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Nordio e tortura: il risultato politico è già qui

30 marzo 2023. Rispondendo alla Camera il ministro Carlo Nordio assicurava che «il reato di tortura è un reato odioso e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo». La curiosità era lecita poiché alla Camera c’è una proposta di legge di Fratelli d’Italia per stravolgere il reato di tortura e incidentalmente FdI è il primo partito jn Parlamento nonché il partito guidato dalla presidente del Consiglio. 

Aspettarsi uno sgambetto sul reato di tortura è corroborato anche dalle campagne elettorali di Salvini e Meloni, quando ancora si assomigliavano moltissimo prima di separarsi in recitazioni diverse. Salvini e Meloni l’abrogazione del reato di tortura l’hanno promesso a più riprese alle frange più estreme delle forze dell’ordine. Hanno incassato quei voti e devono restituire un segnale di gratitudine. 

Ieri in Aula è tornato il ministro Nordio e questa volta ci fa sapere che «il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York». Dice Nordio che si tratta di «un problema solo tecnico», niente di che. Come se non sapessimo che mettere mano a una legge faticosamente ottenuta nel 2017 sia già un messaggio, uno spiraglio di speranza ai torturatori. 

Come fa notare il presidente di Antigone Patrizio Gonnella «modificare l’articolo 613-bis che proibisce la tortura per adeguarla alle norme Onu è una truffa delle etichette» e significa aprire una sequela di richieste di sospensione di processi come quello per i pestaggi e le mattanze di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia. Il risultato politico già c’è. 

Buon giovedì.      

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C’è un Salvini pure negli Usa. E si chiama Donald Trump

Ogni paese ha il suo Salvini e dalle parti degli Stati Uniti il loro Salvini risponde al nome di Donald Trump. Non è un caso infatti che il magnate americano sia uno degli idoli di riferimento del ministro leghista. Intervistato martedì dalla rete amica Fox News l’ex presidente americano – ora in corsa per le prossime elezioni – si è paragonato ad Alexi Navalny dichiarandosi “un perseguitato”. Trump ha definito Navalny “un uomo molto coraggioso” e ha paragonato la multa di 355 milioni di dollari inflittagli per un processo di frode a New York a un’oppressione “esattamente come” per il dissidente russo.

Multato per frode, l’ex presidente americano Donald Trump si paragona ad Alexi Navalny

“È una forma di comunismo, o di fascismo” ha detto Trump, aggiungendo che ciò che è accaduto a Navalny “sta accadendo anche” negli Usa. “Ci stiamo trasformando in un paese comunista in molti modi. Ho otto o nove cause giudiziarie tutte a causa del fatto che… sono in politica”. Anche nell’utilizzo del benaltrismo il magnate americano è molto simile al leader della Lega: parlare di se stesso per Trump è stata una facile via d’uscita per non nominare Putin. Così, nonostante le domande della conduttrice Laura Ingraham, Trump è riuscito a non pronunciare mai il nome del presidente russo, ritenuto dalla comunità internazionale il colpevole della morte di Navalny.

Mentre Salvini in Italia invocava chiarezza dai giudici di un Paese non libero Trump negli Usa paragonava la frode alla dissidenza: un asse politico perfetto di vigliaccheria politica. Nel frattempo ieri Matteo Salvini ha lanciato dal suo Ministero dei trasporti uno spot sulla sicurezza stradale dove gli attori in auto non indossano le cinture di sicurezza. Mi pare che sia la metafora perfetta.

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La droga della ‘Ndrangheta sdoganata a Gioia Tauro

La porta d’accesso della droga è sempre la stessa: il porto di Gioia Tauro. Ieri i Finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria – con il supporto operativo dello Scico e con la collaborazione di Europol e della Dcsa – hanno dato esecuzione ad un provvedimento che dispone la custodia cautelare in carcere nei confronti di due funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in servizio presso l’Ufficio delle Dogane di Gioia Tauro e gli arresti domiciliari nei confronti di una dipendente di una società di spedizione che sarebbero coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Il destinatario è la ‘Ndrangheta, la più potente organizzazione criminale che gestisce e rifornisce le piazze di spaccio in tutta Europa, secondo i rapporti della Direzione investigativa antimafia.

La porta d’accesso della droga è sempre la stessa: il porto di Gioia Tauro. Nel 2022 sequestrati oltre 16mila chili di stupefacenti

I doganieri, in servizio in punti nevralgici del dispositivo di controllo, quali il controllo scanner e quello “visivo” mediante apertura dei container, avrebbero consentito l’uscita dal porto di ingentissimi quantitativi di cocaina mediante l’alterazione degli esiti delle ispezioni o l’omessa rilevazione di anomalie nei carichi controllati. Tra i documenti sequestrati anche delle accurate istruzioni per i narcos sudamericane per collocare i pacchetti all’interno dei carichi di copertura perché non venissero intercettati. Le indagini hanno consentito di ricostruire il coinvolgimento degli arrestati in 5 importazioni di stupefacente, realizzate tra giugno 2020 e ottobre 2022, per oltre 3 tonnellate di cocaina, delle quali 2,7 intercettate dai finanzieri e sottoposte a sequestro. Il porto di Gioia Tauro è la bocca da cui passa la la maggior parte della cocaina e marijuana. Dopo un paio di anni di delocalizzazione nei porti di Livorno, La Spezia, Genova e del litorale laziale la ‘Ndrangheta è tornata a utilizzare il porto calabrese come punto nevralgico dell’approdo di stupefacenti.

Contestato il traffico internazionale di stupefacenti. Trovate le istruzioni impartite ai narcos per il confezionamento

Nel dossier annuale della Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga) del Viminale dell’anno scorso si attesta la ripresa del narcotraffico ai livelli pre pandemia, con particolare incremento della cocaina. Si legge nel rapporto: “Il volume totale dei sequestri di droga è passato dalle 92,79 tonnellate, rinvenute nel 2021, alle 75,01 tonnellate del 2022, con un decremento percentuale del 19,17%; si può osservare, però, nei risultati, suddivisi per tipo di sostanza, una sensibile crescita dei sequestri di cocaina. Il risultato complessivo, comunque, è il sesto più alto nella serie decennale; se si esclude il quinquennio 2014-2018 e lo scorso 2021, periodi segnati da particolari e contingenti elementi di caratterizzazione, non era mai stato raggiunto un livello di sequestri così consistente, negli ultimi 40 anni”.

Nel 2022 in Calabria sono stati sequestrati oltre 19mila chili di droga

Per la Dcsa in questo scenario “si rafforza il ruolo egemone della ‘ndrangheta calabrese, che continua a rappresentare l’organizzazione mafiosa italiana più insidiosa e pervasiva, caratterizzata da una pronunciata tendenza all’espansione sia su scala nazionale che internazionale”. La disponibilità di ingenti capitali illeciti e una spiccata capacità di gestione dei diversi segmenti del traffico le hanno permesso, nel tempo, di consolidare un ruolo rilevante nel narcotraffico internazionale. Nel 2022 in Calabria sono stati sequestrati 19,459,72 chili di droga di cui 16.110,38 solo a gioia Tauro, pari all’80,35% dei quantitativi rinvenuti presso la frontiera marittima. La cocaina arriva in Calabria soprattutto da Ecuador e Brasile. La lotta alla droga e alle mafie è un processo molto serio che non si ferma all’arresto degli spacciatori minorenni di Caivano. Quelle tasche vengono riempite partendo da qui.

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Ecco il risultato del decreto Caivano

Nelle carceri italiane c’è la fotografia esatta del risultato delle politiche di un governo che incapace di governare decide di comandare con un panpenalismo che dovrebbe essere la soluzione. 

All’inizio del 2024 sono circa 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane. Sono oltre dieci anni che non si raggiungeva una simile cifra. Gli ingressi in Ipm sono in netto aumento. Se sono stati 835 nel 2021, ne abbiamo avuti 1.143 nel 2023, la cifra più alta almeno negli ultimi quindici anni. La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è fatta quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare. Frutto questo del decreto Caivano che ha esteso l’applicazione della custodia cautelare in carcere, stravolgendo l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988. Altra novità, in linea con quanto previsto dal Decreto, laddove prevede di disporre la custodia cautelare anche per i fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti è la notevole crescita degli ingressi in Ipm per reati legati alle droghe, con un aumento del 37,4% in un solo anno. Aumenti dei numeri, quindi, che non trovano riscontro nell’aumento dei reati, con il dato più recente che, tra alti e bassi, è in linea con quello registrato 10 anni fa.

Lo spiega bene Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: ”Il modello della giustizia minorile in Italia, fin dal 1988, data in cui entrò in vigore un procedimento penale specifico per i minorenni, è sempre stato un vanto per il Paese. Mettendo al centro il recupero dei ragazzi, in un’età cruciale per il loro sviluppo, nella quale educare è preferibile al punire, ha garantito tassi di detenzione sempre molto bassi, una preferenza per misure alternative alla detenzione in carcere, come ad esempio l’affidamento alle comunità e ottenuto un’adesione al percorso risocializzante ampio da parte dei giovani. Dal decreto Caivano in poi, invece, il rischio che questi 35 anni di lavoro vengano cancellati e i ragazzi persi per strada è una prospettiva drammatica e attuale”.

Buon mercoledì. 

Nella foto: Ipm di Catanzaro, frame del video “Perdere e prendere” feat Kento

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Sul caso Navalny Salvini è indifendibile

Dice il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo che “in Italia c’è un’ossessione nei confronti di Salvini per cui tutto quello che succede bisogna puntare l’indice e la colpa nei confronti di Salvini e della Lega”. Romeo, ospite della trasmissione Agorà su Rai3, stava rispondendo alle accuse di ambiguità contro la Lega per le sue posizioni passate e presenti su Putin e sulla Russia.

Salvini ha detto che sul caso Navalny “bisogna fare chiarezza” ma “la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi”

Romeo dice anche che “su Putin ha sbagliato tutto l’Occidente” e precisa che il suo partito ha preso le distanze dal presidente russo “il giorno stesso in cui ha invaso l’Ucraina”. Il vittimismo e il diritto al condono sono due costanti dei partiti del governo. Arrogarsi del diritto all’oblio in politica è una pretesa cretina e irricevibile. Il giudizio su un leader politico si basa inevitabilmente sul suo passato, sul presente e sulla sua idea di futuro. Solo così se ne può testare l’affidabilità e la coerenza.

A rovinare i piani del senatore Romeo comunque ci ha pensato Salvini in persona che ieri in un’interista a Rtl 102.5 ha detto: “Capisco la posizione della moglie di Navalny, bisogna fare chiarezza. È chiaro che c’è un morto e quindi bisogna fare assolutamente chiarezza. Ma la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi”.

Affidarsi alla giustizia di una tirannia e ai medici di un Paese in cui molti degli oppositori politici sono certificati accidentalmente morti significa dare credito a Putin e al suo governo. Si potrebbe dire che Salvini ancora oggi ritiene Putin credibile. Spiace per il suo capogruppo Romeo. Su Putin avranno sbagliato in molti ma a continuare a sbagliare su Putin ormai sembra essere rimasto solo il suo segretario di partito.

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Respingimenti illegali. L’ex capo di Frontex Leggeri candidato dalla Le Pen

Che l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex facesse tutt’altro che preoccuparsi del rispetto dei diritti umani era chiaro da tempo, ma la lista delle prossime candidature alle elezioni europee ce ne dà conferma: Fabrice Leggeri, ex capo dell’agenzia di frontiera dell’Ue Frontex, ha annunciato sabato di aver aderito al partito di estrema destra di Marine Le Pen per candidarsi alle prossime elezioni europee. Sarà il terzo in lista.

Fabrice Leggeri, ex capo di Frontex, ha annunciato di aver aderito al partito di estrema destra di Marine Le Pen per candidarsi alle europee

“Il nostro obiettivo è chiaro: riprendere il controllo dei confini dell’Unione europea e della Francia”, ha pubblicato sabato sul suo profilo X. Per Leggeri il partito di Le Pen “ha un piano concreto e la determinazione per renderlo realtà”, ha detto. Secondo i nuovi dati del sondaggio pubblicati la scorsa settimana, si prevede che l’estrema destra francese registrerà il suo risultato più alto di sempre nelle prossime elezioni del Parlamento europeo. Il National Rally, guidato dal membro del Parlamento europeo Jordan Bardella, potrebbe ottenere il 33 per cento dei voti, mentre il partito di estrema destra Reconquête sarebbe al 6%, secondo un sondaggio della società di consulenza Portland Communications condiviso con Politico.

Leggeri aveva presentato le sue dimissioni da Frontex a fine aprile del 2022. Già da anni l’agenzia europea era accusata di compiere personalmente e con l’aiuto delle polizie locali respingimenti di massa di richiedenti asilo, vietati dalle norme europee e dal diritto internazionale. Leggeri da capo dell’agenzia ha sempre negato con forza quelle accuse. Le sue dimissioni arrivarono nel giorno in cui il board di Frontex doveva discutere alcune azioni disciplinari per lo staff dell’agenzia in seguito a un rapporto compilato dall’Olaf, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, che aveva individuato comportamenti irregolari di vari dirigenti di Frontex nella gestione dei flussi migratori verso l’Europa. Quel rapporto individuava “precise responsabilità dell’agenzia e di Leggeri per alcuni respingimenti avvenuti in Grecia”.

Tante le prove che accusano l’ex numero dell’Agenzia Ue. Ma per Marine fanno curriculum

Nell’inchiesta curata dallo Spiegel e da Le Monde uscita pochi giorni prima si leggeva che Frontex fosse direttamente coinvolta nel respingimento di circa un migliaio di richiedenti asilo nel tratto di mare fra Grecia e Turchia fra marzo 2020 e settembre 2021, anche se “il vero numero dei respingimenti compiuti con l’assistenza di Frontex è plausibilmente ancora più alto”. Frontex e Leggeri hanno sempre respinto qualsiasi accusa, anche quando sono stati messi di fronte all’evidenza e a prove schiaccianti della propria responsabilità. Alla fine del 2020 una lunga inchiesta del sito di giornalismo investigativo Bellingcat in collaborazione con altri giornali europei fra cui lo Spiegel documentò molto dettagliatamente che l’8 giugno una nave di Frontex aveva fisicamente impedito a un gommone pieno di richiedenti asilo di entrare nelle acque greche.

Più di un’inchiesta giornalistica chiama in causa la gestione dell’agenzia di frontiera da parte francese

Un rapporto compilato nell’estate del 2021 dal Parlamento Europeo sul lavoro di Frontex ha concluso che “nonostante diversi soggetti credibili abbiano sistematicamente raccontato di violazioni di diritti umani alle frontiere di diversi stati membri, Frontex ha generalmente ignorato queste segnalazioni”. Molti osservatori hanno attribuito l’approccio disumano allo stesso Leggeri, arrivato a capo di Frontex dopo una carriera nel ministero dell’Interno francese senza nessuna competenza nella gestione dei flussi migratori o competenze specifiche sul rispetto dei diritti umani.

Da qualche giorno grazie a un’inchiesta del collegio di giornalisti Lighthouse Reports sappiamo che l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera ha spinto i migranti tra le braccia delle motovedette libiche perché potessero essere più facilmente accalappiati e portati all’inferno. A partire dal gennaio 2021 Frontex ha inviato oltre 2.200 email con le posizioni di barche di rifugiati alla cosiddetta guardia costiera libica. Ora, alla luce della candidatura come uomo di punta nelle file del partito di Le Pen, possiamo senza dubbio scrivere che la parabola di Leggeri tenda verso la peggiore destra europea.

Leggi anche: Collaborazionisti dei libici. Le mail accusano Frontex

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Migranti consegnati alla Libia. Class action contro il governo

C’è da capirli. Dalle parti del governo l’ultima sentenza della Cassazione che sancisce il reato “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone” ogni volta che i migranti vengono affidati alla cosiddetta Guardia costiera libica disturba il sonno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del ministro all’Interno Matteo Piantedosi e del vice premier e ministro Matteo Salvini. Ci vuole un po’ di comprensione: tutti e tre hanno costruito la propria credibilità sullo stop all’immigrazione e non solo i numeri sono esponenzialmente aumentati dimostrando che i porti chiusi sono una panzana buona solo per concimare la propaganda, ma ora anche la Cassazione stabilisce che l’intero impianto su cui si basa la politica nel Mediterraneo del governo è carta straccia.

Per il ministro Piantedosi, l’Italia non consegna migranti alla Libia. In compenso finanzia gli aguzzini della Guardia costiera

La Libia non è un porto sicuro, dice la Cassazione. A ben vedere ce lo dicono anche le centinaia di migliaia di migranti illegalmente trattenuti nelle prigioni libiche (legali e illegali) quotidianamente sottoposti a violenze e torture. Che la Libia non fosse un porto sicuro lo spiega dettagliatamente la Convenzione europea per i diritti umani. Che la Libia non fosse un porto sicuro è scritto nero su bianco nel report dell’Onu in cui gli investigatori incaricati dal Consiglio di sicurezza a ottobre dell’ano scorso hanno spiegato che l’ufficiale della sedicente Guardia costiera libica Bija insieme ai cugini Kashlaf e Osama Al-Kuni viene indicato come il “peggiore dei carcerieri”. Che la Libia non sia un porto sicuro ce lo dicono i corpi che sbucano da vivi e da morti sulle nostre spiagge.

Scrivono i giornali vicini al governo che quella della Cassazione è una sentenza politica. Non hanno torto. La sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli condanna chiunque faciliti i respingimenti illegali in Libia. Si tratta di più di 80mila persone riportati nell’inferno dei centri di detenzione dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha spiegato che “la sentenza della Cassazione va letta bene, non con una lettura di tipo politico o ideologico”.

L’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica

“L’Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall’Italia”, ci ha tenuto a sottolineare il titolare del Viminale garantendo che il suo governo si è sempre attenuto alla legge. Ci spiace contraddirlo: l’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica. Perché siamo d’accordo che sono criminali coloro che perpetuano un reato, vero ministro? Ma la sentenza è politica, eccome. Come spiega Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans “con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta ‘guardia costiera libica’ non può ‘coordinare’ nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso”.

Casarini: “Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, ma anche una grande class action contro il governo, il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”

Per questo, dice Casarini, “ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”. “Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una “sedicente” guardia costiera – aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di “mettere in salvo” le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La Suprema Corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell’inferno”.

Casarini ricorda, inoltre, che la nave Mare Jonio di Mediterranea “di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la “class action”, e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex”. C’è da comprendere l’agitazione al Viminale e a Palazzo Chigi.

 

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La Verità… fa male. Specie se è al contrario

Caro Francesco Borgonovo, anche ieri dalle vostre parti nella redazione de La Verità siete riusciti nella mirabile impresa di sciacallare sulle vittime sepolte nel cantiere di Firenze spiegandoci come “le morti del lavoro siano colpa dell’immigrazione selvaggia” perché – dici – i subappalti con condizioni di lavoro mortali sarebbero impossibili senza “manodopera illegale e quindi sfruttabile”.

Anche ieri dalle parti della redazione de La Verità sono riusciti nella mirabile impresa di sciacallare sulle vittime sepolte nel cantiere di Firenze

È il solito trucco di dipingere gli oppressi come oppressori. Niente di nuovo, niente di fantasioso. Gli ultimi numeri a disposizione pubblicati dall’Istat nel 2021, che per fortuna non sono opinioni, dicono che in Italia il lavoro sommerso vale qualcosa come 174 miliardi. Per fare un paragone, il Pnrr italiano vale 191,5 miliardi, ripartiti in più anni. I soldi del lavoro irregolare sono 17,4 miliardi in più rispetto all’anno precedente (il 10% in più) e coinvolgono quasi tre milioni di lavoratori (2 milioni 990mila, per la precisione).

Il settore con più sommerso è quello di “altri servizi alle persone” che comprende un’ampia gamma di codici ateco (dalle scommesse all’intrattenimento, fino alle attivitа sportive), dove il sommerso costituisce il 34,6% del valore aggiunto del comparto. Poi c’è il commercio, trasporti, alloggio e ristorazione con il 20,9% e le costruzioni con il 18,2%. In agricoltura siamo al 15,7%.

Credo che nemmeno una penna spericolata come la tua possa credere che quei 3 milioni siano tutti stranieri colpevoli di trasformare gli irreprensibili imprenditori italiani in evasori. Mi spiace quindi farti notare che no, i morti sul lavoro non sono colpa dei morti ma dei vivi che li sfruttano, del caporalato dei viventi, dei subappalti a cascata autorizzati da italianissimi governanti e degli italici controlli che mancano. Cordialità. Ci risentiamo alla prossima tragedia trasformata in farsa.

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A Rafah si paga per scappare

A Rafah un milione e mezzo di persone cercano rifugio aspettando di morire nella prossima operazione di terra che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso per il 10 marzo nel caso in cui non venissero rilasciati gli ostaggi. Cinquecentomila disperati morituri sono bambini. 

Oltre il 70 per cento delle infrastrutture civili è gravemente danneggiato, molte zone di Gaza sono ridotte in macerie e inabitabili. La maggior parte degli ospedali non è operativa o lo è solo parzialmente, in condizioni di totale sovraffollamento. C’è penuria di cibo, acqua pulita, rifugi e prodotti sanitari. Le persone stanno vivendo nelle più inumane delle condizioni, molte di loro all’aperto. Come sottolinea Amnesty International è «inconcepibile» che Israele, dopo aver sfollato con la forza la maggior parte della popolazione di Gaza verso Rafah – dove la popolazione è ora sei volte superiore rispetto al passato – annunci ora l’intenzione di attaccare la zona.

Come si esce da Rafah per cercare riparo in Egitto? Solo pagando. In una sua inchiesta Organized Crime and Corruption Reporting Project racconta un innalzamento dei costi corruttivi da parte della rapace guardia egiziana al confine. Se hai 5mila dollari puoi schivare le bombe, altrimenti ti rimane solo il riparo delle macerie. La più importante società che gestisce i passaggi illegali è di proprietà dell’importante uomo d’affari egiziano Ibrahim Al-Organi, che dirige la tribù Tarabin nel deserto del Sinai al confine con Israele e ha altre partnership commerciali con lo stato egiziano. 

Maher Mahmoud, un palestinese di 23 anni che vive al Cairo e vende telefoni cellulari ha spiegato a OCCRP: «I broker con cui abbiamo parlato hanno chiesto 9.500 dollari per portare fuori mia moglie e 7.000 dollari ciascuno per le mie due nipoti, Farah e Riham, che hanno subito gravi ferite durante la guerra e sono legati alle sedie a rotelle», ha detto a OCCRP. L’Ue seduta a guardare. 

Buon martedì. 

L’immagine di apertura è di Action Aid ed è stata scattata a Gaza

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