Vai al contenuto

Kenneth Smith ucciso con l’azoto in Alabama, un’umiliante tortura di Stato in stile nazista – Lettera43

Gli Usa hanno ammazzato un uomo come non è concesso fare sugli animali. Dopo che nel 2022 era sopravvissuto a un’iniezione letale. Così il mondo ha assistito a una vendetta su un prigioniero diventato cavia. Tanto che l’associazione degli ebrei contro la pena di morte ha protestato per quell’uso del gas che ricorda i campi di concentramento.

Kenneth Smith ucciso con l’azoto in Alabama, un’umiliante tortura di Stato in stile nazista

Kenneth Smith è morto di giovedì sera alle 20.45 del suo Paese, ammazzato come non è concesso fare sugli animali. Asfissiato dallo Stato su un lettino indossando una mortifera maschera d’azoto che gli ha prosciugato l’ossigeno. Il commissario del Dipartimento penitenziario dell’Alabama, John Hamm, si è presentato davanti ai giornalisti per raccontare la cronaca dell’evento, specificando che sono serviti “solo” 15 minuti di azoto per compiere la giustizia feroce che gli Stati Uniti insistono a proporre.

Ha trattenuto il respiro per guadagnare qualche secondo di vita

I testimoni dell’evento hanno raccontato alla stampa che Kenneth è rimasto cosciente «per diversi minuti» prima di cominciare a «tremare e contorcersi sulla barella». Il suo respiro si è fatto via via sempre già labile fino a scomparire. Annegato nell’azoto, ha potuto certificare l’avvenuta vendetta di Stato sotto gli occhi del mondo. Per il signor Hamm, cerimoniere della morte, quel maledetto di Smith ha provato a guadagnare qualche secondo di vita «trattenendo il respiro tutto il tempo che potuto». Poi il commissario ha detto: «Ci sono stati alcuni movimenti involontari e un po’ di respiro agonico, ma era tutto previsto ed è negli effetti collaterali che abbiamo visto e studiato sull’ipossia da azoto. Quindi, niente fuori dall’ordinario rispetto a ciò che ci aspettavamo». Niente fuori dall’ordinario, quindi. Se lo aspettavano che un uomo facesse di tutto per morire il più tardi possibile.

Kenneth Smith ucciso con l'azoto in Alabama, un'umiliante tortura di Stato in stile nazista
Kenneth Smith, il detenuto ucciso in Alabama con l’azoto.

Già una volta crocifisso a testa in giù nel vano tentativo di trovargli una vena utile

Forse Kenneth sperava di salvarsi davvero. Nel novembre del 2022 era rimasto per quattro ore legato a una barella mentre gli infermieri cercavano la vena per iniettargli la miscela letale. Non ci sono riusciti. Dopo avere provato con tutte le vene praticabili, il medico ha chiesto alle guardie carcerarie di girare la barella all’indietro in modo che i piedi del prigioniero puntassero verso il soffitto mentre la sua testa puntava a terra. Smith si trovava, curiosamente per un uomo così religioso, in una crocifissione inversa. Di quella prima morte evitata il detenuto raccontò di ricordare il dolore degli aghi e l’impazienza dei suoi carcerieri innervositi dal fallimento. Quando Smith protestò per le punture inefficaci fin sotto la clavicola, il vicedirettore, stringendogli la testa, gli disse: «Kenny, questo è per il tuo bene». Il prigioniero, ancora vivo ma crivellato di buchi e profondamente traumatizzato, fu stato riportato nella sua cella.

Il caso di Alan Miller, riportato in cella sanguinante e traumatizzato

Tra i sopravvissuti alla pena di morte c’è anche Alan Miller, sottoposto a un tentativo di esecuzione da parte dell’Alabama a settembre del 2022. È stato forato ripetutamente per 90 minuti mentre giaceva sulla barella. La squadra medica di Miller ha proceduto a fare quello che i suoi avvocati hanno descritto come un “tour” del corpo del prigioniero. Braccio sinistro, mano destra, mano sinistra, interno del braccio sinistro, piede destro, piede sinistro: ogni parte del corpo è stata forata più volte in una ricerca sempre più disperata e, in definitiva, inutile, di una vena accessibile, a volte con due medici che sondavano parti diverse con aghi contemporaneamente. Come Smith, anche Miller è stato fatto oscillare verticalmente, sospeso nella posizione del crocifisso, anche se con la testa alta, per circa 20 minuti. Quando lo calarono, il sangue fuoriusciva dalle ferite. Poco prima di mezzanotte gli è stato detto: «La tua esecuzione è stata rinviata». Trascorse i giorni successivi raggomitolato in posizione fetale nella sua cella.

Kenneth Smith ucciso con l'azoto in Alabama, un'umiliante tortura di Stato in stile nazista
Proteste fuori dalla Corte Suprema americana per l’abolizione della pena di morte (Getty).

Gli ebrei contro la pena di morte parlano di eredità nazista

Il giudice Sonia Sotomayor, che assieme ad altri due giudici si era opposta alla doppia morte di Kenneth Smith, ha dichiarato: «Non essendo riuscita a uccidere Smith al primo tentativo, l’Alabama lo ha scelto come “cavia” per testare un metodo di esecuzione mai tentato prima. Il mondo sta guardando». Il co-fondatore di “L’chaim!, Ebrei contro la pena di morte”, Mike Zoosman, ha detto: «Solo l’idea di usare il gas per le esecuzioni è un affronto alla nostra comunità. L’eredità nazista della sperimentazione per trovare il modo più rapido per liberarci dai prigionieri indesiderati è un sotterfugio, per chiunque sia consapevole di quella storia che non dovrebbe ripetersi in Alabama, o altrove», ha aggiunto.

Le Nazioni Unite spingono per una moratoria sulle esecuzioni capitali

L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, aveva espresso preoccupazione sul fatto che «l’ipossia di azoto possa provocare una morte dolorosa e umiliante» e aveva affermato che l’esecuzione con questo metodo «potrebbe equivalere a tortura» o essere «degradante ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani». La pena di morte, ha detto, «è incompatibile con il diritto fondamentale alla vita. Non vi è alcuna prova che ciò scoraggi la criminalità. Piuttosto che inventare nuovi modi per attuare la pena capitale, esortiamo tutti gli Stati a mettere in atto una moratoria sul suo utilizzo, come passo verso l’abolizione universale». Kenneth Smith è morto alle 20.45 asfissiato dallo Stato dopo essere sopravvissuto a un’esecuzione di Stato. Ed è una roba così enorme che mancano le parole per scriverla.

L’articolo proviene da Lettera43 qui https://www.lettera43.it/kenneth-smith-azoto-alabama-pena-morte-gas-nazisti/

Meloni ispirata da Berlusconi. Ormai l’allieva ha superato il maestro

“L’Italia è il Paese che amo”. Con queste parole Silvio Berlusconi annunciava la sua discesa in campo dando vita a Forza Italia. Da allora sono trascorsi 30 anni e tante sono state le battaglie affrontate insieme, alcune vinte, alcune perse ma sempre con la stessa tenacia e la stessa passione. In occasione di questo anniversario, voglio rivolgere i miei auguri a tutti gli amici di Forza Italia. E un pensiero a Silvio, il cui impegno e ricordo continua a ispirare il nostro percorso”. Nel trentennale della fondazione di Forza Italia di prima mattina è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a dare il via allo squillo di trombe, promettendo agli italiani di non fare sentire la mancanza di Berlusconi nelle linee guida del suo governo. Ci permettiamo di credere che l’allieva stia superando il maestro.

La premier celebra a modo suo Forza Italia. Giorgia Meloni si conferma degna erede di Silvio Berlusconi

Una delle fissazioni più inscalfibili di Silvio era senza dubbio l’evasione fiscale. Ovviamente non poteva dirlo a piena bocca ma l’apologia all’evasione è una storia lunga fin dal suo ingresso in politica nel 1994. Fu proprio Berlusconi a parlare di evasione “moralmente accettabile” – era il 2010 – poiché la “pressione fiscale è insopportabile”. Tredici anni dopo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha paragonato, l’anno scorso a Catania, le tasse al “pizzo di Stato”. Più delle parole però contano i fatti e anche su quelli Meloni ha dimostrato di essere in perfetta sintonia con Silvio.

Prima di tutto c’è l’innalzamento del contante a 5mila euro. Giorgia Meloni in quell’occasione ha parlato di “libertà personale” e si è schiantata contro Bankitalia che ha detto ciò che sanno tutti, ovvero che l’utilizzo del contante favorisce l’evasione fiscale. Poi ovviamente ci sono stati i condoni più o meno mascherati: rottamazione delle cartelle esattoriali, multe, interventi sulle criptovalute, sanzioni ridotte per gli atti di accertamento.

Poi c’è stata la flat tap e quella curiosa osservazione dell’ufficio parlamentare di bilancio che nota come in moltissimi stiano appena sotto la soglia. Infine qualche giorno fa è diventato realtà il concordato fiscale, pietra tombale sull’evasione. Così non solo l’evasione viene di fatto legalizzata, o meglio concordata, ma addirittura sparisce dalle statistiche. Se il 70% del reddito degli autonomi oggi è evaso domani non entrerà più nelle statistiche e dalle parti del governo potranno addirittura rivendersi come i maghi della lotta all’evasione prendendo i voti degli evasori. Un capolavoro di cui Silvio sarebbe fiero.

Sono ancora visibili i disastri dei governi Berlusconi sulla giustizia

Sono ancora visibili i disastri dei governi Berlusconi sulla giustizia. Il garantismo è solo uno scudo per garantire impunità ai sodali di partito. I colletti bianchi possono dormire molto più tranquilli con l’abolizione dell’abuso d’ufficio, spesso porta di ingresso per reati più gravi e associazioni più criminali. Nemmeno Silvio avrebbe potuto puntare così in alto. Stessa storia con le intercettazioni, vera spina nel fianco per i governi Berlusconi e oggi finalmente delegittimate con lo stesso schema di sempre: “costano troppo” e “disturbano la privacy”, dicevano i berluscones, ripetono oggi i melones. La differenza sostanziale è che l’argine al sabotaggio della giustizia oggi è molto più morbido.

Basti pensare che in giro non si legge nemmeno mezzo editoriale indignato per la Corte costituzionale a cui manca un membro per il plenum, come se fosse semplicemente un elemento ornamentale. Meloni ha però superato il mastro nel bastonare i più deboli. Dei ragazzini che occupano la strada sono diventati la vera emergenza sociale (e penale) del Paese. Un ribaltamento della realtà attraverso una fumosa narrazione che Berlusconi avrebbe mandato in onda in prima serata, senza dubbio. Le “toghe rosse” di Silvio sono tornate terribilmente di moda: nel corso del suo governo Meloni, i suoi ministri e i membri della maggioranza tuonano ciclicamente contro qualche magistrato trattato come “avversario politico”. Il caso della giudice Iolanda Apostolico è stato fondamentale per colpirne uno per educarne cento.

Dall’evasione di necessità al pizzo di Stato con Meloni i furbetti del Fisco stanno sereni

Il disprezzo per le istituzioni di Silvio è ancora qui. Berlusconi sognava un potere esecutivo senza i lacci e i laccioli del Parlamento e delle istituzioni. Giorgia Meloni ha – per ora – un Parlamento che si è ridotto a ratificare le sue decisioni. Come Silvio anche Giorgia strapazza i suoi alleati forte dei suoi voti indispensabili a tutti. L’alleanza è semplicemente una corte con un capo (oggi una capa) e una schiera intorno di utili idioti a cui non resta che lamentarsi di sponda. Il governo Meloni se l’è presa con l’ufficio parlamentare di bilancio, con l’Inps, con l’stat e così via. Ogni ente che concorre alla democrazia è vissuto come un inciampo sul proprio cammino. Anche la Costituzione è un orpello da sventolare nelle cerimonie che sono già pronti a piegare per avere più poteri nell’esercitare il potere. Silvio fingeva di governare limitandosi a comandare e Giorgia è la sua allieva perfetta.

Infine c’è la passione per l’occupazione dell’informazione. Non solo la Rai è diventata il cimitero degli elefanti per coloro che non potrebbero ambire nemmeno a una televendita in Mediaset ma anche la cultura e lo spettacolo sono semplicemente strumenti di propaganda. Con Berlusconi dovevamo sorbirci le poesia di Sandro Bondi ora abbiamo un’antologia di “artisti” che imperversano in tutti i campi. Vedendo la scena, c’è da scommetterci, Silvio si sbellicherebbe dalle risate.

L’articolo Meloni ispirata da Berlusconi. Ormai l’allieva ha superato il maestro sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Altro che amichettismo. Meglio il cameratismo. Fa carriera l’ambasciatore fascio-rock, Vattani

Altro che amichettismo, quello del governo Meloni è cameratismo in senso largo: basta avere o avere avuto una nostalgia pubblica per i tempi andati e d’incanto scatta la promozione. L’ultimo in ordine di tempo è Mario Vattani, fresco di nomina come ambasciatore di grado per l’Italia. Solo che Vattani è lo stesso che nel 2011 fu sospeso dal ministero degli Esteri quando era console italiano a Osaka per i suoi numerosi video in rete in cui inneggiava al fascismo e alla Repubblica di Salò, partecipando a un raduno di Casapound a Roma.

Mario Vattani nel 2011 fu sospeso dal ministero degli Esteri per i suoi numerosi video in rete in cui inneggiava al fascismo e alla Repubblica di Salò

Ai tempi il diplomatico si giustificò spiegando che essere membro di una band ‘fascio-rock’, chiamata SottoFasciaSemplice. Come spesso accade dalle nostre parti gli è bastato tenere un profilo basso per qualche tempo aspettando che passasse la bufera per essere riabilitato prima dal governo Draghi che lo ha nominato ambasciatore in Giappone e poi dal governo Meloni, a febbraio dell’anno scorso, commissario italiano di Expo 2025 a Osaka.

Ora è arrivato il coronamento di una carriera. Vattani è tra i 25 diplomatici in Italia che hanno raggiunto il più alto grado in carriera. Per ora risulta “fuori ruolo”, ovvero senza sede, ma c’è da scommetterci che Giorgia Meloni e i suoi troveranno presto il luogo in cui spedirlo. A rappresentare l’Italia a poche ore dalla celebrazione della Giornata delle memoria ora abbiamo Katanga (lo chiamano così Vattani negli ambienti di estrema destra) che nel 1989 è stato indagato per aver aggredito due ragazzi di sinistra insieme ad altri militanti del Fronte della gioventù. Ne uscì assolto in sede penale, mentre risarcì i danni nel procedimento civile. Non è sbagliato: l’Italia oggi è questa roba qua.

L’articolo Altro che amichettismo. Meglio il cameratismo. Fa carriera l’ambasciatore fascio-rock, Vattani sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Varata la legge Ferragni. Meloni in guerra con gli influencer per coprire i suoi disastri

Nella bulimia di decreti legge partoriti da un Consiglio dei ministri, sempre concentrato sull’attualità della cronaca, ieri è stato varato anche la cosiddetta “legge Ferragni” per la trasparenza delle iniziative benefiche. L’imprenditrice digitale Chiara Ferragni da dicembre è travolta dai sospetti su alcune sue attività di beneficenza. Prima la maxi multa milionaria per pratica commerciale scorretta da parte dell’Antitrust e l’iscrizione nel registro degli indagati per l’operazione di beneficenza con l’azienda piemontese Balocco poi l’accusa di truffa aggravata per delle uova pasquali con il suo marchio per Dolci Preziosi e per la bambola in collaborazione con Trudi lanciata sul mercato nel 2019.

Dopo il caso Ferragni arriva la legge contro la finta beneficenza. Obblighi di trasparenza e multe a chi trasgredisce

Ieri il Codacons (che Assourt aveva firmato gli esposti per truffa aggravata) ha sollevato dubbi anche sulla donazione in beneficienza effettuata dall’influencer milanese dei proventi derivati dalla collaborazione con il marchio per la ‘Capsule collection limited edition Chiara Ferragni by Oreo’. Sull’onda del clamore suscitato dalla vicenda il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso in conferenza stampa ha spiegato che il governo ha voluto colmare un vuoto legislativo.

Il disegno di legge contiene norme di trasparenza che intendono assicurare una informazione chiara quando vengono commercializzati i prodotti i cui proventi sono destinati a iniziative solidaristiche. “È stato introdotto l’obbligo di riportare sulle confezioni dei prodotti, anche tramite adesivi, alcune informazioni specifiche tra le quali importo complessivo destinato alla beneficenza, se viene predeterminato, in modo che il consumatore sappia con certezza quale parte del ricavato vada a iniziative solidaristiche”, ha detto il ministro Urso. Nel contempo i partner devono comunicare ad Agcm – che intendono realizzare questa attività promozionale ed anche il termine entro il quale ci sarà il versamento al beneficiario.

Previste multe da 5 a 50mila euro

Il provvedimento prevede che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato possa sanzionare sul piano pecuniario con multe che vanno da 5mila a 50mila euro. I proventi di eventuali sanzioni sarà destinato ad iniziative solidaristiche, che un successivo decreto definirà. Il ministro ha precisato che il decreto “non riguarda le attività da parte degli enti non commerciali per i quali resta vigente quanto previsto dal codice del terzo settore, né gli enti appartenenti alle confessioni religiose”.

Secondo gli esperti del terzo settore restano comunque dei nodi da sciogliere. Leggendo il ddl infatti sembrano sottoposti ai nuovi adempimenti anche gli enti “produttivi” come le imprese sociali, le cooperative sociali o altri Ets che non hanno scopo di lucro ma svolgono attività di interesse generale attraverso la produzione di beni destinati ad attività socialmente rilevanti. Questi enti sono già sottoposti agli adempimenti del Dm 22 luglio 2022 sia nella comunicazione che nella rendicontazione. Si rischierebbe quindi una duplicazione di obblighi che bisognerà omogenizzare.

Si teme anche il disincentivo alle piccole realtà locali che potrebbero rinunciare ad attività benefiche per non dover affrontare la mole degli adempimenti richiesti. Il rischio è che per colpire Ferragni e gli influencer in vista si complichi la vita a iniziative di dimensioni minori. Per questo si starebbe valutando una gradualità dell’applicazione delle norme. Poco dopo il Consiglio dei ministri Ferragni ha commentato il provvedimento del governo dicendosi “lieta che il governo abbia voluto velocemente riempire un vuoto legislativo”.

Per Ferragni il decreto “impedisce di cadere in errore”

“Quanto mi è accaduto mi ha fatto comprendere come sia fondamentale disciplinare con regole chiare le attività di beneficenza abbinate alle iniziative commerciali”, ha detto l’imprenditrice. Per Ferragni il decreto “impedisce di cadere in errore, ma dall’altra evita il rischio che da ora in poi chiunque voglia fare attività di beneficenza in piena trasparenza desista per la paura di essere accusato di commettere un’attività illecita”. Con la “legge Ferragni” il governo Meloni conferma ancora la sua strategia: cavalcare i casi di cronaca – soprattutto se riferiti a presunti avversari politici – per legiferare riempiendo i giornali e scaldando il dibattito pubblico. Per un paio di giorni, c’è da scommetterci, la distrazione di massa sulla Ferragni funzionerà.

L’articolo Varata la legge Ferragni. Meloni in guerra con gli influencer per coprire i suoi disastri sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Trent’anni di Forza Italia e di danni al Paese: ecco il lascito di Berlusconi

Trent’anni fa, il 18 gennaio del 1994, Forza Italia si affaccia ufficialmente sulla scena politica italiana. Sei mesi prima – era il 29 giugno del 1993 – nello studio del notaio Roveda a Milano, Marcello Dell’Utri, Antonio Tajani, Cesare Previti e altri professionisti vicino a Silvio Berlusconi avevano registrato l’associazione “Forza Italia! Associazione per il buon governo” ripescando lo slogan elettorale della Democrazia cristiana usato qualche anno prima.

Il peccato originale di Berlusconi

Berlusconi dal canto suo non potè non iniziare con una sequela di bugie. Inizia a parlare di politica (e da politico) fin dal 1992, dicendosi però impossibilitato dal mettersi a capo di un partito. Così per tutto il 1993 sono diverse le situazioni in cui l’ex Cavaliere nega di essersi messo in moto. Anzi, quando a ottobre del ’93 il quotidiano Repubblica mostra alcuni documenti di organizzazione politica Berlusconi accusa il gruppo Repubblica-l’Espresso di metter in atto una campagna tesa alla distruzione del suo gruppo.

È il vittimismo teso a distruggere l’avversario che l’ex presidente del Consiglio (e altri presidenti del Consiglio dopo di lui) adotterà per tutta la vita. C’è da scommetterci che oggi, nel trentennale, si parlerà poco o quasi niente del ruolo della mafia. Tra i fondatori di Forza Itali c’è quel Marcello Dell’Utri condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa perché portava a Cosa Nostra le buste di denaro di Silvio, ogni sei mesi, dal 1974 al 1992. Per la Corte di Cassazione l’ex senatore Dell’Utri era il trait d’union tra l’imprenditore di Arcore e le cosche siciliane al quale arrivavano grosse somme di denaro e quei pagamenti non si sarebbero conclusi nel 1992 ma sarebbero proseguiti fino a dicembre 1994, quando Berlusconi non era solo un imprenditore ma Presidente del Consiglio. “Vi è la prova – scrivono i giudici – che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”.

“Ciò dimostra – si legge sempre nelle motivazioni della sentenza – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori”.

Forza mafia

Ma non c’è solo la mafia siciliana. Il 24 febbraio del 1994, mentre era in corso la campagna elettorale, al tribunale di Palmi, durante un processo, Giuseppe Piromalli – capostipite della cosca di Gioia Tauro di ‘Ndrangheta, padre dell’omonimo boss (soprannominato “Facciazza”) che verrà arrestato anni dopo accusato anche di estorsione ai danni dei gestori dei ripetitori Fininvest – prese la parola gridando dalla cella: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi”. Un altro politico di prima grandezza condannato definitivo a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa è Antonino D’Alì, ex senatore ed ex sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006. Per i giudici è considerato vicino alla mafia trapanese e a Matteo Messina Denaro. Altro politico colpito dal reato di contiguità con la criminalità organizzata è Nicola Cosentino. Napoletano di Casal di Principe è stato deputato dal 1996 al 2013 per Forza Italia e PDL e nel quarto governo Berlusconi è stato sottosegretario all’Economia e Finanze. Per i giudici era il referente politico del clan dei Casalesi.

Mediaset

Trent’anni di Forza Italia e 30 anni di sdoganamento del partito azienda in cui la politica è il mezzo per raggiungere altri scopi. Dal Decreto Biondi (1994) in poi sono circa una quarantina le leggi “ad personam” che Forza Italia ha varato per difendere gli interessi di Finivest (poi diventata Mediaset) e per arginare i processi in corso. Le televisioni di Berlusconi sono state le armi bianche per bombardare la verità e fare della propaganda una quotidiana e incessante narrazione. Con Forza Italia il conflitto di interessi permanente è diventata una virtù, un trofeo di potenza da esibire in faccia agli avversari politici. Il mito dell’imprenditore che “si è fatto da solo” fingeva di non sapere quanto avesse influito sul fatturato la vicinanza con Craxi prima e l’occupazione dei posti di comando poi. Forza Italia è solo un tassello della fitta rete di salvataggio indispensabile per continuare a galleggiare, come lo era il Milano e come erano (o sono?) le reti televisive.

Nel solco di Berlusconi

Trent’anni anni di Forza Italia e Berlusconi rimane imprescindibile, anche se non c’è più. Il partito con la furiosa paura di scomparire con il suo padrino per ora rimane legato alla famiglia Berlusconi da un debito economico importante. Ieri fonti vicini ai figli di Silvio “che il credito verso FI non è mai stato in discussione. Al contrario, la famiglia intende continuare a sostenere il partito, anche in virtù dell’affetto per la creatura politica cui Silvio Berlusconi ha dedicato gli ultimi 30 anni della sua vita”. “Questo supporto, ovviamente – dicono le fonti – deve affiancarsi all’impegno di Forza Italia a proseguire nel percorso, peraltro già intrapreso, di rafforzamento della propria dotazione finanziaria”.

Trent’anni anni dopo la famiglia Berlusconi incide tranquillamente sulla politica nazionale senza bisogno di stare dentro al partito e Forza Italia è legata a doppio filo con le aziende, anche senza Silvio. La memoria, si sa, è una spinta troppo flebile per tenere in piedi l’azione politica. Ora bisognerà vedere se Forza Italia sarà utile anche per il resto. Ancora una volta.

L’articolo Trent’anni di Forza Italia e di danni al Paese: ecco il lascito di Berlusconi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Sgarbi… quotidiani contro la deputata dem

Se ieri avete avuto la sfortuna di sfogliare le pagine de Il Giornale vi sarà capitato tra le mani l’articolo del sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi che si è cimentato in una lunga autodifesa dal titolo: “La mozione che umilia le Camere”, rilanciato anche in prima pagina. Si fa riferimento alla mozione di sfiducia presentata da Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra Partito democratico in cui si ripercorrono le vicende – ben raccontate dalla trasmissione Report – di un quadro del pittore del Seicento Rutilio Manetti rubato dal castello di Buriasco, vicino a Pinerolo, e riapparso (in originale o in copia lo dovrà decidere il tribunale) nelle disponibilità del sottosegretario.

L’indomito Sgarbi, diventato famoso più per le sue intemperanze che per capacità politiche, aveva parlato fin da subito di “aggressione”. Del resto uno spirito docile come il suo deve essere rimasto traumatizzato dal ricevere critiche. Scorgendo l’articolo di ieri si potrebbe comunque immaginare che Sgarbi abbia deciso una volta per tutte di chiarire i punti oscuri della vicenda rispondendo alle perplessità avanzate dai giornalisti seppelliti dagli improperi incazzosi del critico d’arte. Nulla di tutto questo.

Sgarbi verga una pagina in cui offende personalmente la deputata dem Irene Manzi (prima firmataria della mozione) accusandola di essere stata “nominata” per entrare in Parlamento (evidentemente nel centrodestra hanno un’altra legge elettorale tutta loro) e di essergli sconosciuta. Per Sgarbi la popolarità guadagnata a suon di risse televisive e di condanne vince sull’operato di una deputata che non ha nemmeno una foto seduta sul cesso. Risposte nel merito della vicenda Ovviamente nessuna. Però in prima pagina.

L’articolo Sgarbi… quotidiani contro la deputata dem sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Femminicidi: la Cassazione prende a sberle i negazionisti

Nel 2023 “su un totale di 330 omicidi (in lieve aumento rispetto ai 325 dell’anno precedente e ai 308 del 2021), le donne risultano vittime in 120 casi (rispetto ai 128 del 2022 e ai 122 del 2021). In 97 casi (rispetto ai 104 del 2022 e ai 105 del 2021) i delitti sono maturati in ambito familiare o nel contesto di relazioni affettive”. Lo evidenzia la prima presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, in un passaggio della sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Secondo Cassano, “desta grave preoccupazione il fatto che dei sette omicidi volontari consumati già nella prima settimana del 2024 tre vedano come vittima una donna. I femminicidi – puntualizza ancora la prima presidente della Cassazione – costituiscono spesso il tragico epilogo di reati cosiddetti ‘spia’, espressivi di condotte violente (violenza privata, violazione di domicilio, lesioni, maltrattamenti in famiglia, stalking) che richiedono particolare attenzione, competenza, professionalità e tempestività d’intervento per impedire conseguenze ben più gravi”.

Per Cassano, “è altrettanto indubbio, pero’, che un forte impegno della Polizia giudiziaria e della Magistratura non è sufficiente e che esso deve essere preceduto da una forte azione di sensibilizzazione e prevenzione culturale e sociale e da azioni di ampio respiro che coinvolgano non solo la famiglia e la scuola, ma l’intera collettività e siano in grado di incidere sulle cause generali di questa drammatica involuzione delle relazioni interpersonali, in cui sulla dimensione affettiva prevalgono tragicamente l’idea del possesso e del predominio sulla donna e il disconoscimento dell’uguaglianza di genere”.

Come direbbe “Er Monnezza”: «è Cassazione». Chissà ora i vestali della fallocrazia come ci rimarranno male. 

Buon venerdì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Antimafia all’acqua di rose. Lo sfondone di FdI sul pentito Luigi Ilardo

Si è detto e scritto dell’interrogazione dei parlamentari di Fratelli d’Italia in commissione di Vigilanza Rai con cui accusano la trasmissione Report, condotta da Sigfrido Ranucci, di utilizzare un “metodo” che si avvarrebbe di sospetti e di testimoni poco credibili per insinuare. Leggendo l’interrogazione a prima firma del deputato Francesco Filini sorge il dubbio che il metodo del ribaltamento dei fatti appartenga agli accusatori più che agli accusati.

Per i meloniani l’ex boss Luigi Ilardo non è un teste credibile. Ma i veri bersagli sono Report e Ranucci

Nel quesito firmato dai parlamentari di Fratelli d’Italia del 17 gennaio si punta il dito contro la puntata di Report dell’8 ottobre 2021, in particolare contro il servizio a firma di Giorgio Mottola dal titolo La Russa Dynasty in cui si indaga sui beni e sui rapporti della famiglia dell’attuale presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa. Nel quesito indicato al presidente della Commissione Vigilanza Rai Barbara Floridia (M5S) e all’amministratore delegato Rai Roberto Sergio i parlamentari di Fratelli d’Italia fanno riferimento ad alcuni collaboratori di giustizia, Michele Senese per la puntata del 14 gennaio 2024 – scrivono gli interroganti – sempre a firma di Giorgio Mottola, dal titolo Mafia a tre teste, il cui obiettivo è quello di mettere in luce i rapporti che intercorrerebbero tra esponenti in vista di Fratelli d’Italia – che attualmente ricoprono incarichi al governo e nelle Istituzioni europee – e le cosche mafiose”.

“Nell’affrontare li tema, tra gli intervistati, compare – scrivono il meloniano Filini e gli altri cofirmatari – il pentito di Camorra Nunzio Perrella, li quale rivela un presunto legame tra Franco Meloni – padre del Presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni – e li boss camorrista Michele Senese, con cui avrebbe avuto un incontro a Nettuno nel 1992. Nondimeno, il pentito intervistato è considerato non attendibile da ben due magistrati, ossia l’ex Procuratore nazionale antimafia di Bologna Roberto Pennisi e l’ex Procuratore capo di Brescia Sandro Raimondi, come svela un documento pubblicato da lI Giornale il 16 gennaio 2024”.

Tra i pentiti che per il partito di maggioranza non sarebbero credibili viene citato anche Luigi Ilardo, ex boss mafioso che iniziò un percorso di collaborazione con lo Stato da “infiltrato”. Nel tempo la “Fonte Oriente” – così veniva chiamato in codice – offrì un contributo fondamentale per l’arresto di vari latitanti mafiosi e al contrasto delle attività criminali.Definire inattendibile Ilardo per il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni è più che un azzardo. Si tratta tecnicamente di un errore vero e proprio che rientra perfettamente nell’atteggiamento calunnioso che i parlamentari di maggioranza vorrebbero addossare alla trasmissione Report.

Ma andiamo con ordine. Il collaboratore di giustizia Luigi Ilardo – come ricorda il sito Antimafia Duemila – con la sua collaborazione con il colonnello dei carabinieri Michele Riccio (prima applicato alla Dia, poi al Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri), riuscì addirittura a condurre i Carabinieri del Ros a un passo dal covo del numero uno di Cosa Nostra al tempo, Bernardo Provenzano, latitante da oltre tre decenni, il quale, però, incredibilmente non venne catturato dai Carabinieri guidati al tempo dall’ex generale dei Carabinieri Mario Mori, che sulla vicenda venne poi assolto dall’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra insieme al colonnello Mauro Obinu. Il 10 maggio del 1996, poco prima che venisse inserito ufficialmente nel programma protezione testimoni, Luigi Ilardo venne ucciso da Cosa nostra catanese a seguito di una misteriosa “soffiata istituzionale”, come sancito dalla sentenza in cui sono stati condannati i mandanti e gli esecutori mafiosi del suo omicidio (Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano).

L’attacco a Report di Fratelli d’Italia in un’interrogazione in Vigilanza Rai. Smontato dal colonnello Riccio

Per questo l’ex colonnello Michele Riccio dopo avere letto l’atto d’accusa depositato in Vigilanza si è sentito in obbligo di scrivere ai parlamentari di Fratelli d’Italia per spiegare che nell’indagine Grande Oriente si avvalse “della collaborazione di Luigi Ilardo, elemento di spicco di Cosa nostra, cugino del capo della Famiglia mafiosa di Caltanissetta e sin dai primi anni ’70 endemico nel sodalizio mafioso, che aveva segnalato al dr. De Gennaro la sua disponibilità a qualche forma di collaborazione con le istituzioni. L’indagine – spiega Riccio – fu seguita sin dal suo avvio dal dr. Gian Carlo Caselli, procuratore capo presso il Tribunale di Palermo, a cui poi in seguito si unì il dr. Giovanni Tinebra, responsabile della procura presso il Tribunale di Caltanissetta.

L’indagine, grazie al collaboratore Ilardo, non solo acquisì una notevole e vasta mole di informazioni su Cosa nostra, ma registrò, sfruttando le sue indicazioni, di conseguire la cattura dei latitanti: il 9 maggio 1994 Santo Sfameni, il 5 agosto 1994 Vincenzo Aiello (al tempo vice rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Catania) a Mascalucia (CT), il 17 novembre 1994 Giuseppe Nicotra più altri complici trovati in possesso di armi e munizioni a Catania, il 21 dicembre 1994 Domenico Vaccaro (rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Caltanissetta) a S. Cataldo (CL), il 13 gennaio 1995 Lucio Tusa (nipote di Piddu Madonia) a Catania; il 25 maggio 1995 Salvatore Fragapane (rappresentante provinciale di Cosa Nostra ad Agrigento) a S. Elisabetta (AG). Ilardo fu anche l’uomo che portò ai pizzino di Bernardo Provenzano. Insomma, Luigi Ilardo fu tutt’altro che inaffidabile. E forse dalle parti di Fratelli d’Italia converrebbe studiare meglio le sentenze per non rischiare di incappare in quel metodo che loro chiamano Report.

L’articolo Antimafia all’acqua di rose. Lo sfondone di FdI sul pentito Luigi Ilardo sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La Meloni va all’incasso. Ok al premierato barattato con l’Autonomia

Lo scambio nella maggioranza tra coloro che volevano l’autonomia differenziata (Lega in primis) e quelli che vogliono il premieranno (Fratelli d’Italia) corre veloce. È passato un solo giorno dalla votazione alla Camera dell’autonomia differenziata e ieri con 11 voti favorevoli e 9 contrari, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato la proposta di adottare come testo base il disegno di legge di iniziativa del governo sul premierato, che prevede l’introduzione in Costituzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio.

Salvini mantiene il patto con la premier Meloni. Via libera della Commissione al testo base ddl Casellati sul premierato

Abbinato al testo del governo c’era la proposta di Matteo Renzi sul cosiddetto “sindaco d’Italia”, che con l’adozione del ddl Casellati come testo base quindi decade. Slitta inoltre dal 29 gennaio al 5 febbraio il termine per la presentazione degli emendamenti. Al termine della discussione generale, in commissione è intervenuta il ministro per le Riforme, Elisabetta Casellati, che ha ribadito come la riforma non tocchi i poteri del capo dello Stato e ha bollato il “barattellum” – ovvero l’accusa fatta dalle opposizioni di un “baratto” tra la riforma dell’autonomia e quella del premierato- come uno “slogan improprio e spiacevole”.

Un voto, quello della Commissione, che arriva proprio all’indomani del primo ok da parte dell’aula di Palazzo Madama al ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. “L’Italia con il voto di ieri porta a casa uno sfregio che può essere cancellato solo se questa riforma sarà bloccata alla Camera. Se no promuoveremo il referendum. Purtroppo questa maggioranza, che non lo è politicamente nel Paese, ma lo è numericamente in Parlamento, ha anteposto gli interessi di Salvini e di Giorgia Meloni a quelli italiani”: così il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia ai microfoni di Radio Napoli Centrale.

“La Lega ha in mano un feticcio, vuoto. La Meloni invece vuole esercitare il comando attraverso una riforma costituzionale disastrosa. L’autonomia differenziata di Calderoli è un gran pasticcio che, se attuato, creerebbe 15 staterelli e provocherebbe ulteriori divaricazioni. Stanno smontando il Paese. Questa riforma, e quella del premierato, indeboliscono l’unità nazionale. La destra ha un disegno chiaro: colpire i pilastri dell’intelaiatura della nostra Repubblica. L’autonomia differenziata, portandoci di fatto verso un centralismo regionalistico, di fatto umilia le altre autonomie locali e le regioni diventano ulteriori centri di potere. La Lega scambia l’efficienza amministrativa con il possesso delle risorse. Il simbolo di quanto successo ieri è la bandiera di San Marco da una parte e il tricolore dall’altra. La destra – conclude Boccia – sta trasformando le diversità territoriali in diseguaglianze”. La maggioranza ha però già fatto sapere che, alla luce di un confronto interno alle forze che sostengono l’esecutivo, il ddl Casellati subirà importanti modifiche attraverso emendamenti a firma di tutti i gruppi di maggioranza.

La Lega potrà offrire lo Spacca-Italia ai suoi elettori in vista delle Europee e FdI il sogno dei pieni poteri

Tra i cambiamenti in vista: via la norma anti-ribaltone (che riguarda la previsione della norma sul cosiddetto ‘secondo premier’ o premier ‘di riserva’ in caso di sfiducia al presidente eletto; soglia di maggioranza (il 55%) da inserire non in Costituzione ma nella successiva legge elettorale. Non si esclude anche di inserire un tetto ai mandati. Le modifiche di maggioranza saranno concordate definitivamente in un nuovo vertice in Senato assieme ai capigruppo, ai componenti della commissione Affari costituzionali e al governo. La maggioranza ha la pancia piena. La Lega ha ottenuto il suo federalismo (ancora da puntellare) da rivendere ai suoi elettori in vista delle europee e Giorgia Meloni ha potuto soddisfare la ciclica tracotanza del premier di turno che sogna i pieni poteri.

Leggi anche: Novanta minuti di bugie in Aula. Conte e Schlein smontano tutte le balle di Meloni al Parlamento. Per la premier le nuove regole Ue liberano 35 miliardi per l’Italia. I 5S la sbugiardano numeri alla mano

L’articolo La Meloni va all’incasso. Ok al premierato barattato con l’Autonomia sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il milione di posti di lavoro che servirebbe

Per rimettere in piedi la sanità che tutti celebravano durante la pandemia (con la solenne promessa di restituirle dignità) servono 15 miliardi di euro e un milione di nuove assunzioni tra medici e infermieri. 

Il 19° Rapporto Sanità del Crea, Centro per la ricerca economica applicata in sanità, presentato il 24 gennaio nella sede del Cnel, a Roma, mette in numeri il divario tra la sanità italiana e quella dell’Unione europea. La bellezza dei numeri sta tutta nella capacità di disegnare le dimensioni senza bisogno di ulteriore fantasia. 

A proposito di numeri nel rapporto si ricorda che il nostro Paese ospita una delle popolazioni più anziane del mondo che ci porteranno intorno al 2032 a sfondare il muro dei 10 milioni di pazienti over 65 con patologie croniche. A questi, aggiunge il rapporto, vanno aggiunti i circa 7 milioni cronici “giovani”, tra i 18 e i 69 anni. 

Ci sarebbe da invertire anche la preoccupante tendenza dei medici per mille abitanti over 75 che sono passati dal 42,3 del 2003 al 34,6 mentre gli infermieri da 61 sono diventati 52,3. A proposito di anziani non autosufficienti il numero di operatori socio sanitari sono 86,4 per mille abitanti over 75, contro i 114,6 della Spagna, i 175,8 della Francia e i 211 del Regno Unito. 

L’unico dato in continuo miglioramento è il fatturato della sanità privata che nel 2022 ha raggiunto i 40,1 miliardi di euro ( +0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio) con Trentino-Alto Adige (21,0%) e Lombardia (19,7%) che fieramente svettano. 

Alla luce del quadro descritto ognuno può liberamente giudicare il definanziamento nella Sanità del 3% dal 2016 al 2021. 

Buon giovedì. 

L’articolo proviene da Left.it qui