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Il Governo congela le multe ai No Vax. E nega lo smart working ai fragili

Due indizi non fanno una prova ma suggeriscono un’inclinazione. Mentre calavano le tenebre sul Parlamento è passato l’emendamento di Alberto Bagnai (Lega) come gradito omaggio ai no vax: è stata prorogata di sei mesi, fino al 31 dicembre, la sospensione delle multe per chi ha violato l’obbligo di vaccinazione per il Covid. “Ore 23. Combattiamo una battaglia contro l’emendamento 4.2 Bagnai (un nome una garanzia) che rinvia per l’ennesima volta le multe per chi se n’è fregato della scienza e non si è vaccinato durante il Covid – ha scritto su X il deputato di Iv Luigi Marattin -. Tra l’imbarazzo anche di una parte della maggioranza, quella che non ha venduto tutta l’anima al cialtronismo e al populismo”.

In un emendamento della Lega il gradito omaggio ai no vax: è stata prorogata di sei mesi la sospensione delle multe per chi ha violato l’obbligo di vaccinazione

Marco Grimaldi, vice presidente del gruppo di alleanza Verdi e Sinistra alla Camera spiega che “1,7 milioni di persone hanno già ricevuto la comunicazione dall’Agenzia delle entrate per l’avvio del procedimento della sanzione, che vale 100 euro a testa. Questo significa – spiega Grimaldi – che lo Stato ha già messo in conto di incassare più di 150 milioni di euro. La destra ripaga i voti no vax con una proroga che è un doppio schiaffo. A chi si è vaccinato e pure a chi non lo ha fatto e ha pagato una multa” “Le urla e le minacce di Fratelli d’Italia durante i lavori di commissione sono una indecenza che si aggiunge alla gravità di questa norma”, dice il deputato di Avs. Dai banchi dell’opposizione, sono state denunciate “minacce” del deputato di Fratelli d’Italia, Paolo Trancassini. Particolari tensioni ci sarebbero state Igor Iezzi della Lega e Leonardo Donno del Movimento Cinque Stelle, che si era avvicinato ai banchi della maggioranza. Nella maggioranza non ha partecipato al voto il capogruppo di FI in commissione Affari costituzionali Paolo Emilio Russo.

Stop al lavoro agile per i soggetti a rischio. I 5S attaccano: “Le patologie restano pure dopo la pandemia”

Secondo indizio. Nella stessa notte sono per prorogare se non addirittura rendere strutturale lo smart working per i lavoratori fragili, sia del pubblico sia del privato, presentati dal Movimento 5 stelle. “Ancora una volta, maggioranza e Governo scelgono di girarsi dall’altra parte davanti alle nostre richieste di buonsenso, continuando a perpetuare una discriminazione nei confronti dei “fragili” della PA la cui proroga del lavoro agile è scaduta lo scorso 31 dicembre e non è stata protratta, com’è invece avvenuto per i dipendenti privati. La nostra battaglia va avanti e non si ferma qui”, dice la deputata del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali Gilda Sportiello. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani ha ricordato come lo smart working sia stato utilizzato in modo massiccio durante la pandemia per evitare il contagio come “strumento emergenziale” ma ha sottolineato che non può essere utilizzato nello stesso modo finita la pandemia.

Nel Milleproroghe si usano due pesi e due misure. Ripagato il voto dei negazionisti a spese di chi si è vaccinato

“Superata la fase emergenziale – ha spiegato nel corso di un Question time rispondendo a una domanda sulla possibilità di rendere permanente il lavoro agile per i lavoratori fragili e per i genitori di figli con disabilità grave – si è proceduto a un progressivo ritorno in presenza”. I deputati del M5S in commissione Affari sociali Andrea Quartini (capogruppo) e Sportiello ricordano al ministro che “le patologie gravi e le disabilità durano nel tempo. Il Governo ha l’obbligo morale di farsi carico di queste cittadine e cittadini”. Viene prorogata la tutela ai furbi e vice stoppata la tutela a coloro che potrebbero avere gravi conseguenze se prendessero il Covid, anche nella forma blanda che circola ora nel mondo. Due indizi non fanno una prova ma suggeriscono un’inclinazione.

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Lo dicono loro che è un genocidio

L’ambasciata israeliana presso il Vaticano ieri se l’è presa con il segretario di quello Stato, Pietro Parolin, colpevole di aver affermato che l’operazione militare israeliana contro la popolazione palestinese di Gaza è «sproporzionata». Un piccolo inciso indispensabile prima di continuare: che la reazione di Israele sia sproporzionata lo pensano tutti coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, lo pensano perfino gli Usa che sull’eccesso di difesa hanno costruito la loro storia, lo pensa perfino il ministro Tajani che non trova più le parole per giustificare l’ingiustificabile, lo pensano perfino molti israeliani, lo dicono i 28.576 palestinesi ammazzati in maggioranza donne e bambini. Anche coloro che di solito ci vanno giù con la mano pesante nel “diritto alla difesa” sono attoniti dalla carneficina che il governo Netanyahu corre passare come giustizia. 

Andiamo avanti. Dice l’ambasciatore israeliano che bisognerebbe considerare “il quadro generale” perché “i civili di Gaza hanno anche partecipato attivamente all’invasione non provocata del 7 ottobre nel territorio israeliano, uccidendo, violentando e prendendo civili in ostaggio”. Per Israele “i civili sono tutti complici di Hamas”. 

Seguendo il nesso logico per cui non esista un palestinese innocente viene da capire che la controffensiva di Israele annunciata per stanare Hamas abbia come obiettivo tutti i civili di Gaza. È naturale credere quindi che ogni bambino e ogni donna e ogni uomo ammazzato non sia una vittima collaterale ma una missione compiuta. Sorge allora una domanda: cos’altro serve per chiamalo genocidio?

Buon giovedì.

Nella foto: frame di un video sulla tendopoli di Rafah

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L’antimafia ridotta a orpello. Tutti zitti su Di Matteo

Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, intervistato da Tiziana Panella per il programma Tagadà su La7. Tanto che conviene un veloce ripasso.

Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo

Il magistrato ha ricordato che il processo Stato-mafia che secondo larga parte della stampa sarebbe stato inutile ha fatto emergere dei fatti che “restano lì”, primo fra tutti il dialogo “cercato” da “esponenti importanti delle istituzioni” tramite “Vito Ciancimino, Riina e Provenzano” per “far cessare la strategia delle stragi” mentre “c’era ancora il sangue della strage di Capaci sull’asfalto dell’autostrada”. Primo fra tutti il dialogo tra l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e l’ex ufficiale dell’Arma Mario Mori.

Vicinanza testimoniata anche dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che all’epoca delle stragi era Presidente della Camera dei Deputati. Di Matteo ha sottolineato anche l’arresto “particolare” di Matteo Messina Denaro che secondo il magistrato “adottava tutta una serie di comportamenti concreti che sono assolutamente incompatibili con la prudenza di chi si vuole sottrarre alla cattura”.

Ha ricordato come Salvatore Riina sia riuscito a sfuggire alla giustizia per trent’anni per poi essere “catturato a casa sua” e Bernardo Provenzano, latitante per 43 anni, “è stato catturato a Corleone”. Per Di Matteo è difficile pensare che queste latitanze siano il risultato dell’abilità dei boss di sottrarsi all’arresto con l’aiuto “di pochi familiari e pochi amici”. Quali fossero le coperture più alte dovrebbe essere la domanda che pervade il Paese ma l’antimafia ormai è solo un orpello.

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Conte, Podemos & C. Il fronte trasversale contrario all’invio di armi in Ucraina

Allargando gli orizzonti fuori dal provincialismo, chi chiede la pace, chi è contro l’invio di armi in Ucraina Il conflitto in Ucraina e poi la guerra tra Israele e Hamas con la conseguente occupazione di Gaza ha aperto crepe profonde tra i partiti politici in Europa. Già a ottobre dell’anno scorso mentre 500 eurodeputati votavano una risoluzione per chiedere “una pausa umanitaria” 76 membri del Parlamento europeo avevano deciso di fare un passo in più, chiedendo fin dalle prime settimane di guerra un “cessate il fuoco immediato”. La lettera era stata firmata dagli eurodeputati legislatori del gruppo Verdi/Ale (32), S&D (13), Renew Europe (9), La Sinistra (16) e non iscritti (6). Insieme rappresentano solo il 10% circa dei seggi totali e il 21% di quelli detenuti dalle forze progressiste.

Il blocco di movimenti e partiti contrari all’invio di armi in Ucraina va da destra a sinistra. In prima linea in Italia M5S e Avs

Nel Parlamento italiano il cessate il fuoco immediato con una posizione netta è stato chiesto dal Movimento 5 stelle e Alleanza verdi e sinistra. Entrambi sono contrari anche all’invio di armi all’Ucraina e chiedono che l’Ue si attivi per una soluzione diplomatica del conflitto. A proposito di Ucraina lo scorso gennaio entrambi i partiti hanno presentato una risoluzione in Parlamento. Alla Camera quella del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte impegnava il governo a “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine, ferme restando le misure destinate agli aiuti umanitari”.

In Spagna il partito della Belarra esprime posizioni vicine a quelle del M5S

Quella di Sinistra Italia ed Europa Verde era di fatto identica, chiedendo al governo di “interrompere la cessione di mezzi e materiali d’armamento in favore delle autorità governative dell’Ucraina, concentrando le risorse sull’assistenza umanitaria e sulla ricostruzione”. In Spagna posizioni molto simili sul conflitto ucraina le tiene il partito Podemos. Podemos rivendica da sempre un’anima convintamente pacifista e ha cercato di ostacolare il supporto militare di Madrid a Kiev sin dall’inizio del conflitto: la segretaria Ione Belarra, ministra per i Diritti sociali del governo Sanchez, alla terza Conferenza europea per la pace tenutasi nella capitale spagnola lo scorso 17 febbraio, ha definito “irresponsabile” l’invio di armi all’Ucraina voluto “dai potenti di altri Paesi”, perché “l’escalation bellica è una bestia insaziabile“.

In Francia sono contrari all’invio di armi in Ucraina i partiti dall’estrema destra di Le Pen e quelli della sinistra radicale di Melenchon

In Francia contro l’invio di armi in Ucraina ci sono partiti dall’estrema destra di Marine Le Pen alla sinistra radicale di Jean-Luc Melenchon. In Germania a chiedere “basta invio armi a Kiev” è Sahra Wagenknecht, la nuova promessa della politica tedesca. Un passato nel Pds, erede del partito socialista della Ddr, esponente di lungo corso della Linke, la deputata di Jena ha creato l’8 gennaio una nuova formazione che porta il suo nome. A oggi se si candidasse come Cancelliera la sosterebbe il 17% degli intervistati, mentre il 36% la vorrebbe al governo.

Sulla guerra in medio oriente in Italia ha una posizione netta anche Unione popolare, il movimento di sinistra radicale guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. In seguito all’attacco del 7 ottobre Unione popolare ha scritto: “Non simpatizziamo per Hamas ma va detto che non può essere qualificata come terrorismo la resistenza palestinese”. Oltre al riconoscimento di “un libero Stato palestinese” Unione popolare ha quindi chiesto agli Stati Uniti e alla Nato di interrompere l’invio di armi a Israele. All’estero chiedere il cessate il fuoco non è un tabù, nessun rischio di essere imbrattati dall’amministratore di qualche televisione pubblica o da Mara Venier.

Anche Regno Unito e Germania chiedono il cessate il fuoco a Gaza

Chiede il cessate il fuoco “immediato” il presidente Macron, pur riconoscendo che Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato oggi che l’attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre. Tra moltissime sfumature e distinguo l’hanno chiesto anche i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito e Germania. E poi ci sono gli Usa: ogni giorno si intensificano le voci del presidente Biden pronto a rompere con Israele per le atroci sofferenze inferte alla popolazione.

 

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Femminicidi troppo poco interessanti

Questa volta il femminicidio è doppio anche se la radice è la sempre la stessa, il non poter più possedere la sua ex fidanzata. Christian Sodano, originario di Minturno e in servizio alla Guardia di finanza di Ostia, è arrivato a casa della sua ex fidanzata a Cisterna di Latina, quartiere San Valentino. Hanno cominciato a litigare. A quel punto sarebbero intervenute la madre e la sorella di lei, contro cui il finanziere ha esploso alcuni colpi di pistola. Lei è fuggita in bagno dove si è rifugiata fino all’arrivo delle forze dell’ordine che l’hanno trovata in stato di choc. Lui ha ucciso Nicoletta Zomparelli, 46 anni, Reneè Amato, 19 anni, rispettivamente madre e sorella di Desyrée. L’allarme è stato lanciato da alcuni vicini allarmati dagli spari. 

A proposito di armi. Nel 2018 – sempre a Cisterna di Latina – Luigi Capasso, un appuntato dei carabinieri in servizio a Velletri, sparò alla moglie da cui si stava separando, ferendola gravemente, e uccise le sue due figlie prima di suicidarsi. A giugno dell’anno scorso il poliziotto Massimiliano Carpineti ha ucciso la sua collega Pier Paola Romano nell’androne del suo palazzo, prima di uccidersi. Un altro maresciallo della Guardia di finanza, Marcello de Prata, ha ucciso con la pistola d’ordinanza la moglie e la cognata. 

Su 15 donne uccise nel 2024 in sette casi si tratta di delitti con le peculiarità del femminicidio. Finora nessuna delle sette donne ha meritato di diventare un caso nazionale in grado di riaprire il dibattito effimero che è già tornato a essere tema per specialisti e appassionati del genere. Così vuole la gerarchia delle notizie.

Buon mercoledì. 

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Collaborazionisti dei libici. Le mail accusano Frontex

Che lo scopo del sostegno dell’Unione europea, Italia in primis, alla cosiddetta guardia costiera libica sia quello di tappare le partenze dalla costa africana usando modi che non rispettano il diritto internazionale è chiaro a tutti. Nessuno si sognerebbe di pagare una masnada di criminali, molto spesso essi stessi trafficanti, per compiere realmente missioni di ricerca e di soccorso.

Da ieri sappiamo che il concorso esterno in abuso di persone, l’Unione europea lo pratica anche con Frontex

Da ieri grazie a un’inchiesta del collegio di giornalisti Lighthouse Reports sappiamo che il concorso esterno in abuso di persone, l’Unione europea lo pratica anche con Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che spinge i migranti tra le braccia delle motovedette libiche perché possano essere più facilmente accalappiati e portati all’inferno. A partire dal gennaio 2021 Frontex ha inviato oltre 2.200 email con le posizioni di barche di rifugiati alla cosiddetta guardia costiera libica.

Gli aerei dell’Agenzia dell’Unione Europea per il controllo delle frontiere, mentre sorvolano il Mediterraneo centrale, inviano le coordinate delle imbarcazioni cariche di persone in pericolo, in fuga proprio dall’inferno della Libia, a quelle milizie che – come provato da innumerevoli fonti indipendenti – inseguono, speronano, sparano e picchiano le persone migranti in mare con l’obiettivo di catturarle e deportarle nuovamente in Libia.

Una violazione del diritto di cui era consapevole lo stesso Responsabile per i Diritti Fondamentali di Frontex, Jonas Grimhegen, che infatti ha avvertito internamente i vertici delle possibili conseguenze legali per l’agenzia derivanti dalla sua collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica.

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L’atletica piange Kelvin Kiptum. L’unica gara persa è stata contro il destino

Immagina di nascere predestinato, con addosso la stoffa per riscrivere la storia della maratona e morire a 24 anni. Kelvin Kiptum lo scorso ottobre alla maratona di Chicago aveva corso con il passo di un alieno. Primo uomo a correre sotto le due ore e un minuto (2 ore e 35 secondo segnava il cronometro) aveva riscritto il record del mondo strappandolo a Eliud Kipchoge, keniano come lui. Il prossimo 14 aprile alla maratona di Rotterdam avrebbe provato a scendere sotto il muro delle due ore per poi prepararsi a sfidare a Parigi Kipchoge, il due volte campione olimpico olimpico della maratona (medaglia d’oro sia a Rio 2016 che a Tokyo 2020). Chi segue le maratone non aveva dubbi: che Kiptum sarebbe stato il primo uomo sfondare il muro delle due ore lo sapevano tutti. Restava semplicemente da scoprire quando.

Kelvin Kiptum e il suo allenatore Gervais Hakizimana sono morti in un incidente stradale in Kenya domenica 11 febbraio

Kelvin Kiptum e il suo allenatore Gervais Hakizimana sono morti in un incidente stradale in Kenya domenica 11 febbraio intorno alle 23 locali, le 21 italiane. L’incidente è avvenuto su una strada tra le città di Eldoret e Kaptagat, nel Kenya occidentale, nel cuore della regione ad alta quota, ideale per l’allenamento dei corridori sulla lunga distanza. Coi due una donna, Sharon Kosgei, ricoverata presso il Racecourse Hospital di Eldoret. Erano a bordo di una Toyota Premio.

Nato in Kenya nella regione di Eldoret nel cuore della Rift Valley, la culla dei maratoneti, Kiptum ha iniziato a correre con regolarità nel 2016. Solo tre anni più tardi si è imposto a Belfort stabilendo il record della mezza maratona “Le Lion” (59”53’). Il suo allenatore, il ruandese Gervais Hakizimana, aveva dichiarato in un’intervista ad Afp che il suo ragazzo correva “più di 250 km a settimana, a volte più di 300”: “è un’avventura! Durante la preparazione a Londra, abbiamo fatto tre settimane a oltre 300 chilometri. È un volume enorme. A quel ritmo, c’è il rischio che si infortuni e si rompa. Gli ho suggerito di ridurre l’intensità, ma non vuole farlo. Mi parla sempre del record del mondo”, raccontava il suo allenatore. A dicembre del 2022 il mondo si accorge di lui. Corre la maratona di Valencia in 2h01’53”. Passano quattro mesi e a Londra segna 2h01’25”. Poi Chicago, 2h00’35”.

Una settimana fa in una video intervista nel corso di un evento di uno sponsor a Parigi, Kiptum aveva dichiarato: “Se la mia preparazione funziona bene e le condizioni sono buone, so che posso farcela a correre la Maratona di Rotterdam sotto le 2 ore. Sarebbe il miglior viatico per l’appuntamento olimpico dove l’ambizione è mettersi al collo l’oro”. La sua specialità era il “negative split”, correre la seconda metà di gara più veloce della prima, mentre molti altri già si sfilacciano per la stanchezza. Undici anni fa Kiptum faceva il pastore sugli altipiani del Kenya. In un’intervista aveva raccontato di avere cominciato a correre solo per imitare campioni che si allenavano intorno a casa sua. Poi in quelle gambe ci aveva trovato un talento come una magia. A quello ha aggiunto l’impegno estenuante e continuo. il presidente del Kenya, William Samoel Ruto in un post su X ha ricordato “la sua forza mentale e la sua disciplina” che “non avevano eguali”: “era una stella. Probabilmente uno dei migliori sportivi del mondo. Kiptum era il nostro futuro”.

Nuovo lutto nel Paese africano. Dopo Wanjiru, tre anni dopo l’oro di Pechino e Agnes Tirop

La morte di Kiptum ricorda quella di un altro grande maratoneta keniano, Samuel Wanjiru, avvenuta alla stessa età nel 2011, tre anni dopo la conquista del titolo olimpico a Pechino. Il Kenya sportivo è ancora scosso dal lutto dell’ottobre 2021 quando Agnes Tirop, vincitrice di due medaglie di bronzo mondiali nei 10.000 metri, è stata accoltellata a morte a 25 anni nella sua casa di Iten dal marito. Kelvin Kiptum, il maratoneta per caso mai battuto in gara, solo il fato l’ha vinto.

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Carceri a rischio collasso. Tira aria di amnistia contro il sovraffollamento

E se la destra giustizialista, quella che ama il tintinnare delle manette e che invoca di buttare via la chiave fosse costretta a firmare un indulto o un’amnistia La prospettiva è meno inverosimile di quanto si possa credere perché, come spiega l’associazione Antigone, il sistema penitenziario italiano si avvicina a passi da gigante con le carcere a livelli di sovraffollamento che configurerebbero un trattamento inumano e degradante generalizzato delle persone detenute.

L’associazione Antigone chiede più pene alternative. I penalisti invece invocano l’indulto

Se gli attuali ritmi di crescita dovessero essere confermati a fine 2024 il panpenalismo del governo Meloni potrebbe portare a una “condizione drammatica”, scrive l’associazione che si occupa di carceri. Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, i 17 suicidi di questo mese e mezzo del 2024 sarebbero “un campanello d’allarme che risuona”: “Ci appelliamo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché richiami il Parlamento a discutere del tema carcere e a farlo basandosi su scelte pragmatiche e non su approcci ideologici”, dice Gonnella.

Al 31 gennaio erano 60.637 i detenuti presenti a fronte di 51.347 posti

Nelle carceri italiane al 31 gennaio erano 60.637 le persone presenti, a fronte di 51.347 posti ufficiali (anche se sono circa 3.000 quelli che, tra questi, non sono disponibili). 2.615 erano le donne detenute, il 4,3% dei presenti, e 18.985 le persone straniere detenute, il 31,3% dei presenti. Già nel corso del 2021, dopo il calo delle presenze dovuto alla pandemia, le presenze nelle nostre carceri sono tornate a crescere. Dalla fine del 2020 ad oggi la crescita è stata di oltre 7.000 unità, una crescita media dello 0,4% al mese. Ma se si guarda alla crescita degli ultimi 12 mesi questa è in media del 0,7% al mese. E se si guarda solo agli ultimi sei mesi la crescita media mensile è stata dello 0,8%. Il tasso di affollamento medio (calcolato sui posti ufficiali e non su quelli realmente disponibili) è del 118,1% ma come sempre negli ultimi tempi le regioni più in difficoltà sono la Puglia (143,1%) e la Lombardia (147,3%). Gli istituti più affollati sono Brescia “Canton Monbello” (218,1%), Grosseto (200%), LodiI (200%), Foggia (189%), Taranto (182,2%) e Brindisi (181,51%).

Non c’è un euro per costruire nuovi istituti. E i reati voluti dal Governo non aiutano

Le promesse di costruire nuove carceri della presidente Giorgia Meloni a inizio mandato non hanno trovato nessun riscontro nell’attività di governo. Anzi, il ministro alla giustizia Carlo Nordio ha ripetuto più volte che “costruire un carcere è costoso e difficile” e per questo ritiene necessario “usare strutture perfettamente compatibili con la sicurezza in carcere”. Come spiega Antigone per costruire un carcere di 250 posti servono circa 25 milioni di euro. Numeri alla mano oggi di nuove carceri ne servirebbero 52, per una spesa che si aggira sul miliardo e 300 milioni di euro. A questo si aggiunge personale (agenti, educatori, psicologi, direttori, medici, psichiatri, amministrativi, assistenti sociali, mediatori, ecc.) con un aumento annuo del bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Salute, che già oggi fanno fatica a garantire le presenze necessarie, con tutte le figure professionali in pesante sotto organico. Poi ci sono i tempi.

Antigone: “Per costruire nuove carceri ci vogliono anni, mentre l’emergenza sovraffollamento è qui e ora”

“Per costruire un carcere ci vogliono anni, mentre l’emergenza sovraffollamento è qui e ora”, spiega Antigone. Quindi? Per Antigone le soluzioni sono un aumento delle misure alternative, più economiche rispetto alla carcerazione e con tassi di recidiva minori, la diminuzione dell’uso della custodia cautelare, con l’Italia costantemente al di sopra della media Europea e n’inversione di tendenza rispetto alle politiche dell’ultimo anno e mezzo fatte di nuovi reati e aumenti generalizzati delle pene. Il segretario dell’Unione delle Camere penali italiane, Rinaldo Romanelli lo dice chiaro: “Richiamiamo con forza la necessità di un provvedimento di amnistia e indulto, questa è la nostra posizione”.

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E noi come rane bollite intorno allo stagno a dirci che non è così grave, che vedrai che passerà…

È servito toccare con mano il “diverso punto di vista” che questa destra invoca e promette ai suoi elettori. È servito vedere con i propri occhi che l’altra libertà invocata dalla presidente del Consiglio Meloni e soci – come se non ce ne fosse una sola di libertà – non sia nient’altro che un silenziatore dei temi percepiti come scomodi e un amplificatore dei temi congeniali.

Mara Venier che legge un comunicato di solidarietà a Israele con il solo scopo di seppellire sotto le macerie le parole di Ghali sulla Palestina, senza nemmeno avere il coraggio di fare i nomi e i cognomi. La stessa Venier che rimbrotta Dargen D’Amico («qui è una festa, si parla di musica!») mentre il cantante stava dicendo l’ovvio, ovvero che l’immigrazione tiene in piedi un pezzo di economia italiana.

L’egemonia culturale del governo non ha nessuna cultura, seraficamente sogna la scomparsa di voci e temi di cui non possiede il vocabolario. L’egemonia culturale del ministro alla Cultura Sangiuliano e del suo spin doctor, il deputato Mollicone, vuole sostituire ogni discorso dei diritti con un ballo del qua qua che faccia sorridere le famiglie tradizionali senza interrogarsi su quello che accade qui fuori.

Non è nemmeno una normalizzazione. Si tratta piuttosto di un’aberrazione che premia le vestali del vuoto pneumatico, premiando le Venier di turno nel ruolo di bromuro intellettuale. Il “diverso punto di vista” di questo governo è un cafonalissimo berlusconismo però più pudico, senza tette esposte e tradizionale nell’accezione di non contenere nessuna tentazione a nessun progresso.

E noi come rane bollite intorno allo stagno a dirci che non è così grave, che vedrai che passerà.

Buon martedì.

Nella foto: frame del video in cui Mara Venier legge il comunicato dell’Ad Rai, 11 febbraio 2024

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L’abiura di Milei sul Papa. Ultima capriola sovranista

L’antropologia politica del presidente argentino di destra e ultra-liberista Javier Milei assomiglia ogni giorno di più all’archetipo sovranista dell’urlatore acquiescente appena indossa una giacca e una cravatta disposto a fare il contrario di quel che ha detto. Domenica il presidente argentino ha incontrato il suo connazionale Papa Francesco che solo due mesi fa aveva definito “un imbecille”, un “gesuita che promuove il comunismo”, il “rappresentante del Male nella Casa di Dio”, una “persona nefasta”.

Il presidente argentino Javier Milei ha incontrato il suo connazionale Papa Francesco che solo due mesi fa aveva definito “un imbecille”

Otto settimane fa per Milei Papa Francesco dimostrava “forti affinità” con “comunisti assassini” stando dalla parte “delle dittature sanguinarie” e della “sinistra anche quando è fatta di veri criminali”. Il presidente argentino, all’epoca candidato alle presidenziali, spiegava agli argentini che la giustizia sociale professata dal pontefice consisteva in “frutti del lavoro di qualcuno” che “vengono rubati e vengono dati a un altro”.

Per Milei si trattava di un’apologia di furto, “vietato dai dieci comandamenti”. Allo scontro in Vaticano che i suoi elettori si aspettavano, viste le premesse, Milei si è presentato con biscotti, dolci e un’abbondante profusione di sorrisi e di abbracci. Dopo l’incontro durato più di un’ora il presidente argentino ha definito il Papa “l’argentino più importante della storia”, presagendo un futuro di “dialogo molto fruttuoso”.

Un’inversione a u, nel solco della tradizione sovranista dove i leader invitano gli elettori a fare quello che dicono ma a non fare quello che fanno. Milei ha parlato semplicemente di “pacificazione e fraternità”, che sono i nomi con cui i populisti si augurano di preservarsi al potere il più a lungo possibile, appena arrivati lì.

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