Vai al contenuto

In Romania dove Filippo Mosca deve scontare 8 anni. Ma il processo è stato una farsa

L’Italia apre gli occhi su Ilaria Salis, detenuta in condizioni inaccettabili nell’Ungheria di Orbán ma i detenuti all’estero che soffrono condizioni non accettabili per la nostra democrazia (e quella dell’Unione europea) sono di più. Ieri la presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino ha parlato dell’italiano Filippo Mosca, 28 anni (nella foto), trattenuto nelle carceri della Romania. L’anno scorso si è recato con degli amici a Costanza per partecipare al famoso festival musicale Mamia. La vacanza si è trasformata in un incubo, con l’arresto del giovane per droga, le accuse e il processo sommario conclusosi in primo grado con una condanna a 8 anni e sei mesi di detenzione.

Nessuno tocchi Caino ha sollevato la vicenda di Filippo Mosca. Giachetti (Iv) prepara un’interrogazione a Nordio

La madre racconta di una cella di 25 metri quadrati occupata da 24 persone. Le condizioni igienico-sanitarie sono vergognose e il cibo somministrato indecente. Il giovane avrebbe subito anche delle violenze e corso il rischio di essere accoltellato. “Per wc un buco per terra, la possibilità di lavarsi una volta a settimana, condizioni igienico-sanitarie disastrose, per pasto una sbobba immonda e tante altre nefandezze che è possibile ascoltare dalla viva voce di una madre angosciata per la salute e la sopravvivenza di suo figlio”, ha scritto il deputato di Italia viva, Roberto Giachetti, che si è mobilitato preparando un’interrogazione peri l ministro alla giustizia Carlo Nordio.

Filippo è stato condannato in primo grado “8 anni e 6 mesi per traffico internazionale di sostanze stupefacenti: del processo ‘sommario’, che si è svolto in Romania con il travisamento totale dei fatti avvenuti, intercettazioni non autorizzate e trascritte in modo indecente, così da espungere tutte le affermazioni a discolpa di Filippo”, spiega Giachetti.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Farnesina, nel 2021 il numero di casi registrati era pari a 2.058. Di questi, 861 connazionali erano in attesa di giudizio, 31 in attesa di estradizione e 1.166 erano stati effettivamente condannati. Ai tempi la maggiora parte era detenuta nell’Unione europea, per un totale di 1.526, di cui 810 condannati, 709 in attesa di giudizio e 7 in attesa di estradizione. La maggior parte si trovava incarcerata in Germania: qui il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ne ha registrati 713. Seguono, con un ampio distacco, Francia, Spagna e Belgio, con 230, 229 e 157 italiani incarcerati.

Non solo Forti negli Usa. Per il ministero degli Esteri sono 2.058 i connazionali nelle carceri straniere

Dopo l’Ue troviamo i Paesi extra Ue e le Americhe, dove nel 2021 erano registrati rispettivamente 232 e 200 italiani detenuti. Seguono Asia e Oceania (54), Mediterraneo e Medio Oriente (33) e infine Africa sub-sahariana (13). La maggior parte dei detenuti extra Ue è concentrata nel Regno Unito (126) e in Svizzera (73). Albania, Bielorussia, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia e Turchia non superano gli 11 detenuti ciascuno. In Asia e Oceania la maggioranza si trova in Australia, a quota 27 detenuti italiani. In Mediterraneo e Medio Oriente erano la Tunisia e gli Emirati Arabi Uniti ad avere il primato, con 11 e 7 connazionali prigionieri.

In Africa sub-sahariana, nel 2021, non c’erano italiani in attesa di giudizio o di estradizione, ma erano tutti condannati, così come in Arabia Saudita (1), Egitto (1), Giordania (1), Libano (1), Marocco (7) e Siria (1): 5 in Costa d’Avorio, 4 in Sud Africa, 2 in Senegal, 1 in Camerun e 1 nella Repubblica Democratica del Congo. Nelle Americhe gli italiani si trovano perlopiù in Brasile (33), Argentina (26), Repubblica Dominicana (24) e negli Stati Uniti (31). Qui in Florida, che si trova Chico Forti, l’ex produttore televisivo e velista italiano condannato all’ergastolo senza condizionale nel 2000 per frode, circonvenzione di incapace per l’acquisto di una struttura alberghiera e di concorso in omicidio. Attualmente è detenuto al Dade Correctional Institution di Florida City, un carcere di massima sicurezza non lontano da Miami. Lui si dichiara innocente, il governo aveva promesso di farlo tornare.

L’articolo In Romania dove Filippo Mosca deve scontare 8 anni. Ma il processo è stato una farsa sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Sotto il Piano Mattei niente. Meglio parlare di Sinner

Cosa rimane il giorno dopo del fantomatico piano Mattei con annessa conferenza stampa e tante foto e editoriali entusiasti? Niente, poco o niente. Finirà come altre decine di iniziative che nell’ordine avrebbero dovuto fermare l’immigrazione, mettere in campo la Tunisia, extratassare le banche, risolvere i problemi di criminalità organizzata nelle zone periferiche e aumentare gli stipendi.

Il giorno dopo la presentazione del cosiddetto piano Mattei sappiamo che i 5,5 miliardi declamati dalla premier semplicemente non ci sono

Giorgia Meloni è l’ufficio stampa di punta di un governo che eccelle nella veste di cerimoniere, un ufficio stampa costosissimo, una pro loco nazionale perfetta per confezionare i comunicati stampa e meritarsi le prime pagine dei giornali. Il giorno dopo la presentazione del cosiddetto piano Mattei sappiamo che i 5,5 miliardi declamati dalla presidente del Consiglio semplicemente non ci sono, quello che ieri era un dubbio oggi è una certezza. Gli ambienti diplomatici sono d’accordo nel dire che la penetrazione russa e cinese in Africa non verrà minimamente scalfita dalla proposta italiana.

Il renziano Borghi ha raccontato che nel frattempo in Libia il generale Haftar ha accolto il viceministro alla Difesa russo per rafforzare la presenza della Marina militare di Putin nel Mediterraneo. Tutto mentre il governo italiano è convinto che sventolare qualche mancia abbia l’effetto delle collanine di plastica nei film di qualche decennio fa, quando gli occidentali sbarcati in Africa si compravano tutto con niente. Due giorni dopo interrogano anche le assenze del Sahel, Burkina Faso, Mali e, soprattutto, Niger. La notizia è già scomparsa dai giornali. Doveva essere l’evento dell’anno e invece è durato meno di una presunta truffa sui pandori. E infatti a Palazzo Chigi hanno ripiegato sul tennista.

L’articolo Sotto il Piano Mattei niente. Meglio parlare di Sinner sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La casta che si permette di non sapere

Antonio Tajani ha scoperto solo ieri che nell’Ungheria di Orbàn c’è un’italiana che viene trascinata in catene durante le udienze, sta in un carcere pieno di topi e insetti ed è incarcerata da un anno per un’accusa di cui non ha potuto mai leggere gli atti. Beato lui che può permettersi di fare il ministro disinteressandosi di ciò che accade fuori, beato lui che può permettersi di stare in un governo che balla con il leader ungherese fottendosene di ciò che accade agli italiani in quella terra. «Noi non abbiamo avuto informazioni da parte né della detenuta né dall’ambasciata di trattamenti particolari, non avevamo notizie. Dell’accompagnamento delle manette ai piedi e alle mani l’abbiamo visto ieri, io non lo sapevo, io non ero mai stato informato di questo» dichiara Tajani. E Tajani lo dice come se fosse una responsabilità nostra, dei cittadini che non gli hanno mandato nemmeno un messaggio o un video. 

Il ministro Lollobrigida invece non vuole commentare perché dice di non avere visto le immagini. «Credo che l’ambasciata italiana abbia partecipato ad almeno quattro udienze in cui mia figlia è stata portata in queste condizioni davanti al giudice. Noi fino al 12 ottobre, quando mia figlia ha scritto una lettera, non avevamo evidenza del trattamento che stava subendo nostra figlia. Gli unici che lo sapevano e non hanno detto nulla sono le persone dell’Ambasciata italiana in Ungheria», dice il padre di Ilaria Salis.

Quindi i funzionari italiani non avvisano i ministri e loro intanto si concedono il lusso del disinteresse. La casta non è questione di soldi, la casta è l’impunità con cui ci si può permettere di disinteressarsi. 

Buon mercoledì. 

In foto un frame video dell’apertura del processo a Ilaria Salis in Ungheria

L’articolo proviene da Left.it qui

Insultano Lucarelli. E poi umiliano una madre

Ieri il Garante per la privacy ha messo nero su bianco quello che dovrebbe sapere chiunque abbia superato l’esame di giornalismo: diffondere le immagini della donna che ha lasciato il figlio al pronto soccorso di Aprilia dopo avere detto agli inservienti di dover andare in bagno e dopo avere verificato che nella carrozzina ci fossero latte e pannolini viola la riservatezza e la deontologia professionale.

Il Garante per la privacy ha detto che diffondere le immagini della madre che ha lasciato il figlio al pronto soccorso di Aprilia viola la riservatezza e la deontologia

La scena è circolata per ore sui siti delle maggiori testate giornalistiche italiane, soffiata dagli aliti dei sacerdoti dei valori della famiglia e dagli stomaci bisognosi di clic dei quotidiani online. Il Garante ha sottolineato come “le immagini si pongono in evidente contrasto con le disposizioni della normativa privacy e delle regole deontologiche relative all’attività giornalistica” e quindi “non avrebbero dovuto essere trasmesse, in quanto lesive della dignità della donna, in un momento di particolare fragilità”.

Ci sarebbe da capire anche chi abbia dato ai giornalisti quel video registrato per tutt’altre finalità, all’interno dell’ospedale. Sconcerto è stato espresso anche dal Comitato pari opportunità dell’Ordine dei giornalisti che sottolinea come il volto ben visibile della donna sia andato in onda durante il telegiornale della rete ammiraglia Rai. I giornalisti senza esporre la donna avrebbero potuto indagare sui motivi che l’abbiano spinta a quel gesto oppure avrebbero potuto cogliere l’occasione per ricordare ai loro lettori che dal 1997 in Italia esiste una legge che garantisce il diritto di partorire in anonimato perché chi non è in grado di provvedere al proprio figlio sia garantita dall’anonimato che protegge lei e il minore.

Se il diritto all’anonimato rimane lettera morta (come già accaduto con la donna che affidò il figlio alla culla termica della clinica Mangiagalli di Milano e dovette sorbirsi una lettera pubblica del comico Ezio Greggio) sarà sempre più difficile per chi non è in grado di sostenere “l’unica maternità possibile” della propaganda di questi tempi. L’episodio però racconta molto anche dell’ipocrisia del giornalismo di questi tempi.

Non sono passati molti giorni da quando Selvaggia Lucarelli e il compagno Lorenzo Biagiarelli sono stati bombardati da giornalisti paternalisti che li hanno accusati di avere spinto al suicidio una ristoratrice nel lodigiano. In quell’occasione firme più o meno autorevoli del giornalismo italiano hanno urlato allo scandalo perché la sottolineatura di una recensione falsa (da cui conseguirebbe una pubblicità truccata) avrebbe “esposto” una “cittadina” al pubblico ludibrio, causandone il crollo emotivo. In difesa della delicatezza generale per giorni alcuni quotidiani e trasmissioni hanno martellato la coppia Lucarelli-Biagiarelli con la furia dei vendicatori di fronte a un’occasione che non avrebbero mai potuto sperare.

Articoli e articoli per insegnare l’arte della riservatezza e la protezione dei fragili, con il solo intento di pestare ancora più forte i propri avversari. Alcune sono le stesse testate che non hanno esitato un solo secondo prima di banchettare sul drammatico momento che ha segnato la vita di due persone, in un luogo universalmente ritenuto sicuro perché adibito alla cura delle persone.

L’articolo Insultano Lucarelli. E poi umiliano una madre sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Ecco perché il Piano Mattei è un guscio vuoto

Per sapere come è andata e come andrà bisogna partire dalla fine. L’intervento in Senato di ieri del presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki rompe l’incantesimo di una giornata che sembrava perfetta nelle apparenze, con le delegazioni di oltre 41 paesi africane a Palazzo Madama per il vertice “Italia-Africa: un ponte per una crescita comune” che Giorgia Meloni ha tirato in piedi per il suo “Piano Mattei”.

Senza il supporto di tutti i Paesi europei il Piano Mattei è senza speranze. E gli africani non hanno l’anello al naso

“L’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità dell’attuazione del Piano Mattei, sul quale avremmo auspicato essere consultati”, ha detto Faki, invitando a “passare dalle parole ai fatti”. “Capirete bene – ha sottolineato Faki – che non ci possiamo più accontentare di semplici promesse che spesso non sono mantenute”. In quel momento affiora il non detto. Il “Piano Mattei” di Giorgia Meloni di primo acchito potrebbe essere un capolavoro politico. Promettere di aiutare l’Africa la leva dal fastidioso cassetto degli xenofobi e della destra sinistra europea, aggiungendole quel lustro istituzionale che la presidente del Consiglio insegue fin dal primo giorno del suo mandato.

La nuova Giorgia agli occhi del mondo vuole segnare le distanze dal securitario alleato di governo Salvini che vorrebbe risolvere tutto chiudendo porti che non si possono chiudere. Sono lontani i tempi in cui Meloni desiderava ad alta voce l’affondamento delle navi delle Ong. Il “piano Mattei” è la promessa di “aiutarli a casa loro” che ritorna in voga dopo i tempi di Matteo Renzi segretario del Pd. “5,5 miliardi di euro” ha annunciato ieri la capa del governo italiano di fronte alla platea internazionale, convinta che i capi africani si sarebbero sciolti di fronte al frusciare di soldi. La promessa di soldi che per ora non ci sono.

Il dem Boccia fa notare che a bilancio ci sono 2,8 milioni di euro, basteranno per i viaggi e per il catering del personale di missione. Siamo ancora qui. Ma la “crescita economica” di cui parla il governo ha l’aria di essere lo stesso colonialismo di sempre, con un fondotinta umanitario. Le parole di ieri del ministro all’Economia Giancarlo Giorgietti (“i Paesi africani hanno un enorme potenziale e hanno bisogno di accedere alle catene del valore regionali e globali”) sono la bella copia della visione del presidente dell’Eni Claudio Descalzi, Caronte della presidente del Consiglio nei suoi ultimi viaggi nel continente africano.

“Noi non abbiamo energia, loro hanno energia. Abbiamo una grande industria, devono svilupparla… C’è una forte complementarità”, ha detto lo scorso 5 gennaio Descalzi intervistato dal Financial Times. Peccato che la visione sia diametralmente opposta a quella del presidente della Commissione dell’Unione Africana che ieri ha perorato un “cambiamento di paradigma per un nuovo modello di partenariato che possa aprire la strada verso un mondo più giusto, se vogliamo costruire pace e prosperità attraverso l’amicizia, e non attraverso barriere securitarie che sono barriere di ostilità”. Per Moussa Fati “questa è l’unica via per una partnership reciprocamente rispettata e vantaggiosa e il nostro auspicio – spiega – è che l’Italia sia sempre più coinvolta insieme a noi in questa ottica”.

Detta banalmente: quale accordo potrebbero trovare un continente che chiede uguaglianza economica e sociale con coloro che vorrebbero lucrare sulla disparità? Convincere Stellantis o Volkswagen a spostare le proprie fabbriche in Marocco o in Algeria è partenariato? Oppure, puntare a scalzare gli altri stati europei nello sfruttamento delle terre e dell’energia è rinnovata amicizia o semplice scalata della concorrenza L’Africa portata a Palazzo Madama da Moussa Faki non ha bisogno del suono dei soldi e non ha voglia di brindare alla cerimonia delle promesse. L’Africa è un continente addolorato dove il cambiamento climatico brucia le terre e sposta le persone.

L’intervento in Senato del presidente dell’Unione Africana Faki ha rotto l’incantesimo di una giornata che sembrava perfetta

L’Ue dalla faccia gentile con l’Italia in prima linea e la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen nella parte della vestale per racimolare voti in vista del secondo giro sono gli stessi che hanno trasformato la Libia in un lager a cielo aperto in mano ai trafficanti travestiti da soldati e sono gli stessi che hanno firmato un accordo con la Tunisia che si è spento ancor prima che terminassero le celebrazioni. La giornata di ieri sta tutta nell’inversione di visione e di visuale nel discorso di Faki.

Meloni aveva aperto le danze spiegando ai capi di governo africani quale fosse la sua visione dell’Africa, con la postura paternalistica dell’Occidente che vuole decidere per altri. I suoi ministri si sono prestati nella parte dei cerimonieri. Ma l’Africa ha ancora la presunzione di voler decidere per sé e, appunto, considerare “i contorni e le modalità”, come dice Faki. Il punto è che di contorni e di modalità ieri non se ne sono visti semplicemente perché non ce ne sono. Così il quasi capolavoro di Meloni è un guscio vuoto, un altro, che durerà il tempo che ingialliscono le pagine dei quotidiani di questi giorni.

L’articolo Ecco perché il Piano Mattei è un guscio vuoto sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Ilaria Salis (e l’Europa) con le catene ai piedi

Una donna trascinata dalle manette attaccate a un cinturone di cuoio. Da lì partono le catene che le cingono i piedi. Un agente di polizia la tiene al guinzaglio. Ilaria Salis ha 39 anni e ieri ha restituito l’immagine della sua storia al resto del mondo. Anche qui, nell’Italia che vorrebbe farsi patria e dimentica i suoi figli, Ilaria Salis ora è una storia da cui non si può distogliere lo sguardo.

Lì dentro c’è l’imbarazzo di un governo che ha eletto Orbàn a conveniente amico. La sua Ungheria che solletica i villi della maggioranza politica italiana è quel Paese che da quasi un anno tiene in ostaggio Ilaria accusata di aver aggredito due estremisti di destra a Budapest. Lei si è dichiarata non colpevole anche se non ha mai potuto leggere gli atti che la inchiodano come un cane. L’accusa si basa su immagini che non ha mai potuto vedere. La legge ungherese le permetterebbe di presentare una memoria difensiva ma come ci si può difendere da un’accusa che è solo ombra e fumo?

«Mia figlia viene trattata come un animale e i politici, il governo e i giornali fanno finta di non vedere», ha detto ieri il padre Roberto. «Adesso lo Stato italiano non può davvero più continuare a ignorare una situazione carceraria e processuale che vìola le nostre leggi», ha detto all’Ansa l’avvocato Eugenio Losco. Il commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders ha fatto sapere che «la Commissione è sempre disponibile ad aiutare nel quadro di questi contatti bilaterali che sono stati presi dall’Italia con l’Ungheria». 

Insieme alla pena e alla preoccupazione per Ilaria Salis viene da chiedersi che Europa sia questa, con le catene ai piedi. 

Buon martedì. 

Nella foto: Ilaria Salis ieri in catene nell’aula del tribunale a Budapest, frame video di La7

L’articolo proviene da Left.it qui

La Costituzione ignorata perfino dai militari

Ieri mattina molto presto mi hanno girato un video che sarebbe stato sconcertante solo un anno e tre mesi fa, prima che un generale omofobo e razzista diventasse un circo Barnum sempre in tournée per guadagnare una candidatura politica e prima di avere ministri che si indignano per dei ragazzi in mezzo alla strada che rallentano auto dirette verso il dirupo. Nel video c’è un carabiniere che durante la manifestazione di sabato a Milano in difesa della Palestina si rivolge a Franca Caffa, storica esponente del comitato di quartiere Molise-Calvairate-Ponti ed ex consigliera comunale.

Ieri un carabiniere rivolgendosi a Franca Caffa ha detto che Sergio Mattarella “non è il suo presidente” perché “non l’ha votato”

L’uomo dell’Arma altezzoso spiega a Caffa che Sergio Mattarella “non è il suo presidente” perché “non l’ha votato”. Caffa rimane stordita dalla stupidità e dall’illegalità della risposta, osservando il militare compiaciuto che con sguardo satollo si gira verso la telecamera. Il poveretto ha dimostrato in una manciata di secondi di ignorare le regole basilari della Repubblica che dovrebbe difendere (Mattarella non l’ha votato nessuno al di fuori del Parlamento, chissà come ci rimarrà male oggi che l’ha scoperto) e di non avere nemmeno letto il giuramento che ha pronunciato prima di indossare la divisa, visto che Mattarella è il suo più alto comandante in quanto capo delle Forze armate.

È lo specchio dei tempi: gente che non sa nemmeno le due cose che dovrebbe sapere per svolgere il proprio mestiere ma si atteggia da profeta. Il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri fa sapere di avere già trasferito il militare in attesa di provvedimenti mentre la Procura aprirà un fascicolo. Perfino i militari fuori dalla Costituzione. Poveri noi.

L’articolo La Costituzione ignorata perfino dai militari sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

L’attacco contro l’Unrwa come clava per continuare ad attaccare Gaza

Mentre venivano uccisi altri 174 palestinesi e poco dopo la decisione della Corte internazionale di Giustizia (Cig) che all’Aja aveva definito “plausibile” l’accusa di “genocidio” a Gaza lo Stato di Israele ha ricominciato il suo attacco frontale contro l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste milioni di profughi palestinesi.

Già nelle scorse settimane era emersa la possibilità che 12 lavoratori dell’agenzia dell’Onu avessero partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele (1.200 morti). Il commissario generale dell’agenzia, Philippe Lazzarini, ha annunciato il licenziamento dei 12 accusati promettendo un’immediata indagine interna che faccia chiarezza sull’accaduto.

Per Israele è stato fin troppo facile spostare la discussione dalle proprie responsabilità da una controffensiva che ha i contorni del massacro deliberato all’agenzia Onu. Dal 2009 in poi il premier Benyamin Netanyahu ha portato avanti un’opera di delegittimazione contro le Nazioni Unite appoggiato da Trump e da diversi governi europei. Se si vuole ammazzare, affamare e schiavizzare un popolo non c’è nulla di più fastidioso dei testimoni, come accade nel Mar Mediterraneo.

Il direttore Philippe Lazzarini ha anticipato l’imminente stop alle operazioni per la distribuzione di aiuti da cui dipendono due milioni di persone a Gaza dipendono. “Nove Paesi (tra cui l’Italia, ndr) hanno sospeso provvisoriamente i loro finanziamenti all’Unrwa. Queste decisioni minacciano la nostra opera umanitaria nella regione, incluso e in modo particolare nella Striscia di Gaza”.

La direttrice di +972 ed intellettuale israeliana Orly Noy ha detto al manifesto che “Le motivazioni di Israele sono evidentemente politiche, punendo l’Unrwa si negano i diritti dei profughi e si puniscono tutti i palestinesi”.

L’articolo L’attacco contro l’Unrwa come clava per continuare ad attaccare Gaza sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Salvini molla la ruspa e sale sul trattore

Il ministro ai Trasporti Matteo Salvini scende dalla ruspa e sale sul trattore. “La Lega è e sarà sempre al fianco degli agricoltori italiani contro quelle scelte folli che da Bruxelles danneggiano i prodotti, il lavoro e la salute del nostro Paese”, twitta felice il leader della Lega riferendosi alla protesta dei trattori che sta invadendo anche le strade italiane.

Per smarcarsi da FdI Salvini che vuole in galera gli eco-attivisti ora giustifica i blocchi stradali degli agricoltori

Dal Piemonte, alla Sicilia, passando per l’Umbria e l’Abruzzo, gli agricoltori italiani da giorni imperversano in strada (ieri è toccato alla Puglia) con i loro trattori sul solco dalla mobilitazione nazionale e, ancor prima, dei “colleghi” transalpini e tedeschi, creando non pochi problemi in diverse regioni. La mobilitazione, già iniziata nei giorni scorsi, prende di mira le politiche agricole dell’Unione europea. Tra le richieste: “Sussidi, prezzi all’ingrosso da rivedere, no alla carne sintetica, no alle cavallette come cibo, no agli impianti fotovoltaici sui terreni produttivi”.

I coltivatori di grano e mais contestano le nuove regole comunitarie che li obbligano a tenere incolto il 4% dei terreni seminati sopra i 10 ettari e la questione dei prezzi. In commissione Agricoltura alla Camera c’è un progetto di legge che modifica il decreto legislativo del 2021 contro le pratiche sleali: introdotto un costo di produzione di cui deve tenere conto il prezzo di vendita. “Il problema – denunciano i manifestanti – è che ancora non si è visto niente”. Non poteva mancare la cosiddetta carne sintetica e i cibi a base cellulare (su cui l’Italia con Francia, Austria e altri 9 paesi ha chiesto una moratoria di 12 mesi all’Unione), le farine di insetti, l’aumento vertiginoso dei costi dei mutui, il costo dei carburanti, e le tasse: la legge di bilancio reintroduce l’Irpef agricola. I giornali locali raccontano di strade ingolfate dalla protesta, caselli autostradali resi inagibili e forti disagi per gli automobilisti.

Forti con gli eco-imbecilli e deboli con gli agri-imbecilli

Ci si potrebbe aspettare che il ministro dei Trasporti intervenga con lo stesso pugno duro con cui ha immediatamente bastonato i giovani che per qualche decina di minuti fanno lo stesso sulle strade italiane per sensibilizzare il mondo ai pericoli del cambiamento climatico. “Eco-imbecilli”, li aveva definiti Salvini in più di un’occasione, trascinando il governo a inventarsi il reato di eco-terrorismo per un manipolo di ragazzotti mentre non riesce ad alzare la voce con le grandi compagnie del fossile. Vedendo i trattori invece Salvini si intenerisce, in memoria della vecchia Lega che proprio sugli agricoltori e sulle famose “quote latte” costruì un effimero successo elettorale. Il ministro che dovrebbe garantire la viabilità e il diritto alla mobilità di suoi cittadini in questo caso inverte i ruoli.

Dall’Emilia alla Sicilia, la mobilitazione paralizza le città. Il ministro cavalca l’iniziativa contro l’Ue e la premier

A settembre dell’anno scorso riferendosi a una protesta dei ragazzi di Ultima generazione Salvini scrisse: “Portateli via di peso e accompagnateli dove è giusto che stiano: in galera”. Di fronte agli agro-imbecilli invece il leader della Lega garantisce appoggio incondizionato. L’occasione per Salvini è ghiotta almeno per due motivi. Da una parte riesce a rivendere il suo partito come “vicino al territorio”, apparendo di lotta e di governo, differenziandosi dagli alleati che guardano con sospetto alla protesta. Dall’altra può indossare di nuovo il costume del leader contro l’Europa sporca e cattiva mettendo in difficoltà Giorgia Meloni imbrigliata nel suo ruolo istituzionale. In mezzo, come sempre, ci sarebbe anche il bene dei cittadini e il valore della credibilità di una nazione ma questo al leader della Lega è sempre interessato pochissimo.

L’articolo Salvini molla la ruspa e sale sul trattore sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La leghista pentita di fronte alla legge

In un post del 2018, poco prima di essere eletta Assessora alle politiche sociali di Ivrea, la leghista 34enne Giorgia Povolo aveva scritto: “Zingari di merda, zecche e parassiti capaci di spolpare tutto, connazionali criminali che andrebbero usati come esche con i piranha, mi auguro che cercando di rubare qualcos’altro una tagliola possa mozzarvi le mani”.

Dopo le inevitabili polemiche e un timido accenno di scuse Povolo per la Giornata internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti, ribadisce le sue idee: “Festeggiamo un popolo che proprio come dice la parola “nomade” dovrebbe muoversi continuamente, il vero risultato è che le zecche stanziano in campi abusivi dalla giovane età alla vecchiaia, vergogna”.

Com’è finita Denunciata da Asgi dopo due vergognose assoluzioni che giudicavano quel moto di razzismo “uno sfogo” la Cassazione ha riconosciuto il carattere discriminatorio e molesto delle espressioni utilizzate da Povolo. Lei immediatamente dice di essersi pentita e qualche giorno fa ha scritto una lettera a Asgi in cui dichiara di “condividere in pieno le motivazioni esposte dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 17. 385 del 2023 e le argomentazioni che la Vostra Associazione ha esposto negli atti giudiziari, nel corso della vicenda giudiziaria”. “In particolare, – scrive la leghista pentita – convengo con Voi che l’accostamento di un’etnia (in particolare quella Rom) a comportamenti criminosi costituisce un atto non solo illegittimo, come accertato dalla Cassazione, ma pregiudizievole per la società nel suo complesso, rischiando di minare i principi di pacifica convivenza e reciproco rispetto tra gruppi sociali, le cui diversità possono costituire, nel rispetto dei principi Costituzionali, un importante arricchimento della nostra vita collettiva”. 

Povolo dice di avere voluto scrivere quella lettera “confidando che ciò possa essere utile a far sì che vicende come quella che mi ha visto protagonista non abbiano a ripetersi”. Avrebbe dovuto mettere i suoi compagni di partito in copia conoscenza. 

Buon lunedì. 

Nella foto: frame dalla trasmissione Cartabianca “La vita in un campo Rom”, 2 maggio 2023

L’articolo proviene da Left.it qui