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Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate – Lettera43

Nicoletta Zomparelli, Renée Amato, Maria Battista Ferreira e Sara Buratin. Sono le quattro vittime solo di febbraio. Casi che non risvegliano l’indignazione popolare e scomparsi perfino dalla strumentalizzazione politica. Ma non doveva essere il tempo di una rivoluzione?

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate

Ripercorriamo solo febbraio. Il 13 Nicoletta Zomparelli, 46 anni, e la figlia Renée Amato, 19 anni, sono state uccise nel tardo pomeriggio nella loro abitazione del quartiere di San Valentino a Cisterna di Latina. A compiere il duplice omicidio è stato un maresciallo della Guardia di Finanza, Christian Sodano, 27 anni, ex compagno di Desyrée Amato, 22 anni. A pomeriggio inoltrato Sodano e la sua ex compagna Desyrée hanno cominciato a discutere animatamente e lui ha estratto la sua pistola d’ordinanza mentre lei terrorizzata si è chiusa in bagno. La mamma e la sorella sentendo le urla sono accorse e Sodano ha sparato a entrambe. Il finanziere avrebbe anche tentato di sfondare la porta del bagno, ma Desyrée è riuscita a scappare dalla villetta rifugiandosi in un piazzola di un distributore di benzina e mettendosi in salvo. Christian Sodano ha confessato, raccontando di volersi suicidare perché Desyrée aveva intenzione di lasciarlo. Come riporta il sito femminicidioitalia.info l’attività investigativa condotta dalla Procura di Latina ha fatto emergere una serie di atti persecutori posti in essere dal finanziere ai danni dell’ex compagna nei giorni precedenti al duplice omicidio.

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate
Il Wall of Dolls contro i femminicidi a Milano (Imagoeconomica).

I femminicidi di Maria Battista Ferreira e Sara Buratin

Il 26 febbraio Maria Battista Ferreira, 51 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Vittorio Pescaglini, 57 anni, a Fornaci di Barga, una frazione del comune di Barga in provincia di Lucca. I due erano sposati ma si stavano separando. Lui l’ha seguita con in tasca un coltello con una lama di 18 centimetri. Hanno discusso e poi l’ha colpita. Il fendente che le ha forato il polmone è stato la causa della sua morte. Il giorno dopo i due avevano un appuntamento all’ufficio anagrafe del Comune di Fabbriche di Vergemoli per firmare alcuni documenti e definire gli ultimi dettagli del divorzio. Il giorno successivo, il 27 febbraio, Sara Buratin, 41 anni, è stata uccisa a coltellate dall’ex compagno Alberto Pittarello, 39 anni, a Bovolenta in provincia di Padova.‍ Secondo le ricostruzioni, la coppia si era separata da circa due settimane. Sara Buratin aveva infatti lasciato la casa dove conviveva con il marito, ormai divenuto ex compagno, e insieme alla figlia adolescente si era trasferita nell’abitazione della madre in viale Italia a Bovolenta.‍ Secondo le ricostruzioni si erano separati da due settimane. Pittarello aveva chiesto un giorno di ferie all’azienda in cui lavorava e aveva chiesto un’incontro alla sua compagna dicendo anche aveva un regalo da consegnare alla figlia.

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate
Manifestazione contro i femminicidi dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin a Milano (Getty Images).

Altro che rivoluzione, le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse perfino dalla strumentalizzazione politica

Sono quattro le vittime di femminicidio nel mese di febbraio, che si aggiungono alle cinque avvenute nel mese di gennaio. Come tocca fare ogni volta che si scrive un articolo sul tema bisogna precisare che questo pezzo è stato scritto di venerdì. La frequenza dei femminicidio è tale che il rischio che un articolo invecchi prima ancora di essere pubblicato è molto alta. Dopo la fiammata per la morte di Giulia Cecchettin l’opinione pubblica italiana e la stampa si sono ripiegate sulla solita resilienza alle notizie di femminicidio. Anche il femminicidio – come molti altri casi di cronaca – subisce il processo di normalizzazione che lo rende una notizia breve, un cenno nei discorsi, una statistica da aggiornare. Sarebbe facile e consolatorio credere che la distrazione sui femminicidi sia solo colpa della stampa. È vero che per meritare una posizione di primo piano un femminicidio deve rispondere ad alcune caratteristiche come la bellezza e la giovane età della vittima (che non deve però essere troppo provocante perché altrimenti “se l’è cercata”), l’alone angelico dell’assassino che fino a un minuto prima era un ragazzo modello, la suspense del mancato ritrovamento di lui e di lei che consenta una ferale romanticizzazione immaginando una fuga d’amore oppure le caratteristiche tipiche del delitto morboso su cui sbizzarrirsi con ricostruzioni e macabri particolari. Le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse anche dall’indignazione popolare, dai cosiddetti influencer che in quel caso si erano esposti. Le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse dalla politica e perfino dalla strumentalizzazione politica. Quanto interessano i femminicidi al di là dell’uso strumentale per farsi notare nel dibattito, per attaccare un avversario o per guadagnare qualche clic? Forse molto meno di quello che si sperava nei tempi in cui alcuni troppo facilmente dissero che dopo Giulia Cecchettin sarebbe stato il tempo di una rivoluzione.

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Vannacci e la democrazia raddrizzata con la dittatura

La ricerca disperata del dibattito – seppur greve – che possa alimentare le vendite ha portato il Corriere della sera a intervistare per l’ennesima volta il generale Roberto Vannacci. Il militare ha potuto così per l’ennesima volta coronare la proiezione di sé stesso povero censurato in un Paese che tratta i suoi rigurgiti scritti come libri, le sue idee primitive come vangeli apocrifi e i suoi desideri come destini di una nazione.

In quell’intervista non c’è nulla di diverso dal vannaccismo che ci frantuma da mesi: un tizio dice cose cretine per diventare popolare, la popolarità delle sue cose cretine lo mette di fronte alle sue responsabilità, quello frigna urlando alla censura (e invece è solo gente che sottolinea la cretineria delle sue affermazioni) e infine un partito cretino gli offre una candidatura e un costume di scena per la parte del martire.

In mezzo a tutto questo il giornalista del Corriere chiede al generale se la democrazia in Italia sia un pericolo e Vannacci risponde che “la democrazia deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Gli antichi romani in tempo di crisi trasformavano i consoli in dittatori, sino al ripristino della normalità. Nelle crisi le dittature tendono a essere più efficienti. Per questo – dice – dobbiamo dare alla democrazia gli strumenti per affrontare le emergenze”.

L’idea della dittatura come elemento per il ripristino della normalità nella bocca di un militare è di una gravità enorme e aggiunge al prossimo candidato della Lega anche la medaglia della pericolosità oltre a quella della cretineria. L’episodio è anche la fotografia dello sbilanciamento istituzionale a cui stiamo assistendo.

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Diritto all’aborto in Costituzione. La batosta francese agli oscurantisti di casa nostra

In Francia il diritto all’aborto sta entrando nella Costituzione. Mercoledì il Senato francese ha votato per inserire nella Carta la libertà delle donne di abortire con 267 voti a favore e 50 contrari. La prossima settimana ci sarà l’ultimo passaggio con le Camere riunite a cui toccherà dare il via libera. Un’indagine condotta dalla società di sondaggi francese Ifop nel novembre 2022 aveva rilevato che l’86% dei francesi era favorevole a rendere l’aborto un diritto costituzionale.

In Francia il diritto all’aborto entrerà nella Costituzione. Il Senato ha votato per inserire nella Carta la libertà delle donne di abortire con 267 voti a favore e 50 contrari

L’urgenza di inserire la misura all’interno della Costituzione francese per i legislatori nasce dalla piena protezione costituzionale di un diritto che è minacciato negli Stati Uniti dove nel 2022 la Corte Suprema ha annullato la sentenza Roe vs Wade del 1973 che garantiva l’accesso alla procedura a livello nazionale e in altri Paesi europei, inclusa l’Italia. “Quando i diritti delle donne vengono attaccati nel mondo, la Francia si alza e si pone all’avanguardia”, ha spiegato il primo ministro francese Gabriel Attal dopo il lungo dibattito al Senato. La proposta francese si inserirebbe nell’articolo 34 della Costituzione “la libertà garantita alla donna all’interruzione di gravidanza” ed era già stata approvata dall’Assemblea nazionale francese, la camera bassa del parlamento, lo scorso gennaio.

Il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti mercoledì dopo il voto in Senato ha commentato la notizia dicendo che “questo voto è storico: dichiara a tutti coloro che ancora non lo sanno che le donne, nel nostro Paese, sono libere, e fino a che punto siamo attaccati a questa libertà”. Anche per Mélanie Vogel, la senatrice che aveva promosso una campagna per il cambiamento costituzionale, si tratta di “una vittoria storica e femminista”.

L’esito del voto del Senato era considerato incerto dai commentatori politici francesi poiché la maggioranza dei rappresentanti è detenuta dal partito dei Repubblicani, di destra e particolarmente conservatori. Ai senatori repubblicani il partito aveva lasciato piena libertà di voto. Il presidente Emmanuel Macron si è detto fin da subito favorevole promettendo di rendere “irreversibile” la libertà delle donne di scegliere l’aborto. Inserire il diritto all’interruzione di gravidanza in Costituzione per il governo è un modo per proteggere la legge che ha depenalizzato l’aborto in Francia nel 1975.

Nel 2022, il parlamento francese ha anche votato per estendere il limite legale francese per l’interruzione di gravidanza da 12 a 14 settimane, e l’assistenza medica all’aborto è interamente rimborsata. La legge francese consente l’aborto farmacologico entro le prime nove settimane di gravidanza. La Francia sarebbe il primo Paese in Europa, ma anche nel mondo, a sancire il diritto all’aborto nella Costituzione. Macron ha annunciato che riunirà parlamentari, deputati e senatori del Congresso per il voto finale di lunedì 4 marzo. È necessaria una maggioranza di tre quinti, ma non c’è dubbio sull’esito delle prossime votazioni all’Assemblea nazionale e al Senato.

Plebiscito bipartisan all’Assemblea nazionale. Mentre in Italia la Legge 194 è di nuovo sotto attacco

“Sebbene l’aborto sia legale in quasi tutti i Paesi europei, permangono restrizioni e barriere legali, e c’è spazio per miglioramenti in tutto il continente, anche in Francia”, ha dichiarato in un comunicato stampa Leah Hoctor, direttore regionale senior per l’Europa del Center for Reproductive Rights. “Il voto di oggi è una pietra miliare importante che speriamo galvanizzi i decisori in Francia e in tutta la regione a prendere i provvedimenti necessari”, ha concluso.

Durante la seduta di mercoledì è stato anche bocciato un emendamento che avrebbe inserito nella Costituzione il diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto per i medici, che è già legale in Francia. A protestare contro il voto del Senato è stata la Conferenza episcopale di Francia che lamentano come “nel dibattito non sia entrato il tema delle leggi a sostegno di chi vorrebbe tenere il proprio bambino”. “L’aborto – si legge in un comunicato dei vescovi – resta un’offesa alla vita al suo inizio, e non può essere visto soltanto nella prospettiva del diritto delle donne”.

Immancabili anche le lagne dell’Italia associazione Pro vita: “Lo chiamano diritto delle donne – scrive l’associazione” e invece è il diritto della società ad abbandonare una donna e suo figlio quando in difficoltà; anzi, lo chiamano diritto delle donne e invece è il diritto di indicare come problema da eliminare i nostri figli anziché gli impedimenti che ci rendono difficile il tratto di vita che dobbiamo affrontare”. In Italia il 22 maggio 1978 la Legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione di gravidanza) è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale diventando così a tutti gli effetti legge dello Stato.

I movimenti Pro-Vita e le destre vogliono cancellare una conquista storica delle donne

Nella legge viene sancito il diritto all’aborto pubblico, gratuito e regolato da norme che rispettano la dignità e libertà della donna e nel contempo rispondono anche al diritto civile di non essere lasciate sole in circostanze sicuramente difficili. Ma la legge del 1978 (confermata ampiamente dal referendum del 1981) subisce un boicottaggio continuo e sistematico con il suo svuotamento attraverso i consultori, e con a percentuale dei medici obiettori di coscienza negli ospedali – 7 ginecologi su 10 – ben oltre quella consentita. Mentre in Francia l’interruzione di gravidanza diventa un diritto sancito dalla Costituzione qui da noi l’anno scorso sono state raccolte 200mila firme in calce a una petizione presentata dal VI Municipio di Roma guidato da Nicola Franco di Fratelli d’Italia per introdurre nell’articolo 14 della Legge 194 il comma 1-bis, una prassi che Amnesty International ha definito paragonabile a una tortura: tramite esami strumentali, obbligare le donne a vedere il feto che portano in grembo e ascoltare il suo battito cardiaco onde dissuaderle.

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La guerra presenta il conto. Buttati in due anni mille miliardi in armi

La guerra Più di 959 miliardi di dollari vengono spesi dalle istituzioni finanziarie nel mondo per sostenere la produzione e il commercio di armi. Di questi quasi mezzo trilione di dollari – più della metà dell’investimento totale stimato nel settore – sono forniti dagli Usa mentre 79 miliardi provengono dai primi 10 investitori europei.

L’anno scorso il volume d’affari del settore delle armi da guerra è stato di 2,2 miliardi, pari al 2,2% del Pil mondiale

E le banche? Le 15 maggiori banche europee investono in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro. Sono i numeri del rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato da Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), realizzato dalla Merian Research, società di consulenza specializzata in tematiche sociali e ambientali. Si scopre così che l’anno scorso, nel 2023, la difesa è cresciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale.

Le banche, come tutto il settore finanziario, la fanno da padrone sostenendo l’industria della difesa con almeno 1 trilione di dollari, cifra probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, perché non esiste un database ufficiale che raccolga tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi di tutte le istituzioni bancarie e finanziarie del mondo nel settore degli armamenti. “Nonostante gli scarsi dati disponibili e la scarsa trasparenza in questo campo, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari”, spiega Mauro Meggiolaro di Merian Research che ha curato il rapporto.

Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023 ha fatto salire alle stelle il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi. Un’analisi del Financial Times ha mostrato che il portafoglio ordini per nuovi armamenti ha raggiunto livelli record nel 2022 e nella prima metà del 2023. La spesa pubblica sostenuta ha stimolato l’interesse degli investitori nel settore: il benchmark globale di Msci (società Usa che fornisce servizi finanziari) per i titoli del settore è aumentato del 25% nel 2023, mentre l’indice azionario europeo del settore aerospaziale e della difesa, Stoxx, è aumentato di oltre il 50% nello stesso periodo.

Un F-35 costa come 3.244 posti in terapia intensiva. E un sottomarino quanto 9.180 ambulanze

Per avere idea delle proporzioni dei costi delle guerre l’International Peace Bureau ha ridotto il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari: una fregata multiruolo europea (Fremm) vale lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media dei paesi Ocse), un aereo da caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva e un sottomarino nucleare di classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. La metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate (oltre 2 miliardi) sarebbe sufficiente per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra.

Durante l’incontro della Global Alliance for Banking on Values è stato presentato il Manifesto per una finanza di pace. “Condanniamo – scrivono le 71 banche aderenti – fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga. La risoluzione duratura dei conflitti può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e una collaborazione sincera, come mezzi per costruire la fiducia che sottende alla pace. Per questo, invitiamo l’industria finanziaria a smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi, incoraggiamo le istituzioni a introdurre o ampliare politiche esistenti che limitino il finanziamento all’industria delle armi e chiediamo di divulgarle in modo trasparente”.

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Giorgia si inventa tre zeri per attaccare il Superbonus

L’altro ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ospite al Tg2 Post su Rai 2, ha detto che grazie al Superbonus 110 per cento sono stati ristrutturati sei castelli “per un costo totale di un miliardo” di euro. Travolta dalla foga di opporsi all’opposizione – che è l’unica forma di governo che conosce – Meloni ha ribadito per due volte il concetto aggiungendo che un miliardo di euro “è tutto quello” che è stato stanziato dal governo nell’ultima legge di Bilancio per “aiutare le mamme” e le famiglie, e per “incentivare la nascita dei figli”.

Il premier Meloni parlato in tv dei castelli ristrutturati con il Superbonus 110% ha compiuto un errore moltiplicato per mille

Quegli antipatici di Pagella politica che hanno il brutto vizio di verificare i dati che i politici usano come roncole nell’arena politica sono andati a recuperare la tabella dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che riportano effettivamente i lavori di efficientamento energetico di quei castelli. Peccato che il costo complessivo dei lavori ammonti a un milione di euro totale per gli investimenti ammessi a detrazione.

L’idea del castello è ottima per raccontare una favola nera ma stiamo parlando di un costo non dissimile a quello di molti palazzi sparsi in Italia. A colpire della fallacia della presidente del Consiglio è l’enorme differenza di cifre: si parla di tre zeri in meno, Meloni ha compiuto un errore moltiplicato per mille. Il che dice molto di come la presidente del Consiglio memorizzi i concetti utili per la propaganda senza avere nessuna contezza delle proporzioni, delle spese e dei bilanci dello Stato. Meloni si atteggia da statista ma comprereste mai anche solo una bicicletta usata da una così?

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«Erano una minaccia»: le parole della vergogna del governo di Israele

«Erano una minaccia». Chissà per quanto ancora la comunità internazionale potrà sopportare questa risposta falsa, stupida e disumana da parte dello Stato di Israele ogni volta che il sangue cola sulle coscienze dell’Occidente. 

Sono almeno 112 i morti e centinaia i feriti tra le persone che nella notte si sono accalcate spinte dalla disperazione della fame intorno a un camion nella speranza di ricevere aiuti alimentari. Testimoni e il corrispondente di Al Jazeera sul posto hanno riportato che le persone sono state attaccate con proiettili di artiglieria, missili di droni e colpi di arma da fuoco.

L’esercito israeliano si difende dicendo che i morti sarebbero dovuti «alla calca». Nella stessa notte alcuni raid aerei hanno colpito il campo di Nuseirat e altri centri urbani di Gaza. Vista la difficoltà nel far accedere gli aiuti umanitari nella Striscia, Stati Uniti e Canada stanno pensando di eseguire una serie di lanci aerei.

Sparare sui civili che si accalcano per strappare un pezzo di pane è l’ultimo stadio di un diritto a difendersi che ormai indigna anche i difensori più strenui. Sono almeno 13.230 i bambini rimasti uccisi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso ottobre, tra cui sette morti negli ultimi giorni per fame. Le vittime sono più di 30mila. Tra questi ci sono 8.860 donne, 340 operatori sanitari, 132 giornalisti e 47 operatori di protezione civile. I registri ufficiali dei morti non comprendono le circa 7.000 persone che risultano disperse, ha precisato l’ufficio media citato da Al Jazeera. Chissà se erano tutti «una minaccia». 

Buon venerdì.

 

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“Giustizia a orologeria”. Salvini sta col generale Vannacci ma sbaglia bersaglio

Povero Matteo Salvini. Affonda lui e nel frattempo affonda anche il suo fedele generale Vannacci, l’uomo scelto dal capo della Lega per risollevare le sorti di un partito tramortito dal crollo elettorale e dalle pedate della presidente del Consiglio alleata poco amichevole Giorgia Meloni. Dopo la sanzione applicata dalla Difesa al generale con il procedimento disciplinare di Stato di sospensione per 11 mesi, avviato lo scorso 30 ottobre dopo la pubblicazione di Il mondo al contrario, Salvini impugna il suo telefono e strepita sui social: “Un’inchiesta al giorno, siamo al ridicolo, quanta paura fa il Generale? Viva la libertà di pensiero e di parola, viva le Forze Armate e le forze dell’ordine, viva uomini e donne che ogni giorno difendono l’onore, la libertà e la sicurezza degli Italiani”, scrive il vice premier e ministro alle Infrastrutture.

La sospensione di 11 mesi per Vannacci arriva dal ministero guidato da Crosetto. Che risponde per le rime al collega Salvini

Il problema è che in questo caso al leader della Lega non funziona accusare presunti magistrati rossi perché a sospendere Vannacci è stato lo Stato in cui è al governo. Lo sottolinea con sarcasmo Alessandro Zan, deputato e responsabile Diritti della segreteria nazionale del Pd: “Salvini è piombato nell’ennesimo cortocircuito. La sanzione arriva dal ministero della Difesa, guidato dal suo collega Guido Crosetto. Se non ci sta, invece di frignare sui social, prenda il telefono, o ha perso il numero di Crosetto?”, scrive Zan. “Con chi ce l’ha il partito di Salvini quando parla di inchiesta a orologeria Con il ministro della Difesa Crosetto di Fratelli d’Italia e quindi con la premier Meloni?”, chiede il co-portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli, che sottolinea come con le sue parole Salvini metta “in discussione l’autonomia dello Stato Maggiore dell’Esercito, che, insieme alla Procura militare, ha avviato indagini per peculato e sanzioni disciplinari”.

Nel pomeriggio di ieri ha perso la pazienza anche il ministro della Difesa Crosetto. “Uscirà una nota della Difesa sul caso Vannacci che spiega ai non pratici in materia che parliamo di procedimenti partiti mesi fa, e che avvengono in modo automatico e che sono totalmente esterni dall’input dell’autorità politica perché partono da un’autorità tecnica. Una volta che tutte le informazioni saranno disponibili magari i commenti saranno più appropriati. Per quanto mi riguarda tra un po’ finirò le guance da porgere”, scrive risentito il ministro.

Per il vicepremier l’iter disciplinare e le inchieste a carico del generale sono medaglie di cui andare fiero

Due giorni fa la Lega in una nota aveva già strenuamente difeso il generale (che potrebbe essere uno dei suoi candidati di punta alle prossime elezioni europee) dopo l’indagine per istigazione all’odio razziale: “Indagini che sono medaglie. Vecchi metodi del vecchio sistema. Avanti generale, avanti insieme, avanti Italia!”, aveva scritto in una nota il partito di Salvini. Per il ministro alle Infrastrutture è una medaglia essere indagato per odio razziale, è un trionfo della libertà di espressione essere sospeso dal proprio incarico ed è un complotto politico se la Procura militare indaga sui rimborsi gonfiati. Il Salvini che metterebbe in galera e butterebbe via la chiave i suoi nemici anche per il più lieve dei reati diventa garantista quando si tratta degli amici.

Anzi, riesce a fare ancora peggio: per Salvini è un onore essere indagati perfino da pezzi di Stato, perfino dagli organi militari che celebra con qualche patacca sulle sue felpe. Del resto per Salvini è una medaglia anche essere sotto processo per sequestro di persona per avere fatto bollire in mezzo al mare gente disperata che provava a salvarsi. Ma se per il capo della Lega il numero di processi e di indagini è direttamente proporzionale alla credibilità di qualcuno non osiamo immaginare chi siano i suoi punti di riferimento. O forse possiamo immaginarlo.

 

 

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L’Ungheria che confessa parlando di Ilaria Salis

Gli schizzinosi ungheresi – pur abituati alle maniere forti dell’autocrate Orbàn – sono sorpresi che l’Italia si occupi del rispetto dei diritti umani nell’ambito di un processo in cui è coinvolto un suo cittadino. “È sorprendente che stanno cercando di interferire con un caso di tribunale ungherese dall’Italia”, dice il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó. “Questa signora presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un chiaro piano di attaccare persone innocenti nelle strade come parte di un’organizzazione estremista di sinistra”, ha detto ancora il ministro ungherese che, secondo quanto rende noto il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs, in visita a Roma “ha enfatizzato l’importanza della cooperazione italo-ungherese, specialmente in sicurezza ed economia, con l’Italia seconda destinazione dell’export ungherese, e sottolineando la crescente partnership tra le due nazioni”.

Il comunicato è da custodire perché è una perfetta ammissione di colpa del governo ungherese. C’è dentro il sovranismo dei diritti umani, lo stesso che sogna il nostro ministro Piantedosi quando vorrebbe applicarne di inapplicabili e così scrive decreti come il cosiddetto Cutro che si smontano cammin facendo. C’è l’idea giustizialista del processo come inizio della vendetta di Stato. Se un criminale è pericoloso merita un processo iniquo e violento, come sogna il capo della Lega Salvini, soprattutto contro coloro che non hanno colletti bianchi. E soprattutto c’è l’amicizia e l’affinità politica dichiarata con il governo Meloni, nonostante la fatica della presidente del Consiglio di recitare la parte della moderna europeista. 

Buon giovedì. 

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Terroristi sui barchini. Smontata la balla leghista

La deputata europea leghista Silvia Sardone, solo per citare un esempio, sull’equazione “migranti uguale terroristi” ci ha costruito una carriera politica. “È del tutto evidente che l’immigrazione senza freni e i ‘porti aperti’ favoriscono l’ingresso di migranti che giungono in Europa anche con finalità di terrorismo”, scriveva in una sua interrogazione a Bruxelles quattro anni fa.

La deputata europea leghista Silvia Sardone, solo per citare un esempio, sull’equazione “migranti uguale terroristi” ci ha costruito una carriera politica

Il suo capo Matteo Salvini da anni fruga nei cassonetti della cronaca nera per soffiare sul pericolo percepito. La politica dovrebbe costruire il reale senza preoccuparsi di manipolare la realtà ma ai parlamentari della Lega risulta sempre molto complicato. Il ministro dell’Interno Piantedosi, epigone di Salvini sul tema, ogni volta che scoppia una guerra racconta fiero di avere “intensificato i controlli” come se i terroristi fossero sui barchini che affondano (e vengono fatti affondare) nel Mediterraneo.

I migranti, ancora di più quando le guerre fanno tuonare i cannoni, sono un’efficacissima minaccia comunicativa nonostante non siano una minaccia concreta. Il professore di sociologia della Statale di Milano Maurizio Ambrosini scrive spesso dell’infondatezza della giustificazione securitaria delle chiusure basata sulle minacce terroriste: “Gli immigrati diventano i capri espiatori delle angosce, spesso motivate, delle società occidentali”, scrisse in un suo studio del 2016. Ieri lo schiaffone è arrivato direttamente dall’intelligence italiana.

Gli analisti del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica nella nuova “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza” spiegano che “non sono emerse evidenze di un utilizzo strutturato” dei flussi migratori “per finalità di terrorismo”. Un altro grande insuccesso della propaganda.

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Dall’Italia armi ad Israele a guerra già iniziata

Torniamo indietro di qualche mese. La segretaria del Partito democratico Elly Schlein – eravamo all’inizio del conflitto in Medio oriente tra Israele e Hamas – chiese che l’Italia non si rendesse compartecipe del conflitto fornendo armi. I titoli dei giornali cosiddetti progressisti e centristi ironizzarono sulla richiesta di Schlein. “Noi non forniamo nessuna arma all’Italia”, dissero in coro. Da quelle parti funziona così: sono populisti tutti coloro che non sono d’accordo con loro. Eppure, ora si scopre che Elly Schlein aveva ragione.

Le carte sbugiardano il governo Meloni. L’export di armi verso Israele è proseguito anche dopo il 7 ottobre

Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, ieri in un’inchiesta ha raccontato che “tra ottobre e novembre del 2023 l’Italia ha esportato “Armi e munizioni” verso Israele per un valore di 817.536 euro: in particolare 233.025 euro a ottobre e 584.511 a novembre”. A certificare l’export sono le statistiche del commercio estero periodicamente aggiornate dall’Istat, da ultimo a metà febbraio di quest’anno. Il punto è sostanziale: il governo guidato da Giorgia Meloni in più occasioni ha dichiarato di fronte agli elettori e alla stampa che il “governo non fornisce armi a Israele” ed era falso, falsissimo. “L’Italia ha interrotto dall’inizio della guerra di Gaza l’invio di qualsiasi tipo di armi a Israele. È tutto bloccato”, disse Tajani in un’intervista a Il Giorno lo scorso 20 gennaio.

“Da quando sono iniziate le ostilità abbiamo sospeso tutti gli invii di sistemi d’arma o materiale militare di qualsiasi tipo”, disse Tajani esibendo una certa sicumera. Tutto falso, falsissimo. Come racconta Altreconomia i dati dell’Istat sconfessano la prima affermazione del ministro sull’aver bloccato “qualsiasi tipo di armi a Israele”: materiale corrispondente alla categoria merceologica “Armi e munizioni” – ai sensi della classificazione Ateco 2007 – è stato invece esportato anche dopo il 7 ottobre. “Pure ipotizzando che i 230mila euro di ottobre siano partiti prima del giorno 7, i dati di novembre coprono un periodo in cui i bombardamenti sulla Striscia di Gaza erano già pesantemente iniziati”, scrive Facchini.

L’Istat informa che circa 7mila euro sono riferibili a “Fucili, carabine e pistole a molla, ad aria compressa o a gas, sfollagente ed altre armi simili” mentre 430mila per “Parti e accessori” di oggetti che vanno da “Armi da guerra, incluse pistole mitragliatrici” a “Rivoltelle e pistole”, da “Armi da fuoco e congegni simili che utilizzano la deflagrazione della polvere” a “carabine e pistole a molla, ad aria compressa o a gas, sfollagente”. Restano invece “oscurati” e perciò senza descrizione specifica 147.126 euro.

Dai fucili alle pistole agli sfollagenti. Un’inchiesta di Altreconomia smaschera l’ultima bugia di Stato

Giorgio Beretta, analista esperto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere a Altreconomia osserva che “proprio questi 147.126 euro oscurati certificano che si tratta di armi e munizioni ad uso militare – spiega Beretta -: nei sottocapitoli l’Istat oscura infatti tutti e solo i dati che riguardano le armi ad uso militare. Non va dimenticato, inoltre, che qui si sono considerate solo le ‘Armi e munizioni’: ma che da ottobre potrebbero essere stati esportati a Israele anche altri materiali e strumenti per uso militare tra cui componenti per velivoli e mezzi terrestri, sistemi elettronici, laminati e miscelatori per prodotti chimici, etc. che è impossibile rintracciare nel database dell’Istat”.

Ora siamo sicuri che un governo che ha pubblicamente sostenuto una tesi falsa si assumerà le sue responsabilità. O no? No, no, purtroppo no.

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