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Le motivazioni di Lisa Ginzburg per la presentazione de I mangiafemmine al Premio Strega 2024

“Con I mangiafemmine, Giulio Cavalli costruisce una lucidissima distopia che non ha nulla di distopico. Si addentra nell’abominio dei femminicidi tratteggiando personaggi maschili dalla bieca e cieca natura, e lo fa in modo impietosamente verosimile, così come immagina e restituisce donne i cui disgraziati destini risultano anch’essi assolutamente contigui alla realtà. Il risultato è un romanzo che è attuale a ogni pagina, ma la cui forza letteraria in nulla disobbedisce alle ferree regole della trasposizione e dell’invenzione. Un libro che si legge d’un fiato, con totale coinvolgimento per come affonda nel nervo del possibile, eppure sentendosi costantemente nutriti dalla cruda pienezza della fantasia. Dialoghi, frangenti, intrecci: tutto è terso e stringente come solo accade quando lo sguardo di uno scrittore sa essere chirurgico per come nitido e coraggioso, quasi una lama quando affronta quel che sta per tagliare senza in nulla arretrare davanti alla precisione del suo proprio gesto. Il mondo di DF, luogo/spazio immaginario il cui acronimo condensa nel suo enigma distopia e denuncia, è specchio convesso che riflette senza deformare una troppo vasta porzione del mondo in cui viviamo. E come succede nella letteratura quando è tale, riprovazione, scandalo, angoscia, paura, dolore, ogni moto d’animo suscitato nel lettore genera a propria volta un processo di associazione con la vita vera che indirettamente rafforza lo spessore dell’immaginazione narrativa. Un libro che parla di esistenza e di pulsioni di morte, di violenza di genere, di frustrazione e di soprusi, di abissi morali e di rapporti di forza. Una vicenda densa di voci maledettamente azzittite ma su cui, stendendosi come una scia, rimbomba sonora l’eco che quelle stesse vittime lasciano nell’aria, grido acuto di allarme, anatema.

Per lo stile preciso e la struttura compatta, per come reinventando la realtà in senso antropologico e politico sa narrarla dal di dentro, per come incuneandosi nel buio riesce a sviscerare di quel buio ogni singola ombra, I mangiafemmine è romanzo importante, che con convinzione mi sento di presentare al Premio e agli Amici della Domenica.”

Lisa Ginzburg

La polizia, le manganellate e quel senso di impunità garantito dal governo – Lettera43

Negli ultimi mesi le cariche delle forze dell’ordine si sono moltiplicate. Contro studenti che manifestano per la pace in Palestina, contro chi difende il diritto al lavoro o chi si batte per l’ambiente. In una parola verso chi non si riconosce nelle idee e negli obiettivi del governo più marziale della storia repubblicana. Come lo vogliamo chiamare? Michela Murgia non aveva dubbi.

La polizia, le manganellate e quel senso di impunità garantito dal governo

In una delle nostre ultime telefonate Michela Murgia mi raccontava di un elenco di intellettuali, soprattutto scrittori, non graditi che era stato girato a certi Istituti italiani di cultura in giro per il mondo. La repressione può avere molte forme, può essere la manganellata di un poliziotto adulto addestrato e attrezzato per gravi disordini sociali in faccia a un ragazzino che chiede di fermare la strage in Palestina o può essere un bisbiglio velenoso che comanda senza impartire. La leva dell’autocensura in Italia, oliata dalla naturale propensione di molti verso il potere di turno fa il resto: a volte non c’è bisogno di dire esplicitamente che vi sono categorie di persone con cui si può usare un pugno più duro che con altre. Basta la percezione di una garantita impunità da parte del potere politico maggioritario.

Cariche e manganellate della polizia ai cortei pro Palestina di Pisa e Firenze
Scontri durante il corteo pro-Palestina a Pisa (da X)

Blocchi stradali, gli eco-vandali e gli agricoltori eroi

Negli ultimi mesi le strade italiane sono state bloccate da attivisti per il clima e da agricoltori organizzati. Lasciamo perdere le legittime richieste di ognuno, proviamo semplicemente a valutare le reazioni ai blocchi stradali. Gli attivisti per il clima sono stati apostrofati come «gretini», «eco vandali», «eco cretini», «delinquenti» e meritevoli di «essere sbattuti in galera e buttare via la chiave». Tutte queste definizioni sono uscite dalla bocca di importanti rappresentati dei partiti di maggioranza e del governo. Nessuno tra loro si è sognato di definire “agri cretini” i coltivatori che hanno protestato e che stano protestando ancora. Nel primo caso si è puntato il dito sul contestatore tralasciando le ragioni della suo manifestare mentre nel secondo caso le lamentele sono state prese così terribilmente sul serio che anche una statua disarcionata (non sporcata con vernice lavabile, letteralmente mandata in pezzi) in piazza a Bruxelles è passata inosservata nell’indifferenza generale.

Salvini e il manuale dell'ipocrisia: dai blocchi stradali degli agricoltori al caso Salis
Le proteste degli agricoltori a Bruxelles (Getty Images).

L’identikit delle vittime della repressione

Ciò che è preoccupante nelle impattanti operazioni di polizia di questi ultimi mesi è l’omogeneità delle vittime. Sono molti giovani (a quelli di Ultima generazione hanno dedicato perfino un decreto legge contra personam), studenti, afferibili ad ambienti di sinistra o comunque considerati estranei alla parte politica della maggioranza di governo, sono dichiaratamente antifascisti. Il governo più marziale della storia repubblicana e più benevolmente retorico verso le forze dell’ordine (meglio: verso il diritto alla forza che rappresentano) sta riuscendo nella mirabile impresa di aggiungere alla categoria dei “pericolosi” oltre alle storiche donne e bambini che sbarcano sulle nostre coste anche degli eleganti signori che alla borghesissima Prima della Scala urlano «viva l’Italia antifascista», degli studenti che sfilano per la pace, dei cantanti che dicono (come cantano) quello che pensano, dei conduttori televisivi che intervistano, delle donne che lamentano di essere uccise e così via. Di fronte alle immagini di 50 poliziotti bardati per la guerra che malmenano qualche decina di ragazzini con lo zaino in spalla, la questura di Pisa ci ha spiegato che «il corteo non era autorizzato» (come gli agricoltori in mezzo alla strada, come i fascisti alle commemorazioni, del resto) e che «è mancata l’interlocuzione con i rappresentanti dei promotori». La giustificazione è fenomenale: poiché non sapevano con chi parlare hanno menato le mani. E hanno menato le mani perché questo tempo concede la percezione di impunità a chi alza il livello di scontro contro studenti che manifestano per la Palestina, così come contro quelli che manifestano per l’ambiente, così come quelli che manifestano per il diritto al lavoro, così come contro quelli che manifestano per un obiettivo che il governo non condivide.

Deponevano fiori per Navalny a Milano: identificate dalla Digos, scontro tra Sensi e Piantedosi
Il ministro degli interni Matteo Piantedosi. (Imagoeconomica).

Piantedosi potrebbe essere ricordato per aver superato (in peggio) il maestro Salvini

Qualche giorno fa il ministro all’Interno Matteo Piantedosi – che tra qualche anno senza vergogna ricorderemo come colui che è riuscito a fare peggio del suo maestro Salvini – ha candidamente spiegato che l’identificazione di alcune persone che portavano un fiore in memoria di Navalny nel luogo che commemora Anna Politkovskaja non è «una compressione delle libertà». Il ministro non ci trova nulla di strano che nei registri di Stato si debba tenere conto di chi silenziosamente rende omaggio a una vittima di Putin. Diceva Michela Murgia: «Io penso che questo governo sia fascista. Lo penso dalle scelte, dalle decisioni che sta prendendo. Cioè controllo dei corpi, controllo della libertà personale, discriminazione delle comunità già discriminate che stavano riuscendo a ottenere dei diritti. Una certa impostazione ideologica che inevitabilmente ripercorre cose che abbiamo già visto. Ma voi vi aspettate che il fascismo vi bussi a casa con il fez e la camicia nera e vi dica: “Salve, sono il fascismo, questo è l’olio di ricino”? Non accadrà così».

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Abiura Fratelli d’Italia sulle Regioni, da centri di malaffare a poltrone da occupare

Il 15 gennaio del 2014 in Parlamento veniva presentata una proposta di legge costituzionale per abolire le Regioni. Al loro posto avrebbero dovuto esserci “36 centri propulsori della gestione amministrativa della cosa pubblica”. L’illustrazione della proposta incominciava così: “L’affollamento istituzionale, generato da una distorta e ‘generosa’ interpretazione del principio del pluralismo istituzionale affermato dall’articolo 5 della Costituzione, ha determinato una costante frantumazione delle articolazioni funzionali senza che siano state ricondotte a omogeneità da un coerente disegno unitario del sistema autonomistico”.

Le firme in calce erano dell’attuale viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli e di una giovanissima Giorgia Meloni, ora presidente del Consiglio.

Vade retro

Il 14 dicembre dello stesso anno alla manifestazione di Fratelli d’Italia e An L’Italia soprattutto, organizzata a Roma al teatro Quirino, Meloni spiegava ai giornalisti che “il regionalismo in Italia ha fallito perché ha moltiplicato occasioni di malaffare e ha occupato poltrone e spesa pubblica”. Per l’attuale presidente del Consiglio la sfida consisteva nel dare “più autonomia ai comuni” e “più autorevolezza allo Stato centrale”.

“Su questi temi sfidiamo anche la Lega”, spiegava Meloni. Dieci anni dopo di quel progetto è rimasta la sfida con gli alleati e nient’altro. Le odiate regioni sono la spina dorsale della riforma per l’autonomia differenziata. La presidente del Consiglio in un decennio deve essersi convinta che le occasioni di malaffare e lo sperpero pubblico siano guarite talmente bene da meritarsi ancora già spazio per decidere.

Indietro tutta

Ma sono soprattutto le poltrone a far venire l’acquolina in bocca al partito della presidente del Consiglio. Fratelli d’Italia si apparecchia le regioni italiane per riempirsi lo stomaco. C’è il succulento Veneto in cui il partito di Giorgia ha più che raddoppiato i voti della Lega, c’è la Campania a cui il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano dedica buona parte delle sue parole e delle sue giornate, c’è la Liguria e così via. Il dibattito politico nella maggioranza sul terzo mandato per i presidenti di regione è la cipria con cui si prova a nascondere l’insaziabile appetito della presidente del Consiglio che sogna la sostituzione politica dei suoi alleati con i suoi uomini. Così la marcia marziale della leader di Fratelli d’Italia continua noncurante delle lamentele.

Ieri il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti – che raccontano terrorizzato dall’idea di doversi reinventare – si è augurato “che Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni facciano una riflessione, sono sempre stati un partito favorevole alle preferenze, al consenso, se l’è cercato casa per casa. Oggi questa limitazione non è coerente con la sua storia, come non è coerente con la storia di Forza Italia di Silvio Berlusconi, che in qualche modo ha sempre glorificato come un alfiere della volontà popolare e pura, talvolta con scontri istituzionali abbastanza duri sugli equilibri di potere”.

Pigliatutto

Il veneto Luca Zaia dice di aspettare per vedere “quanta sovranità al Parlamento” ma è Matteo Salvini a Cagliari a tenere aperta la disfida: “Decide liberamente il Parlamento, non c’è nessun problema di maggioranza”, ripete il leader della Lega che precisa come ci siano “altri quattro anni davanti per aiutare gli italiani a lavorare di più e stare bene. Sicuramente – ha detto Salvini – ci sono posizioni diverse, anche all’interno del Pd, ma secondo me è democratico che se si trova un buon sindaco o un buon governatore lo si possa rivotare. Detto questo voterà il parlamento”.

La linea in Fratelli d’Italia è ovviamente quella dettata dalla leader: il terzo mandato non è nel programma, ripetono in coro i maggiorenti del partito. L’ennesima giravolta di Giorgia Meloni è diventata un mantra: anche sulle regionali non c’è discussione. L’occupazione che chiamano egemonia culturale può serenamente avanzare.

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Tusk vota von der Leyen, sbloccato il Pnrr alla Polonia

Ultime notizia dall’Unione europea che sbiadisce e suggerisce l’Ue che verrà. La Commissione è pronta ad approvare il primo pagamento per la Polonia dallo strumento di ripresa e resilienza dell’Ue, già questa settimana. Poco dopo essere al potere, il nuovo governo del primo ministro Donald Tusk aveva chiesto una prima rata di 6,3 miliardi di euro dai quasi 60 miliardi di euro stanziati per la Polonia nell’ambito del Fondo per la resilienza e la ripresa. I fondi erano stati congelati a causa delle preoccupazioni per lo stato di diritto nel paese sotto il precedente governo nazionalista di Law and Justice (PiS, Ecr). Il governo PiS era accusato di avere indebolito l’autonomia della magistratura con le sue riforme.

Con il cambio di governo il nuovo primo ministro Tusk ha messo in campo un pacchetto di riforme che includono riforme anche nel settore giudiziario. Il ministro della Giustizia polacco Adam Bodnar ha presentato ad altri ministri dell’Ue un pacchetto di progetti di legge per ripristinare lo stato di diritto in Polonia già all’inizio di questa settimana. Ma soprattuto Tusk ha confermato lunedì che il suo partito sosterrà la candidatura di Ursula von der Leyen di nuovo alla presidenza della Commissione Ue. E così in brevissimo tempo i soldi si sono sbloccati. Intanto il partito filo-russo di estrema destra bulgaro Vazrazhdane dopo una gita a Mosca dei suoi leader ha deciso di aderire al gruppo di estrema destra Identità e Democrazia al Parlamento europeo. Vazrazhdane è il terzo partito in Bulgaria e potrebbe ottenere quattro eurodeputati su 17 in patria. Andranno a sedersi con Matteo Salvini e Marine Le Pen.

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Manganellate selvagge agli studenti, la polizia a Pisa perde la testa. Brutalità inaudita al corteo pro Palestina, protestano i docenti. Chiesta la rimozione del questore

In Italia spira vento di cariche e manganellate delle forze dell’ordine sugli studenti che manifestano per la Palestina. A Firenze gli studenti con i sindacati di base e comunità palestinese hanno provato a raggiungere il consolato americano e sono stati caricati. Momenti di tensione anche a Catania. Ma è a Pisa che la reazione dei poliziotti in tenuta antisommossa ha acceso le proteste dell’opposizione. Il corteo di studenti (giovanissimi e pochi) voleva raggiungere piazza dei Cavalieri ma gli agenti hanno caricato e manganellato. I video dell’eccesso di forza dei poliziotti ieri è rimbalzato sui social, provocando una diffusa indignazione. Sono quattro gli studenti fermati.

Nelle immagini si vedono due di loro sbattuti con la faccia a terra per essere ammanettati. Una settimana fa tensione, manganellate di polizia e carabinieri e lancio di oggetti da parte dei manifestanti a Bologna, nei pressi della sede Rai regionale dove era in corso la manifestazione dei Giovani palestinesi. La prima fila del presidio si è avvicinata agli agenti schierati, sono partite manganellate e colpi di scudo. Dieci giorni fa sette manifestanti feriti (crani, palpebre e zigomi rotti ricuciti con i punti) e il presidio disperso a manganellate a Napoli. Si manifestava contro l’ad Rai Roberto Sergio per le polemiche su Sanremo. A Firenze il 21 novembre scorso poliziotti in assetto anti sommossa manganellavano i ragazzi che sfilavano in una manifestazione autorizzata in forma di presidio proprio nel giorno della seduta del Senato accademico dove gli studenti avrebbero voluto mettere ai voti una mozione che impegnava l’ateneo a “congelare” i rapporti accademici con le università israeliane finché fossero proseguiti i bombardamenti a Gaza.

A ottobre dell’anno scorso a Torino erano chiare ed evidenti le immagini di poliziotti che caricano con violenza ragazze e ragazzi che manifestavano pacificamente contro le politiche dell’esecutivo e per sensibilizzare la premier perché siano messe in campo azioni concrete a favore del diritto allo studio e del lavoro dei giovani. I manganelli stanno diventando un’odiosa abitudine.

Ieri a Pisa il consigliere comunale di Unione popolare Ciccio Auletta ha chiesto che il questore Sebastiano Salvo venga “rimosso subito” sottolineando che “l’episodio si inserisce in un quadro più ampio di repressione”. La Questura si è difesa sostenendo che “il corteo non era autorizzato” e che “è mancata l’interlocuzione con i rappresentanti dei promotori”: ”la carica è stata determinata – dice il questore – da un momento di tensione scaturito da un contatto fisico tra alcuni manifestanti e i poliziotti che impedivano l’accesso alla piazza dei Cavalieri”. Ma le parole più dure arrivano da un gruppo di docenti del liceo artistico Russoli che si dicono “sconcertati” per “minorenni manganellati senza motivo, perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina era assolutamente pacifico”. “Senza neanche trattare con gli studenti o provare a dialogare, – spiegano i docenti – abbiamo assistito a scene di inaudita violenza.

Come educatori siamo allibiti: riteniamo che qualcuno debba rispondere dell’inaudita e ingiustificabile violenza”. Anche l’Università di Pisa ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per gli scontri e chiesto “chiarimenti sull’accaduto e sull’operato delle forze dell’ordine”, auspicando che “tutte le autorità competenti intervengano per garantire la corretta e pacifica dialettica democratica, tutelando la sicurezza della popolazione e della comunità studentesca”, dice il rettore Riccardo Zucchi La repressione da sempre è il miele degli incapaci e questo tempo ne è golosissimo.

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Batosta sul terzo mandato. Ora Salvini rischia la segreteria

La Lega si schianta in Commissione sul terzo mandato. Matteo Salvini ha deciso di ignorare il pallottoliere che indicava chiaramente che Fratelli d’Italia, Forza Italia e Udc avrebbero votato contro, appoggiati da un’opposizione che ha deciso di lasciare macerare la maggioranza nelle sue divisioni interne. Unico appoggio prevedibile è stato quello di Italia Viva. Il risultato finale è stato: 4 sì, 16 No, un astenuto (della Südtiroler Volkspartei) e l’esponente di Azione che non ha partecipato al voto.

Il vicepremier Matteo Salvini è andato a sbattere sul terzo mandato, una norma che invece in passato aveva osteggiato

La senatrice di Italia viva Dafne Musolino ha spiegato il voto a favore della proposta leghista come un’occasione “per far emergere la divisione all’interno della maggioranza, e denunciare lo scontro muscolare, politico, tra Meloni e Salvini” mentre la Lega per bocca del vicepresidente Paolo Tosato lascia intendere che “la partita non è chiusa”: “continuiamo a ritenere che la scelta o la bocciatura di un rappresentante del popolo – dice Tosaro- , ad ogni livello, debba passare dal voto dei cittadini e non da una decisione dei partiti. Uno, due, tre, quattro mandati.

Qual è il criterio oggettivo per stabilire quale sia la scelta giusta Nessuno. Noi ci fidiamo dell’unico giudizio che conta in democrazia: il voto popolare”. Le voci da Palazzo Chigi ieri confermano che la questione per la presidente del Consiglio non è nemmeno in discussione. La Lega si è schiantata e probabilmente si schianterà ancora, dicono. Ma Matteo Salvini insisterà, questo è sicuro, perché sul terzo mandato dei presidenti di Regione non c’è in ballo solo la credibilità di un leader di partito che sembra pesare ogni giorno un po’ meno.

Al di là del contentino del Ponte sullo Stretto – su cui anche nella maggioranza molti avanzano seri dubbi – Salvini ha ottenuto pochissimo e i sondaggi del suo partito prevedono a oggi un possibile tracollo per le prossime elezioni europee. Il malcontento interno per una linea politica sempre più a destra che nei fatti si sovrappone a quella di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia diventano sempre più insistenti e la richiesta di un congresso – soprattutto se le indicazioni delle elezioni europee saranno deludenti – diventa ogni giorno più pressante. Il Carroccio secondo l’ultimo sondaggio Agi/Youtrend perde tre decimali in due settimane e tocca l’8,3% con Forza Italia che lo tallona a poco più di mezzo punto.

Il leader della Lega ha bisogno del terzo mandato per tranquillizzare il presidente della Regione Veneto Luca Zaia che nel partito appare come il suo successore più credibile. Anche per questo lasciarlo a piedi (Zaia ha più volte detto di non essere interessato a una candidatura in Europa) potrebbe diventare un problema serissimo. Forse è anche per questo che sul terzo mandato del decreto Elezioni il leader della Lega e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ha cambiamo velocemente idea. Il limite del terzo mandato “come limitazione della democrazia” smentisce le parole dello stesso Salvini di qualche anno fa. Il 18 settembre 2016, durante l’annuale raduno della Lega Nord a Pontida, in provincia di Bergamo, Salvini aveva difeso con forza la necessità di limitare a due mandati tutti gli incarichi politici degli esponenti del suo partito.

Se la Lega stecca alle Europee, parte la corsa alla successione. E la base gli contesta pure il Ponte di Messina

“Dobbiamo tutti noi essere consapevoli che siamo al servizio del movimento, non in eterno. Ho sentito ieri che i “Giovani Padani” hanno approvato una mozione che chiedeva di portare al congresso perché ci sia un limite, come c’è per i sindaci, per ogni carica elettiva di due mandati anche dentro alla Lega. Secondo me sarà cosa buona e giusta, perché dopo dieci anni penso che si possa lasciare spazio a qualcun altro che potrà prendere il nostro posto a Bruxelles, a Roma o in regione, come fanno i sindaci”, aveva dichiarato Salvini dal palco di Pontida, nel suo discorso finale della manifestazione.

Come ricorda Pagella politica il giorno prima dell’intervento di Salvini, a Pontida si era tenuto il congresso federale del “Movimento Giovani Padani”, la formazione giovanile della Lega Nord. Durante l’evento, l’esponente del movimento Giacomo Perocchio aveva proposto di presentare al congresso federale del partito una mozione per adottare un codice etico e introdurre il limite dei due mandati per tutti gli esponenti della Lega. Al termine del congresso del movimento giovanile della Lega era poi intervenuto Andrea Crippa, all’epoca coordinatore federale del “Movimento Giovani Padani” e oggi deputato e vicesegretario della Lega. “Accolgo con piacere e la faccio mia la mozione presentata prima, durante questo da congresso, dal fratello Giacomo Perocchio, cioè la mozione sul limite di mandato a dieci anni per tutte le cariche istituzionali della Lega”, diceva Crippa.

Alcuni osservatori sottolineano come la presidenza della regione Veneto sia un obbiettivo di Fratelli d’Italia alla luce dei risultati delle elezioni politiche del 2022, quando il partito della presidente del Consiglio Meloni raccolse più del doppio dei voti della Lega. Difendere Zaia per Salvini è una questione di credibilità politica a livello nazionale ed è un’urgenza per puntellare la propria segreteria. Passati i fasti della Lega al 30% oggi il partito rischia di scendere sotto un misero 8% e Zaia – ancor di più se rimarrà libero da impegni politici – potrebbe puntare a rovesciare la segreteria di Salvini.

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Altro che ministero della Natalità

All’ispettorato del lavoro, all’Asl e all’Inps di Nuoro stanno vagliando una vicenda spiacevole ma significativa. La racconta il giornalista Giorgio Sbordoni sul sito della Cgil Collettiva e racconta di una ragazza ventenne licenziata dopo essere rimasta incinta. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo rispetto a un Paese che spende grandi parole sulla denatalità ma poi fa scontare alle donne ogni gravidanza. 

In questo caso però alla malcapitata lavoratrice è successo che la sua datrice di lavoro (donna) le abbia consegnato un test di gravidanza a fine turno chiedendole di usarlo nei bagni della ditta, con la stessa maldicenza di un test antidoping dopo una gara olimpica. Ad aggiungere disagio sarebbero stati anche due colleghi maschi che hanno assistito all’illegale ordine impartito.

In quel caso il test fu negativo. Volere disporre dei corpi dei propri lavoratori e esercitare un controllo di quel tipo con quelle modalità è un episodio che sembra uscito da un capitolo di Margaret Atwood.

Quando in seguito la ventenne scopre di essere incinta è facilmente immaginabile come si concluda la storia: la ginecologa dispone l’astensione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio per un mese, dal 18 gennaio al 25 febbraio. Il 25 gennaio la giovane si rivolge al patronato Inca Cgil per inviare la comunicazione telematica dello stato di gravidanza all’Inps e alla datrice di lavoro. Il 16 febbraio la lavoratrice segnala al sindacato di non aver ricevuto la mensilità di gennaio. Sollecita il pagamento alla datrice di lavoro che, invece, le comunica, via whatsapp, di averla licenziata per giusta causa, inviandole la comunicazione Unilav.

Secondo gli ultimi dati del Censis l’Italia continua ad essere ultima in classifica per occupazione femminile in Europa: “Il tasso di occupazione dei maschi con figli è pari all’89,3%, quello dei maschi senza figli al 76,7%”, mentre “per le donne senza figli è pari al 66,3% e per quelle con figli al 58,6%. Il divario tra il tasso di occupazione delle donne con figli e quello degli uomini con figli in termini di punti percentuali è pari in Italia a -30,7”.

Chissà che ne pensano al ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità.

Buon venerdì. 

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Un Piano Mattei sui diritti. Dall’Africa all’Occidente

In Zimbabwe siamo a un passo dalla cancellazione della pena di morte. Il disegno di legge per abolirla è stato promosso dal parlamentare Edwin Mushoriwa e la consultazione nelle dieci provincie del Paese ha dimostrato che “la maggior parte delle persone desidera la cancellazione della pena capitale”.

In Zimbabwe siamo a un passo dalla cancellazione della pena di morte. Il disegno di legge per abolirla è stato promosso dal parlamentare Edwin Mushoriwa

Le ultime esecuzioni nel paese africano risalgono al 2005 anche se i tribunali continuano a infliggere l’esecuzione e al momento ci sono 63 prigionieri nel cosiddetto braccio della morte. La Costituzione dello Zimbabwe protegge il diritto alla vita. Tuttavia, autorizza i tribunali in circostanze limitate a imporre la pena di morte per omicidio aggravato. La legge proposta proibirebbe a qualsiasi tribunale di imporre la pena di morte e di eseguire una condanna capitale precedentemente emessa.

Nel 2022, la Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli ha invitato tutti i paesi membri della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli a “prendere provvedimenti verso l’abolizione della pena di morte”. Ad oggi, circa 170 paesi hanno abolito o introdotto una moratoria sulla pena di morte sia per legge che per pratica. Nell’Africa meridionale, approvando il disegno di legge sull’abolizione della pena di morte, lo Zimbabwe si unirà ad Angola, Madagascar, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica e Zambia.

Mentre in Italia aumenta il numero di persone che vorrebbe la pena di morte anche solo per il furto come dicono gli ultimi sondaggi e mentre gli Usa continuano con le loro esecuzioni viene da dire che se uscissimo dalla logica colonialista e assistenziale che vede l’Africa come retrograda in tema di diritti forse sarebbe il caso che un “piano Mattei” dei diritti venisse esportato al contrario, nell’Occidente che scodinzola una superiorità che evidentemente su molti temi non esiste.

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C’è un giudice in Puglia. La Ocean Viking torna a salvare vite

Il tribunale di Brindisi assesta un altro colpo all’illegittimità sistemica del cosiddetto decreto Piantedosi sostenendo che le Ong hanno “l’irreversibile diritto di esercitare la propria attività di soccorso in mare in cui di realizzano le loro finalità sociali” e cancellando il fermo amministrativo della Ocean Viking bloccata lo scorso 9 febbraio. Sono quindi illegittimi i fermi amministrativi con cui il decreto Piantedosi boicotta i salvataggi in mare. “Il perdurare della misura del fermo amministrativo”, si legge nel testo, “è suscettibile di pregiudicare in modo irreversibile il diritto da parte della Sos Méditerranée Ocean Viking di esercitare la propria attività di soccorso in mare, in cui si realizzano le sue finalità sociali, come evincibile dall’accordo di partenariato con la Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa”.

Il tribunale di Brindisi assesta un altro colpo all’illegittimità sistemica del decreto Piantedosi cancellando il fermo della Ocean Viking

Tra le finalità, scrive il tribunale, ci sono quelle di “prevenire la perdita di vite umane”, “migliorare la sicurezza in mare”, “rafforzare la cooperazione operativa”, “condividere e scambiare informazioni”. Per i magistrati “tali attività”, quelle della Ong, “implicano il perseguimento di obiettivi di indubbio valore”. L’Ocean Viking era stata fermata in porto con l’accusa di “non aver rispettato le indicazioni fornite dal Centro libico di coordinamento del soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si era svolto il soccorso”. Nel decreto si accusava la nave di non avere permesso l’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica che stava intervenendo nei pressi di un gommone in difficoltà. Quel salvataggio, tra le altre cose, è di fatto un respingimento illegittimo che la Corte di Cassazione ha definito un crimine “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”.

Per il Tribunale di Brindisi: il fermo ostacola i soccorsi

Dal punto di vista giuridico Ocean Viking era sottoposta a fermo amministrativo per non avere agevolato un atto delittuoso. Secondo Sos Mediterranée “il 6 febbraio abbiamo assistito a una serie di azioni pericolose della Guardia costiera libica finanziata dalla Ue. Abbiamo assistito a ben tre respingimenti di persone che cercavano di fuggire dalla Libia, abbiamo visto la guardia costiera libica eseguire manovre aggressive e pericolose sia vicino alle imbarcazioni in pericolo che vicino alla Ocean Viking. La guardia costiera libica – spiega l’Ong – prima ci ha dato istruzioni di soccorrere una barca in legno in condizioni precarie ma subito dopo ci ha ordinato di lasciare l’area nonostante ci fossero persone ancora in pericolo. Nonostante metta spesso in pericolo la vita delle persone, la Guardia costiera libica è ascoltata, sostenuta e informata dalle istituzioni europee. Le loro bugie ci sono costate il terzo fermo”.

Per la giudice “l’opposizione” di Sos Mediterranée “appare sostenuta da un fumus di fondatezza in ordine alla possibile carenza di competenza di accertamento e sanzionatoria in campo all’autorità amministrativa italiana”. Inoltre, si legge nel provvedimento “la ricostruzione dei fatti fornita da parte del ricorrente non risulta, allo stato, essere stata verificata dall’autorità italiana prima dell’emissione del provvedimento sanzionatorio”.

Il Giornale in un articolo in cui parla di “un altro caso Apostolico, collega del tribunale di Catania”

Prevedibile la reazione a destra di cui detta la linea il quotidiano Il Giornale in un articolo in cui parla di “un altro caso Apostolico, collega del tribunale di Catania, che non aveva avallato il trattenimento di migranti illegali tunisini”. Inevitabile per il quotidiano diretto da Sallusti l’ora del complotto: “Sarà un caso, – si legge – ma il giorno di San Valentino si erano mobilitati con un sit-in a favore della “liberazione” della Ocean Viking i soliti supporter dei talebani dell’accoglienza. Dall’Anpi di Brindisi e Puglia, alla Cgil oltre alla sezione locale di Emergency, la Comunità Africana della provincia e la Collettiva TransFemministaQueer Brindisi, che non si capisce bene cosa abbia a che fare con Ong e migranti. Puntuale, meno di una settimana dopo, arriva l’implacabile sentenza che punta da affondare il decreto Piantedosi”.

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Piantedosi gioca coi numeri. E rigira la frittata sugli sbarchi

Nei paesi asiatici gira questa storia che racconta di un ministro che allarga le strade da due a tre corsie. Poco dopo riduce la carreggiata di una corsia e si presenta ai suoi elettori dicendo che il suo mandato di governo si chiude con un saldo positivo: “Il passaggio da due a tre corsie – spiega – è un incremento del 50% mentre quello da tre a due è una riduzione del 33% per cui si può dire che il bilancio finale segna un più 17%”.

Il ministro dell’Interno Piantedosi gongola per gli sbarchi in calo. Ma fare peggio dei 153mila del 2023 non è facile

Ai cittadini spaesati non resta che stringersi. Ieri il ministro all’Interno Matteo Piantedosi ha utilizzato lo stesso trucco quando stentoreo alla Camera ha annunciato che “dall’inizio dell’anno al 19 febbraio scorso in Italia si registra una netta riduzione del numero dei migranti sbarcati, pari a circa il 65%, rispetto all’analogo periodo dello scorso anno e con un calo anche rispetto ai numeri registrati nel 2022”. Per il ministro questi numeri indurrebbero a “ritenere che siamo in presenza di un oggettivo segnale positivo, se si considera che quello in corso è il quinto mese consecutivo in cui si registra una sensibile riduzione degli sbarchi rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente”.

I numeri “positivi” a cui si riferisce Piantedosi si inseriscono dopo un 2023 in cui secondo i dati del Viminale sono arrivati in Italia 153 mila profughi e migranti di cui metà in autonomia e il resto soccorsi dalle motovedette italiane. Meno di seimila dalle temutissime navi umanitarie. La maggior parte degli approdi autonomi, detti anche “sbarchi fantasma”, si sono registrati a Lampedusa. Quasi duemila barche hanno attraversato il Mediterraneo centrale puntando sulla frontiera più a sud d’Europa, l’isola più vicina all’Africa che all’Italia. Quelle più piccole, la maggior parte, salpate dalle coste della Tunisia, di gran lunga meno numerosi i grossi e fatiscenti pescherecci partiti dalla Libia. 112mila arrivi sull’isola da inizio 2023, erano stati 40mila nel 2023. Non solo. Secondo il Progetto Missing Migrants (MMP) dell’OIM 28.320 uomini, donne e bambini sono morti o scomparsi nel Mar Mediterraneo dal 2014. Quasi il 90% (2.271) delle persone morte o scomparse nel 2023 – il numero più alto registrato dal 2017 – stava attraversando la rotta del Mediterraneo centrale.

“I ritardi nei soccorsi operati dagli Stati e il calo delle operazioni delle Ong lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono stati fattori importanti che hanno causato un numero più alto di vittime” fa notare l’Oim che ribadisce il proprio appello agli Stati a ridefinire le priorità e a rafforzare la cooperazione nelle operazioni coordinate di ricerca e soccorso (Sar) e chiede di astenersi dal criminalizzare, ostacolare o scoraggiare gli sforzi di coloro che forniscono assistenza salva vita, comprese le Ong impegnate in operazioni Sar. Insomma, fare meglio del peggiore anno possibile è tutt’altro che una vittoria. Anche perché il ministro non è minimamente sfiorato dall’idea che sia necessario rafforzare i salvataggi in mare.

Confermato l’obiettivo già fallito di fermare le partenze di migranti stipulando accordi con i dittatori del Nord Africa

Per Piantedosi “solo bloccando le partenze gestite dai trafficanti si evitano le tragedie dei naufragi”. È la stessa teoria che aveva accarezzato quando a poche ore dai 94 morti della strage di Steccato di Cutro disse che quei cadaveri erano “colpa di genitori irresponsabili”. Ma anche appoggiando la risibile idea che sia possibile fermare la gente che scappa dalla fame e dal piombo il piano non sembra funzionare benissimo. “Sul piano delle relazioni internazionali – dice il ministro – abbiamo intensificato, sia a livello bilaterale che multilaterale, le iniziative di collaborazione con i paesi di origine e di transito dei flussi migratori, in particolare con Libia e Tunisia, per il rafforzamento delle loro capacità operative di contrasto dell’immigrazione illegale, via terra e via mare. Accanto a tali iniziative di cooperazione tecnica di polizia – aggiunge – stiamo lavorando per potenziare i rimpatri volontari assistiti da Libia e Tunisia verso i Paesi di origine, con la collaborazione delle più importanti organizzazioni umanitarie”.

Peccato che i respingimenti in Libia siano stati bollati come criminali dalla Cassazione e un ex poliziotto tunisino sia tra i presunti trafficanti dell’operazione di ieri a Marsala. Il punto è che il famoso decreto Piantedosi, fermamente soprannominato “Cutro”, si sta smontando pezzo per pezzo. Prima la Cassazione, poi la giudice Apostolico e ieri il tribunale di Brindisi stanno urlando nelle orecchie di Piantedosi che il diritto nazionale e internazionale non può essere calpestato per esigenze di propaganda. C’è infine un altro non trascurabile particolare: a tallonare Piantedosi alla Camera ieri sono stati i suoi alleati della Lega. Chi ha orecchie per intendere intenda.

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