriore rischio?
“Sicuramente sì. C’è ovviamente differenza tra chi ha fomentato una rivoluzione, che è circondato da gente fuori di testa, rispetto a un Biden che ha altre provenienze. È vero che purtroppo sui temi specifici della guerra non c’è molta differenza tra le due posizioni. La posizione di Biden non è da pacifista. È ovvio che dall’altra parte però hai uno imprevedibile che non ha un criterio leggibile. Questo in una situazione di volatilità e di grossa incapacità di decisione inserisce un’imprevedibilità che non ci possiamo permettere. Sarebbe un’ulteriore fragilità pericolosa”.

Stupito dal silenzio su Assange?
“Questo silenzio è una cosa grave che serve a preparare quell’ambiente ostile bloccato con pressione estrema su coloro che non vogliono rassegnarsi a un sistema di guerra. Le spese militari sono raddoppiate in un mondo sempre in conflitto. Assange ha chiarito come questo sistema non funziona, non solo per la violazione dei diritti umani e per gli interessi sotterranei alle guerre. Ha mostrato che non funziona e che c’è gente che non ha rispettato democrazia e diritti per di più senza nessun risultato”.

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Triplicate le insubordinazioni, le Forze armate alle prese con la grana della disciplina

Forse il governo con i militari ha un problema più serio della ribellione di qualche manipolo di studenti inermi che manifestano con la pace. Ieri il presidente della Corte militare di appello Giuseppe Mazzi in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario militare ha detto che sono triplicati i delitti di insubordinazione con minaccia o ingiuria (11,02% rispetto al precedente anno, attestato a 4,46%).

Raddoppiata anche la percentuale dei reati di disobbedienza (14,41%). Il procuratore generale militare Marco De Paolis ha spiegato anche che il numero di appartenenti alle Forze Armate iscritti nel registro delle notizie di reato è leggermente aumentato, “giacché dalla cifra di 1.749 unità registrate nel 2022 si è passati a quello di 1.830 militari iscritti nel 2023. Rispetto al quinquennio, tuttavia, si registra però un significativo aumento: dalle 1.563 unità del 2018, alle 1.830 nel 2023, con una percentuale in aumento pari al 17% rispetto, appunto al 2018”.

Reati con le stellette

I reati contro il servizio e contro la disciplina militare sono il 69% del totale cui fanno seguito i reati contro il patrimonio o l’amministrazione militare (circa 18,5%) e quelli contro la persona (circa 11,5%). De Paolis ha spiegato che “i primi sono ancora in aumento rispetto al passato, giacché per essi si registra un aumento pari circa al 4% rispetto scai valori dell’anno 2022 e di circa il 23% rispetto al 2019). Esaminando più nel dettaglio le statistiche, è possibile rilevare come (analogamente all’anno precedente), al primo posto fra i reati iscritti più frequentemente figurino le fattispecie di distruzione o deterioramento di cose mobili militari (722), seguite da quelle di truffa (191), di violata consegna (96) e di diffamazione (89).

Ad essi, quest’anno si è aggiunta la fattispecie del furto militare (con 123 episodi)”, ha aggiunto il procuratore generale. Come per la giustizia penale e civile sono in diminuzione i procedimenti arrivati in definizione, sintomo di un’evidente carenza di risorse e di organico. Negli ultimi dodici mesi sono stati 100 rispetto ai 133 del 2022 e 150 del 2021. Aumentano leggermente, invece, i procedimenti sopravvenuti: 128 nel 2023, 114 nel 2022 e 140 nel 2021. I procedimenti pendenti a fine anno sono risultati 51, contro i 23 del 2022 e i 42 del 2021.

In merito ai tempi di definizione dei procedimenti si è registrato un aumento: 123 giorni nell’ultimo anno, rispetto a 114 nel 2022 e 182 giorni nel 2021. ‘’Presso i tre Tribunali militari, di Roma, Verona e Napoli, risultano sopravvenuti 217 procedimenti (nello specifico, 95 a Roma, 55 a Verona e 67 a Napoli) e ne sono stati definiti 185, con una pendenza totale, al termine dell’anno, di 206 procedimenti – si legge nella relazione -. I giudici per le indagini preliminari hanno registrato la sopravvenienza di 1553 procedimenti (in linea sostanzialmente con l’anno precedente, quando il dato si attestava a 1.549 sopravvenuti; ne hanno esauriti 1.663, con una pendenza finale di 203 procedimenti”.

Le Forze armate e gli abusi in caserma

Per il procuratore generale De Paolis il nonnismo, assai diffuso negli anni ottanta e novanta nelle caserme italiane, “ha cessato ormai da tempo, fortunatamente, di interessare le nostre Forze Armate”. Rimane invece il problema delle molestie sessuali: “Il comportamento di molestia sessuale, – ha spiegato De Paolis – che non sempre si esaurisce in un atto che si perfeziona istantaneamente, ma che invece spesso perdura nel tempo ripetendosi più volte finisce anche per turbare ed alterare i rapporti all’interno di un reparto e a incidere sulla corretta funzionalità dei servizi”.

Per questo il procuratore chiede “non solo di sanzionare adeguatamente le condotte illecite, ma anche di prevenirle attraverso una efficace attività di formazione del personale militare compresi i comandanti di corpo”. Forse il governo con i militari ha un problema più serio della ribellione di qualche manipolo di studenti inermi che manifestano per la pace.

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