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Lo Stato non bussa alla porta. Specie a quella dei boss

Che l’ispezione voluta dal ministro all’Interno Matteo Piantedosi al Comune di Bari sia infondata dal punto di vista giuridico e sia utilissima per sferrare un attacco politico per le prossime elezioni europee è cristallino. Dalle parti del governo le mafie sono un tema anche politico solo se possono essere usate come roncole.

Emiliano ha raccontato una scena da prefetto di ferro, con lui che bussa alla porta della famiglia del boss per alzare la voce

Del resto è scomparso il dibattito sulle protezioni di Matteo Messina Denaro, è raro trovare sui giornali le evidenze che escono dalle indagini in corso a Firenze sulle stragi del ‘93 e perfino i bonifici di Silvio Berlusconi a Marcello Dell’Utri vengono derubricati come buon cuore dell’ex presidente di Forza Italia nei confronti di un vecchio amico. La vicinanza e la solidarietà nei confronti del sindaco di Bari Antonio Decaro erano fino a qualche giorno fa un boomerang contro la guerriglia politica del governo. All’opposizione sarebbe bastato sottolineare ciò che dice la legge sugli scioglimenti per mafia smentendo Piantedosi e sottolineare come gli elementi indichino che i mafiosi baresi interloquivano con personaggi della stessa destra di governo.

A rovinare tutto ci ha pensato invece Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia nonché ex magistrato incline alla posa da sceriffo. Emiliano ha raccontato una scena da prefetto di ferro, con lui che bussa alla porta della famiglia del boss (che aveva fatto arrestare da pm) per alzare la voce. Vera o no la storiella evidenzia l’idea di un carisma buono contro un carisma cattivo, lì invece dove dovrebbe vigere e vincere la legge. Lo Stato non bussa ai mafiosi. Altrimenti accade che le pulci che difendono coloro che ci hanno trattato improvvisamente abbiano la tosse.

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Puntare all’abitudine all’orrore

Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) Philippe Lazzarini scrive su X che Israele ha informato le Nazioni Unite che non approverà più i convogli alimentari dell’Unrwa verso il nord di Gaza. “Nonostante la tragedia che si sta consumando sotto i nostri occhi, le autorità israeliane hanno comunicato all’Onu che non approveranno più alcun convoglio alimentari Unrwa verso il nord. Questo è oltraggioso e rende intenzionale ostacolare l’assistenza salvavita durante una carestia provocata dall’uomo“.

Per avere un’idea delle proporzioni del disastro occorre ricordare che sabato il portavoce dell’Unicef James Elder ha affermato che “Mai prima d’ora così tanti bambini di Gaza avevano avuto bisogno di cure mediche. Nel nord della Striscia un bambino su tre sotto i due anni soffre di malnutrizione acuta”. Come spesso si sente ripetere “un cessate il fuoco umanitario immediato offre la migliore possibilità di salvare vite umane, porre fine alla sofferenza e consentire la consegna urgente di aiuti salvavita”, spiega Elder. 

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale per la Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus spiega che “bloccare la consegna del cibo significa negare alle persone la possibilità di sopravvivere. Questa decisione deve essere urgentemente revocata. I livelli di fame sono acuti. Tutti gli sforzi per consegnare il cibo non solo dovrebbero essere consentiti, ma ci dovrebbe essere un’immediata accelerazione”.

Il governo di Israele si è limitato ad accusare di antisemitismo l’Onu perché il segretario Gutierrez ha sottolineato la drammatica situazione dei civili a Gaza. Sembrano ogni giorno le stesse notizia e invece è lo sviluppo di una tragedia che si accumula mentre all’orizzonte si addensa la possibilità di abituarsi all’orrore. Forse il governo israeliano punta proprio a questo poiché ha sempre funzionato negli ultimi decenni. 

Buon lunedì. 

foto:Di Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=141020707

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I fascisti che Meloni non riesce a pronunciare

È accaduto ancora. Ottant’anni fa, il 24 marzo del 1944, le truppe nazifasciste hanno ucciso 335 uomini buttando i loro corpi nelle cave di tufo lungo via Ardeatina, come rappresaglia per l’azione del giorno precedente condotta dai partigiani in via Rasella.

La premier Giorgia Meloni non riesce a pronunciare il nome dei responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine: i fascisti

Giorgia Meloni in qualità di presidente del Consiglio non può esimersi dal partecipare alla commemorazione ma come è accaduto l’anno scorso proprio non riesce a pronunciare il nome dei responsabili dell’eccidio: i fascisti. Per l’Associazione nazionale partigiani italiani la premier “ancora una volta […] omette e confonde”, dice il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, perché “non parla della responsabilità dei fascisti italiani, a cominciare dal questore Caruso che fu condannato a morte per aver approntato la lista di 50 persone da sopprimere alle Ardeatine”.

Pagliarulo sottolinea inoltre che Meloni “non dice che le vittime furono in grande maggioranza antifascisti ed ebrei”, definendola “la solita rilettura capziosa della storia che tende sempre a coprire le responsabilità dei fascisti e a negare il valore dell’antifascismo”. Il presidente dell’Anpi la considera “un’altra occasione perduta”. Ora accadrà ancora una volta che qualcuno dirà che no, non sono queste le cose importanti. Finché un giorno ci si accorgerà che le parole generano realtà, così come le omissioni.

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Dilaga il disagio giovanile ma il Bonus psicologo copre un richiedente su 11

Una ragazza accoltella una coetanea all’uscita da scuola a Salò e ricomincia la ridda di analisi, di paternalismi e di dibattiti sul bullismo e sulla violenza. Molto meno spazio nei salotti televisivi trova invece quel 40% di giovani studenti (lo dice uno studio condotto dall’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana) che ha manifestato sintomi di disagio psicologico e che ha moltiplicato gli ingressi al pronto soccorso psichiatrico.

Nel frattempo si scopre che su 175 mila domande del Bonus ne saranno soddisfatte solo 20 mila. “È sorprendente come l’opinione pubblica abbia finalmente riconosciuto l’importanza della Psicologia solo dopo l’assalto al “Bonus psicologico”. Con ben 175 mila domande in pochissimi giorni, e solo 20 mila che potrebbero ricevere una risposta, a causa delle limitate risorse finanziarie, siamo di fronte a una situazione critica”.

Bonus psicologo, allarme rosso

L’allarme è stato lanciato ieri da Ivan Iacob, segretario generale nazionale dell’Aupi, il sindacato degli Psicologi italiani che spiega come professionisti sanitari, psicologi, associazioni e neuropsichiatri siano tutti d’accordo: il bisogno di supporto psicologico è diventato cruciale dopo la pandemia.

Per Iacob è evidente che la società soffre, e il bisogno di aiuto è molto più diffuso di quanto inizialmente stimato. Si ipotizzava che potesse superare il 30%, ma le evidenze e proiezioni attuali ci forniscono una crescita ben più significativa. “Sapevamo – dice Iacob – che l’effetto a lungo termine della pandemia sarebbe stato massiccio, generando un aumento delle richieste di assistenza”.

Per il sindacato il “Bonus psicologico” è sicuramente un passo nella giusta direzione ma, come previsto, “ciò che potrebbero sembrare piccoli disagi oggi rischiano di evolversi in veri e propri disturbi senza una risposta sistemica del Sistema Sanitario Nazionale”. Per questo gli psicologi ritengono urgente attivare interventi di prima risposta, come lo psicologo di base, per identificare e trattare le fragilità prima che si trasformino in patologie più serie.

“I servizi psicologici all’interno del Servizio Sanitario sono essenziali per garantire una risposta efficace alle crescenti esigenze della nostra società – ha proseguito il segretario generale Aupi -. Tuttavia, la loro organizzazione attuale potrebbe essere migliorata, costituendo le Strutture di Psicologia, per massimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili”.

Per Iacob le strutture di Psicologia all’interno del Servizio Sanitario potrebbero essere riorganizzate per consentire una distribuzione più efficiente delle risorse già presenti che vengono “deturpate da attività non strettamente legate alla Psicologia”, come i contenziosi per divorzi e affidi, che il sistema giudiziario invia al sistema sanitario. Per il sindacato è preoccupante constatare che quasi l’intera attività dei consultori psicologici è sia oberata da queste problematiche, rappresentando oltre il 60% delle attività complessive”.

Prima la prevenzione

“È necessario liberare le risorse dei consultori da queste incombenze – l’auspicio di Iacob – per poterle dedicare alla prevenzione primaria del malessere psicologico, che emerge chiaramente come una priorità dalla grande richiesta di “Bonus psicologico”.Investire oggi nella prevenzione del malessere psicologico garantirà risparmi significativi per il Sistema sanitario in futuro. È un approccio che non solo migliorerà il benessere individuale e sociale, ma contribuirà anche a ottimizzare le risorse pubbliche a lungo termine. “Scegliere la prevenzione è una scelta saggia e responsabile che possiamo fare per il bene di tutti”, dice il segretario Aupi. Ma di questo difficilmente si parlerà nelle prossime ore.

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Commissariato il segretario: ora la Lega non ha più un comandante

L’ultimo atto dello sgretolamento di Matteo Salvini è l’annuncio che dopo le elezioni europee si terranno i congressi regionali del partito a partire dall’estate per arrivare al congresso federale in autunno. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non avrebbe mai voluto aprire uno spiraglio sulla stagione congressuale, ancora di più in un momento di enorme difficoltà con i pessimi risultati alle regionali sarde e abruzzesi e con le prossime elezioni europee che rischiano di essere il sasso che scatenerà la frana.

Una brutta piega per Salvini

In una nota il partito specifica che la squadra è compatta al fianco del segretario Salvini: “Tutti i Capigruppo (tra Europa e Italia), un ministro, un governatore e un sindaco lavoreranno insieme per il programma in vista delle europee. Salvini ha ribadito che la Lega è alternativa ai socialisti, sinistre e Ursula von der Leyen”. E poi: “Per un risultato a doppia cifra, il leader desidera liste forti e aperte”.

In realtà il direttorio formato da Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, il ministro Giancarlo Giorgetti e, infine, il governatore del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga è già un mezzo commissariamento. Tra questi solo Romeo è nel cerchio dei fedelissimi al segretario leghista. Molinari, il capogruppo alla Camera, ultimamente sta prendendo le distanze dal segretario e rientra con Luca Zaia nella schiera dei critici dell’appuntamento di oggi in cui la Lega ospiterà a Roma i partiti dell’ultradestra europea.

Delle frizioni tra il vice premier e il suo ministro Giorgetti si sa ormai da tempo mentre Fedriga viene indicato da più parti come il sostituto naturale di Salvini a capo del partito, gli manca solo il deciso via libera di Zaia. A proposito del governatore veneto l’altro ieri quasi a notte fonda è stato lui a parlare chiaro e tondo con l’ex capitano in caduta libera.

“Eventi come quello di sabato ci fanno solo perdere voti”, ha detto Zaia prendendosi la responsabilità di dire quello che molti pensano pur tacendo. Intanto a un mese dalla presentazione delle liste per le elezioni europee si studia la strategia per l’eventualità di incassare il no del generale Roberto Vannacci. “Tante idee che Vannacci ha espresso non sono condivise da una parte della base – ha spiegato Romeo – e non le condivido neanche io in alcuni contesti. Ma al di là di questo lui ha avuto il coraggio di difendere la libertà di pensiero nel mondo del politicamente corretto. In un partito come la Lega, che difende tutte le libertà, ci può stare la sua candidatura”.

Si rivedono le ramazze

Chi sta vicino al generale al contrario dice che sarebbe proprio Vannacci a non essere convinto di imbarcarsi in un partito in piena tempesta, per di più malvoluto preventivamente da un pezzo dei suoi dirigenti. “Stiamo compatti ora e arriviamo al 10 per cento”, ha detto Salvini ai suoi ma ormai l’accerchiamento è nei fatti oltre che nelle intenzioni.

Tra le decisioni del consiglio federale c’è anche un direttorio composto dai capigruppo, dal presidente della Camera Lorenzo Fontana e Giorgetti con cui il segretario dovrà condividere le decisioni sul programma per le prossime europee. Anche questo è un segnale che non lascia spazio a troppe interpretazioni: il vice premier non è più l’uomo solo al comando dell’Italia e non lo è nemmeno dentro il suo partito. La “responsabilità collegiale” è il viatico per lo sfratto dalla poltrona di leader. Forse questa volta non ci saranno le ramazze come avvenne con Umberto Bossi ma la smania di cambiare è la stessa.

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Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all’Arabia Saudita – Lettera43

La prossima Commissione annuale sullo status delle donne dell’Onu sarà presieduta da Riad. Chi meglio del progressista Bin Salman può impegnarsi per l’emancipazione femminile e la parità di genere? Le riforme varate in pompa magna nel 2022 parlano da sole.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all’Arabia Saudita

Un Women è l’organizzazione dell’Onu che si dedica all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne. Questa settimana a New York si è tenuta la 68esima Commissione annuale sullo status delle donne (CSW68), il più grande incontro annuale delle Nazioni Unite con un ambizioso obiettivo: “Accelerare il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze affrontando la povertà e rafforzando le istituzioni e i finanziamenti con una prospettiva di genere”. In 11 giorni di incontri al CSW68 governi, organizzazioni della società civile, esperti e attivisti di tutto il mondo si sono riuniti per concordare azioni e investimenti che possano porre fine alla povertà delle donne e promuovere l’uguaglianza di genere.

Se l’unico candidato alla presidenza del CSW69 è l’Arabia Saudita

Ma non è questa la notizia. Alla fine della sessione di incontri di venerdì si è insediato l’ufficio di presidenza per il CSW69 che preparerà l’appuntamento del prossimo anno. L’unico Paese candidato alla presidenza era l’Arabia Saudita, il famelico stato che si affanna sul palcoscenico mondiale per apparire progressista. Di fronte ai dubbi di tale scelta, la delegazione saudita presente all’evento ha spiegato che «il Regno ha compiuto importanti passi e le riforme sono ancora in corso» e a sostegno della propria tesi ha portato un comunicato stampa della Banca Mondiale che plaude le riforme saudite che segnano «progressi senza precedenti» nell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all'Arabia Saudita
L’apertura dei lavori del CSW68 (dal sito Un Women).

La riforme progressiste di Bin Salman in realtà discriminano le donne, mogli e madri

Bene, viene da pensare, è una buona notizia. La legge cardine delle riforme saudite è stata proclamata l’8 marzo del 2022. Il principe bin Salman è sempre attento a fare coincidere le date per agevolare la simbologia e quell’8 marzo sembrava perfetto per un ulteriore mattoncino da aggiungere al progressismo percepito del suo Paese nel mondo. Promulgare una legge del resto costa molto meno che acquistare una stella mondiale di calcio e può allo stesso modo portare un benefico ritorno di immagine. Ma com’è quindi la legge del Rinascimento saudita? Rothna Begum, ricercatrice senior sui diritti delle donne presso Human Rights Watch nel 2023 disse: «Nella Giornata internazionale della donna l’anno scorso, le autorità saudite hanno proclamato di aver approvato una legge sullo status personale “progressista”, ma invece hanno semplicemente sancito la discriminazione contro le donne nel codice legale». Non benissimo, a ben vedere. Che dice quella legge? Richiede alle donne di ottenere il permesso di un tutore maschile per sposarsi, codificando la pratica di lunga data del Paese. Le donne sposate sono tenute a obbedire ai loro mariti in modo «ragionevole». Il sostegno finanziario di un marito dipende specificamente dall’«obbedienza» di una moglie che può perdere il diritto a tale sostegno se si rifiuta senza una «scusa legittima» di fare sesso con lui, di trasferirsi o di vivere nella casa coniugale o di viaggiare con lui. La legge afferma inoltre che nessuno dei due coniugi può astenersi dalle relazioni sessuali o dalla convivenza senza il consenso dell’altro coniuge, di fatto è un diritto coniugale ai rapporti sessuali. Ma non finisce qui. Mentre un marito può divorziare unilateralmente, una donna può solo chiedere a un tribunale di sciogliere il loro contratto di matrimonio per motivi limitati e deve «dimostrare il danno» che rende «impossibile» la continuazione del matrimonio. La legge però non specifica cosa costituisca «danno» o quali prove possano essere presentate a sostegno di un caso, lasciando ai giudici un’ampia discrezionalità nell’interpretazione e nell’applicazione per mantenere lo status quo.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all'Arabia Saudita
Una famiglia. Riad (Getty Images).

Anche sui diritti vale la regola del business 

E ancora. I padri rimangono i tutori predefiniti dei loro figli, limitando la capacità di una madre di partecipare pienamente alle decisioni relative al benessere sociale e finanziario dei figli. Una madre non può agire come tutore di suo figlio a meno che un tribunale non la nomini, altrimenti avrà un’autorità limitata per prendere decisioni per il suo benessere, anche nei casi in cui i genitori non vivono insieme e le autorità giudiziarie decidono che il bambino dovrebbe vivere con la madre. I padri possono nominare tutori alternativi per i loro figli, ma la legge non dà alle madri la stessa facoltà. Infine un padre può chiedere di porre fine alla custodia del proprio figlio per «incompetenza» della madre. A New York, nei corridoi del CSW68 i diplomatici occidentali hanno riconosciuto informalmente, solo in privato, i problemi legati alla presidenza saudita per il prossimo CSW69. Ma business is business, anche sui diritti. In fondo basta poco di questi tempi per sembrare progressisti.

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Vittime del lavoro, l’ecatombe non si ferma

L’altro ieri a Valdidentro, in provincia di Sondrio, un operaio di 51 anni ha perso la vita dopo essere stato schiacciato da 300 kg di pannelli di legno. Inutili i soccorsi. A Genova Pegli un operaio è caduto da oltre tre metri e non ce l’ha fatta. Inutili soccorsi anche qui. Poco prima, nella notte, tre operai erano feriti gravemente – due di 48 anni sono in terapia intensiva con prognosi riservata, un altro di 38 anni in gravi condizioni – dopo un incidente nel cantiere per la realizzazione della galleria passo San Giovanni-Cretaccio, in Trentino. Sono precipitati forse a causa di un cedimento del carrello elevatore da un cestello all’altezza di 5 metri.

Per l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro al 21 marzo sono morte 220 persone sul luogo di lavoro che diventano 285 se si aggiungono i morti in itinere. Ieri Cgil e Uil hanno annunciato una manifestazione per il 20 aprile “per dare un segnale al governo e chiedere risultati”. “Il governo ha trovato solo 12 milioni per nuovi ispettori del lavoro, ma 600 milioni per gli agricoltori”, spiega il segretario della Uil Bombardieri.

Sciopero di quattro ore annunciato per l’11 aprile. Tra le richieste dei sindacati un nuovo Durc dove viene riportata anche “l’assenza di denunce di infortuni gravi e mortali negli ultimi cinque anni”. Altre richieste: stop ai fondi pubblici alle imprese senza requisiti di regolarità e legalità e che non applicano i contratti nazionali sottoscritti dai sindacati più rappresentativi. L’applicazione del codice degli appalti pubblici anche in quelli privati. Il divieto di subappalti a cascata, sia nel pubblico che nel privato. E poi più controlli e più ispezioni.

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Maxi-sequestro a Dell’Utri. Nel mirino dei pm di Firenze i soldi per il silenzio su Berlusconi

Per ora sono più o meno 10 milioni. A tanto ammonta la cifra che ieri è stata sequestrata a Marcello Dell’Utri e alla moglie Miranda Anna Ratti nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sui presunti mandanti esterni delle stragi mafiose del 1993 a Roma, Milano e Firenze, dove l’ex senatore di Forza Italia risulta ancora indagato. La Direzione investigativa antimafia di Firenze ha eseguito il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, emesso dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Firenze.

Per la Dda di Firenze il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e sodale di Berlusconi avrebbe nascosto al fisco oltre 42 milioni euro

Per la Dia fiorentina il fondatore di Forza Italia e sodale di Silvio Berlusconi avrebbe nascosto al fisco 42.679.200 euro come variazione del reddito violando la legge Rognoni-La Torre sulle misure antimafia. Secondo la Procura quei soldi arriverebbero dai conti di Berlusconi a partire dalla sentenza passata in giudicato nel 2014 con cui Dell’Utri è stato condannato per concorso esterno nel delitto di associazione di tipo mafioso.

Secondo il procuratore Filippo Spiezia Dell’Utri avrebbe omesso di “comunicare, entro i termini stabiliti dalla legge, le variazioni patrimoniali. La misura cautelare è stata richiesta e ottenuta poiché Marcello Dell’Utri “con più azioni e omissioni, in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, pur essendovi tenuto, in quanto condannato con decisione passata in giudicato”, ha omesso di “comunicare le variazioni patrimoniali”. Con il provvedimento del Gip è stato disposto “il sequestro preventivo in forma diretta, sino alla concorrenza della somma di 10.840.451,72 euro riconducibile a Marcello Dell’Utri, nonché, per la quota parte di 8.250.000,00 euro della somma complessivamente suindicata (42.679.200 euro, ndr), anche indirettamente riconducibile al predetto, per il tramite di Miranda Anna Ratti, ovvero per equivalente sui beni nella disponibilità diretta e indiretta di Marcello Dell’Utri”.

L’indagine, spiega la Dda fiorentina, “si inserisce nel quadro di procedimento penale oggetto di un più ampio coordinamento investigativo, portato avanti, in ambito nazionale, dalla Direzione Nazionale Antimafia, finalizzato all’individuazione dei mandanti esterni delle stragi continentali del 1993-1994”. Fino alla sua scomparsa, anche Berlusconi risultava indagato con l’ex senatore di Forza Italia.

Per la Dda la continuità di flussi di denaro è “sicuramente connessa a un riconoscimento anche morale, l’assolvimento di un debito non scritto, la riconoscenza, per quanto riguarda l’ultimo periodo”, dovuta all’ex senatore “per aver pagato un prezzo connesso alla carcerazione, senza lasciarsi andare a coinvolgimenti di terzi”. Il sospetto su cui indagano i magistrati è che quel denaro sia il premio per il silenzio di Dell’Utri durante il processo per mafia che ha subito. Dai bonifici emerge anche che le spese legali di Dell’Utri siano state interamente sostenute dall’ex presidente del Consiglio.

Berlusconi ha lasciato a Dell’Utri 30 milioni dopo la sua morte, come da volontà testamentaria

I magistrati ritengono che le modalità delle richieste di denaro da parte di Dell’Utri e della moglie “fanno ben considerare che alla base vi sia effettivamente una sorta di ricatto non espresso, ma ben conosciuto da tutti, e idoneo al persistere delle dazioni”. La moglie di Dell’Utri, Miranda Ratti, intercettata, secondo la Procura “ritiene di essere portatrice, e titolare, di veri e propri diritti economici verso Berlusconi” in base alla “consapevolezza che tutte le loro richieste, assecondate da Berlusconi, trovano fondamento in una sorta di risarcimento di quanto hanno patito nel tempo per colpa sua, per averlo, probabilmente, coperto”. Silvio Berlusconi ha lasciato a Dell’Utri 30 milioni dopo la sua morte, come da volontà testamentaria.

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Guerra di successione nella Lega. Salvini rischia la fine di Renzi

Ogni giorno una sberla. Ieri è stato il presidente del Partito popolare europeo (Ppe) a suonarle al leader della Lega Matto Salvini. “Non dobbiamo riconoscere le elezioni russe, e non dobbiamo riconoscere questo regime”, ha detto Weber, sottolineando come “dopo le elezioni tutti hanno visto la dittatura autocratica del Paese”. Tutti tranne Salvini. E infatti il presidente del Ppe, ricorda come in questo conflitto con la Russia “noi siamo con l’Ucraina, e dobbiamo essere tutti uniti” nel sostegno a Kiev.

Acque agitate sulle candidature al Consiglio federale della Lega. E la convention di domani a Roma va verso il flop

In Italia non va meglio. Ieri il presidente della Regione Veneto Luca Zaia rispondendo ai giornalisti sulla kermesse di ultranazionalisti convocata dal suo segretario domani a Roma dice che non potrà essere presente perché “da tempo” aveva “programmato una serie di inaugurazioni”. Zaia che taglia il nastro in qualche paese di provincia in contemporanea a Salvini che avrebbe voluto essere il leader del gruppo europeo Identità e democrazia è un’immagine che vale più di mille parole.

“Non aggiungo altro – ha detto Zaia – ogni altra domanda sarebbe come chiedermi ‘vuoi più bene alla mamma o al papà’?…”. Intorno al leader leghista I fedelissimi ormai si contano sulle dita di una mano. Dove prima spingevano tutti per riuscire a entrare nelle grazie del leader ora sono rimasti Claudio Durigon, Andrea Crippa, Luca Toccalini, Andrea Paganella, Roberto Marti, Susanna Ceccardi e Andrea Cecchetti. Troppo poco per costruire entusiasmo intorno a una manifestazione che in molti danno già per fallita. Su La Stampa si racconta di uno strappo più rumoroso dei soliti anche con il ministro alle Finanze Giancarlo Giorgetti.

Mentre il ministro dei Trasporti cavalcava la protesta degli agricoltori il governo di cui fa parte (e da cui ogni giorno si allontana) aveva deciso di ripristinare l’esenzione dell’Irpef agricola con un tetto. Per Salvini la misura sarebbe stata insufficiente per calmare gli animi e quindi avrebbe chiesto che a firmare il provvedimento non fosse il “suo” ministro a Palazzo delle Finanze ma il cognato della Meloni, Lollobrigida. Giorgetti sconfessa per l’ennesima volta il suo segretario e firma di suo pugno. Nel tentativo di rivitalizzare il partito in previsione dell’evento di domani l’ufficio stampa della Lega ha scritto una nota in cui dice che sono tutti occupati i i 1.500 posti disponibili allo studio 7 dei Roma Studios in via Tiburtina. Nella nota si parla di delegazioni da Portogallo, Austria, Fiandre, Francia.

Sale la tensione con Giorgetti per il via libera sull’Irpef agricola contro il parere del segretario Salvini

Non c’è traccia, per ora, di Alternative für Deutschland che in Germania sono la seconda forza politica. È certo che non ci sarà Marine Le Pen. I nomi annunciati per ora si limitano al portoghese André Ventura, il belga Gerolf Annemans e l’austriaco Harald Vilimsky. In mezzo ai forfait e alle incertezze Matteo Salvini alla fine ha richiamato “tutti gli eletti” nei collegi del centro Italia con un messaggio per precettarli. Intanto nel partito si discute molto più di quel che si vorrebbe fare vedere della voce che insistentemente circola sull’ottimo rapporto politico che la presidente del Consiglio sta seminando con il presidente del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga, già da mesi individuato come possibile successore di Matteo Salvini alla guida del partito.

Qualcuno ipotizza che dopo le Europee potrebbe avvenire il ribaltone che è nell’aria. La buona Lega uscirebbe dall’angolo dell’ultradestra europea per tornare a difendere i territori e per farsi portavoce delle amministrazioni locali. Salvini a quel punto potrebbe decidere di galleggiare con un suo piccolo partito personale. Esattamente come l’altro Matteo.

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Vi ricordate i trenta all’ora a Bologna

Poiché i numeri hanno l’enorme pregio di essere limpidi nella loro compostezza ecco quelli dati dal Comune di Bologna dopo l’introduzione del limite di trenta chilometri all’ora che ha così infastidito il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Secondo quanto registrato dalla polizia locale nel periodo 15 gennaio-10 marzo ci sono state 73 persone ferite in meno rispetto al 2023, con un calo del 19,4 per cento. Per quanto riguarda le multe per gli eccessi di velocità su 4.500 controlli sono state eseguite 61 multe per il superamento dei 30 km/h e 119 per i 50 km/h.

Nel dettaglio, spiega l’amministrazione, nelle prime otto settimane dall’avvio del progetto sulle strade urbane si sono verificati in totale 377 incidenti, di cui uno mortale; 252 incidenti con feriti – che hanno provocato 304 persone ferite – nessuno con feriti in prognosi riservata e 124 incidenti senza feriti. Nelle stesse settimane del 2023 – dal 16 gennaio al 12 marzo – gli incidenti erano stati in totale 452, di cui 3 mortali, 296 incidenti con feriti – che avevano provocato 377 persone ferite – uno con un ferito in prognosi riservata e 152 senza feriti.

Guardando alle percentuali, si registra un calo del 16,6 per cento degli incidenti totali, un calo del 14,9 per cento di incidenti con feriti, un calo del 19,4 per cento delle persone ferite (che corrisponde a 73 persone in meno rispetto allo scorso anno), un calo del 18,4 per cento di incidenti senza feriti, due incidenti mortali in meno (1 nel 2024 mentre erano stati 3 nel 2023) e un incidente con ferito in prognosi riservata in meno (0 nel 2024, 1 nel 2023). Il calo di pedoni coinvolti in incidenti è del 5,8 per cento (69 erano quelli coinvolti nel 2023, 65 nel 2024). Quanti ai controlli, i veicoli controllati sono stati 4.578: 61 i verbali elevati per superamento del limite dei 30 km/h e 119 quelli per superamento dei 50 km/h (con 2 patenti ritirate).

Il nuovo codice della strada voluto da Salvini va esattamente nella direzione opposta. 

Buon venerdì. 

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