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Al Sud si spende per il Ponte. E le scuole cadono a pezzi

Nelle due regioni in cui l’unica priorità sembra essere il Ponte di Messina una scuola su tre ha necessità di interventi urgenti di manutenzione; inoltre, nelle città capoluogo, negli ultimi 5 anni non è stato costruito nessun nuovo edificio scolastico. In Sicilia e Calabria – dove tutti i capoluoghi di provincia, con la sola eccezione di Caltanissetta, sono in area sismica 1 e 2 – mediamente, nel 65% dei casi non è stata effettuata la verifica di vulnerabilità sismica. Lo scrive Legambiente nel suo 23esimo report “Ecosistema Scuola” che fotografa la situazione italiana in cui le scuole continuano ad essere in ritardo cronico su riqualificazione edilizia e servizi scolastici.

Nelle due regioni in cui l’unica priorità sembra essere il Ponte di Messina una scuola su tre ha necessità di interventi urgenti di manutenzione

I ritardi maggiori si registrano ancora volta nel Mezzogiorno, ma preoccupa anche la situazione del centro Italia colpito dal sisma del 2016 dove l’obiettivo messa in sicurezza delle scuole è ancora lontano. Altra nota dolente, riguarda i servizi scolastici che nonostante rappresentino una parte importante per la crescita, la socialità e l’inclusione tra i ragazzi sono poco garantiti nelle scuole del Sud della Penisola. Nonostante lo stanziamento delle risorse, nella Penisola la realizzazione di nuove scuole è un miraggio: negli ultimi 5 anni è stato dello 0,6%.

Ammontano a 519 milioni di euro i fondi stanziati dal Pnrr per 767 nuove realizzazioni o ampliamenti/potenziamenti di spazi mensa. L’efficientamento energetico, pur affrontato da alcune amministrazioni su un numero consistente di edifici di propria pertinenza, riguarda solo il 12,7% del totale degli edifici scolastici tra quelli realizzati negli ultimi 5 anni, distribuito in modo piuttosto disomogeneo.

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In bilico la Casa di Mario. Nata dal dramma di Elena Improta e travolta dalle spese legali

Quarantacinque anni fa Elena Improta nei giorni precedenti al travaglio decide di appoggiarsi per il parto nella clinica Villa Mafalda a Roma per sentirsi “più protetta” vista l’assenza del marito fuori città e la vicinanza alla casa dei suoi genitori. A Villa Mafalda lavorava anche il ginecologo ospedaliero di fiducia. Ma quando il 18 novembre 1989 arriva nella clinica il suo medico non c’è, finisce nelle mani – lo racconta lei nelle numerose interviste che in questi anni ha rilasciato – di un giovanissimo assistente. Il parto non fu facile. Fu chiamata d’urgenza l’ostetrica e la pediatra di Elena venne allontanata dalla sala. Maria subisce la manovra di Kristeller (una manovra ostetrica violenta eseguita durante il parto in contemporanea con la contrazione) perché il figlio, Mario, non usciva. Elena venne sedata e riportò danni al collo dell’utero.

Elena Improta deve pagare 300mila euro. La Onlus Oltre lo Sguardo da lei fondata a Orbetello rischia di chiudere

Il dolore però doveva ancora cominciare. Mario si presenta subito rigido, ipertonico e con spasmi. Le pediatre della clinica la tranquillizzano, consigliano massaggi per superare il trauma del parto. Poco dopo il bambino presenta crisi epilettiche. “Sono crisi affettive dovute alla sua ansia”, le dicono. Invece no, il figlio di Elena Improta non avrebbe mai parlato né camminato. Diagnosi: tetraparesi spastica. Le cause sono sconosciute. Non c’è nessuna patologia rara e nessuna malattia metabolica. Per Villa Mafalda potrebbe essere colpa di un’infezione contratta dalla madre mai rilevata. Gli specialisti invece confermano ragionevolmente un nesso tra il parto e la sofferenza ipossico ischemica, ovvero l’assenza di ossigeno.

La pensa diversamente il tribunale che dopo cinque gradi di giudizio e 27 anni ha condannato Elena Improta a pagare la mostruosa cifra di oltre 300mila euro di spese legali. Soldi che Elena Improta non ha e che mettono in pericolo anche il progetto del “dopo di noi” in cui Elena e Mario, insieme a altri disabili avevano trovato ristoro. Con la Onlus Oltre lo Sguardo a Orbetello nella Casa di Mario 8 o 9 persone disabili vivono in un sistema di residenzialità e semiresidenzialità, con un turnover di operatori che garantiscono percorsi assistenziali personalizzati in tre appartamenti. Quei 300mila euro costringerebbero Elena a vendere l’immobile per il risarcimento.

Il Pd chiede un fondo di garanzia a favore di chi soccombe nei giudizi per i danni durante il parto

Perciò oggi, alla Camera, Elena con Ilenia Malavasi e Marco Simiani (Pd) presentano una proposta di legge dal titolo ‘Istituzione di un Fondo di garanzia a beneficio delle parti soccombenti in giudizi relativi a danni subiti dal neonato a seguito del parto e impossibilitate al pagamento’. “Il nostro atto – spiegano Malavasi e Simiani – vuole colmare un paradosso normativo su cui il Parlamento è chiamato a riflettere e confrontarsi; occorrono norme e risorse per sostenere concretamente una famiglia che ha trovato la forza ed il coraggio di trasformare una drammatica vicenda personale in una progetto solidale di accoglienza, di inclusione e speranza rivolto alle altre persone con disabilità”.

Per i deputati “chi ritiene di aver subito un danno grave durante il parto non può aver paura di difendersi perché potrebbe essere costretto a pagare ingenti spese processuali (come accaduto ad Elena Improta) e le conseguenze non possono ricadere sul caregiver che si occupa non solo di suo figlio ma di tante famiglie in difficoltà”.
C’è una legge, la 112 del 2016, che propone per la prima volta un piano volto a garantire il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone affette da disabilità gravi. E, soprattutto, un piano per il supporto ai disabili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori. E forse c’è una giustizia da preservare, al di là della legge. Chissà se il Parlamento si unisce almeno sulla compassione.

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Renzi candidato Ue. Calenda svela un altro bluff

“In nove mesi si possono fare tantissime cose. Il mio sarà un appello a tutto il gruppo dirigente di Italia Viva a mettersi in gioco. Mi metto in gioco anch’io. Lo dico a Milano e mi candiderò al Parlamento europeo. Non lo faccio per mettere una riga in più nel Cv, bisogna dare una sveglia all’Europa altrimenti rischia di saltare”. Era il 4 settembre dell’anno scorso e Matteo Renzi annunciava a Milano la sua candidatura per le elezioni europee.

La scelta di Milano, spiegava Renzi, non era casuale: quello sarebbe stato il collegio elettorale scelto dal senatore fiorentino. Il leader di Italia Viva aveva lanciato anche il brand con sui si sarebbe presentato: “Il Centro”. Non mancò in quell’occasione anche una stoccata al suo ex alleato Carlo Calenda accusato di avere la peculiare caratteristica di “lasciare le cose a metà”: “si è candidato alle europee, è entrato e poi ha lasciato a metà. Lo stesso ha fatto a Roma”, spiegò Renzi.

Sono passati 5 mesi di quei 9 che avrebbero dovuto essere fantastici e Renzi naviga in acque molto mosse. L’idea di abbassare al 3% la soglia di sbarramento per le europee non ha avuto successo tra la maggioranza. In compenso Carlo Calenda ieri ha lanciato il carico: “Renzi non ha mai desiderato andare in Europa, – ha detto – e non ci andrà mai perché il codice etico della Ue non gli consentirebbe di svolgere alcun ruolo o funzione stante che lì i conflitti di interesse vengono presi sul serio”.

In effetti a Bruxelles sono molto più rigidi sulle attività di lobby, soprattutto con governanti tutt’altro che democratici come bin Salman. Vuoi vedere che per l’ennesima volta i giornali hanno sprecato litri d’inchiostro sull’ennesimo bluff?

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L’indifferentismo alla politica

Vale la pena recuperare il celebre discorso che Piero Calamandrei fece agli studenti nel 1955. «Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani. È un po’ una malattia dei giovani, l’indifferentismo». 

Occuparsi dell’indifferentismo e non scambiarlo per semplice astensionismo potrebbe essere il primo passo. Vale ancora la storiella – che amava raccontare Calamamandrei – di quei due migranti, due contadini che attraversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime. Il piroscafo oscillava e allora quando il contadino, impaurito, domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» e quello dice: «Se continua questo mare, fra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva, va a svegliare il compagno e grida: «Beppe, Beppe, Beppe!». «Se continua questo mare, fra mezz’ora il bastimento affonda!». E quello: «Che me ne importa, non è mica mio!».
Questo è l’indifferentismo alla politica: è così bello, è così comodo, la libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica.

Buon mercoledì. 

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Altro stop per Open Arms. Ormai salvare vite in mare è diventato un calvario

“Dopo aver sottoposto il nostro capitano a un lungo interrogatorio, le autorità italiane hanno notificato alla nostra nave un ennesimo fermo amministrativo di 20 giorni. Questo provvedimento è del tutto ingiustificato”, dichiara Oscar Camps, fondatore della Ong catalana Open Arms impegnata dal 2015 in operazioni di ricerca e soccorso in mare. Il decreto Piantedosi ancora una volta colpisce nel segno.

La Ong Open Arms sotto scacco ma la legge vieta di riportare chi scappa nel luogo da cui sta fuggendo

La legge fortemente voluta dal governo per sabotare l’attività umanitaria delle navi nel Mediterraneo (2.571 i migranti morti in quel mare nel 2023, quasi mille in più rispetto l’anno precedente) questa volta blocca per fermo amministrativo l’imbarcazione di Open Arms nel porto di Crotone, in attesa dell’inevitabile e costosa multa che arriverà nei prossimi giorni.

Open Arms ha sbarcato da poco 57 persone, di cui CINQUE minori, recuperate da tre imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali. La Ong era già stata colpita da identico provvedimento ad agosto e a ottobre dell’anno scorso. Le colpe? Innanzitutto la Ong si sarebbe permessa di contestare l’assegnazione del porto di Brindisi dopo giorni passati in condizioni di mare difficili, con onde alte fino a 4 metri. Ma sopratutto Open Arms è accusata dalle autorità italiane di aver ostacolato l’intervento di una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica durante le operazioni di “recupero” di 45 persone che li ha poi riportati a Tripoli.

“Tutti e tre i soccorsi effettuati sono stati coordinati dalle autorità italiane, abbiamo rispettato tutte le indicazioni ricevute da MRCC, compresa quella di andare a verificare le condizioni di una quarta imbarcazione, poi intercettata dai libici”, denuncia Open Arms. “In mare lo stato di diritto è stato sospeso, le navi umanitarie si trovano ad operare senza alcun riferimento legislativo chiaro. In questo modo è impossibile garantire la sicurezza e i diritti di chi prova ad attraversare il mare in condizioni di vulnerabilità”.

La nave spagnola aveva ricevuto una segnalazione di Alarm phone di un barchino in difficoltà. Dopo avere contattato Roma per chiedere l’autorizzazione al soccorso le è stato chiesto di andare “a verificare la situazione”. Giunti in loco con uno dei gommoni veloci hanno rintracciato la piccola imbarcazione in difficoltà già intercettata dalla cosiddetta Guardia costiera libica che stava caricando i migranti per riportarli all’interno delle prigioni illegali libiche. Per la Ong sarebbe stata proprio la cosiddetta Guardia costiera libica a denunciare al governo italiano non meglio precisate operazioni di intralcio dell’organizzazione umanitaria. Peccato che l’azione dei libici sia tecnicamente un respingimento illegale secondo il diritto internazionale.

La nave della Ong è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni e a una multa compresa tra 3 e 10 mila euro

“Secondo le autorità abbiamo impedito l’intervento della cosiddetta guardia costiera libica. Questa accusa, oltre a essere falsa perché la nostra nave si limitava solo a osservare le azioni dei libici, legittima una pratica vietata dalla Convenzione di Ginevra. è espressamente vietato, infatti, trattenere e riportare persone nel luogo da cui stanno fuggendo”, spiega la Ong. “Sappiamo tutti – aggiunge – cosa succede nei centri di detenzione libici e quali milizie gestiscono il traffico di esseri umani. Milizie travestite da guardie costiere. Siamo però noi ad essere fermati e multati pur avendo agito rispettando tutte le indicazioni delle autorità’ competenti e sempre sotto il loro coordinamento. Il nostro posto e’ nel mare, finche’ ci saranno vite alla deriva”. La nave della Ong è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni e a una multa compresa tra 3 e 10 mila euro.

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Renzi invia alla Meloni un pizzino sul caso Pozzolo

Cosa spinge il senatore di Italia Viva Matteo Renzi a insistere sul ruolo del sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove durante l’ormai nota di capodanno in cui sparò la pistola del deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo? Anche ieri Renzi nella sua newsletter è tornato sui fatti di quella notte, quando un trentunenne rimase ferito da un colpo partito dall’arma di Pozzolo mentre il sottosegretario si era allontanato per buttare dei sacchi dell’immondizia, come ha raccontato lo stesso Delmastro.

Cosa spinge Renzi a insistere sul ruolo di Delmastro durante l’ormai nota notte di capodanno in cui sparò la pistola di Pozzolo?

Sulla storia del pistolero di capodanno – ha scritto Renzi -, il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro se va bene è reticente, se va male mente. Io penso che stia facendo entrambe le cose. Penso anche che la Meloni che non gli toglie la delega alla polizia penitenziaria rischi in prospettiva di pagare a caro prezzo questa impuntatura. A cosa mi riferisco? – punge Renzi – Lo vedrete presto. Non basta ripulire la scena del crimine… Fossi in Delmastro verrei velocemente in Parlamento a dire la verità prima che la verità la dica qualcun altro. Perché è solo questione di tempo, credetemi”.

Leggendo la newsletter dell’ex premier sorge un dubbio. Sa qualcosa che gli altri ignorano?

Il senatore fiorentino fa un chiaro riferimento a una pulizia “della scena del crimine” per cancellare le responsabilità di Delmastro: una responsabilità penale, se accertata. Cosa sa Renzi che non sanno i giornalisti? E poi, perché mette in dubbio nella sua newsletter che fosse solo una l’arma in circolazione in quel momento? “Trovo immorale che in una festa di capodanno pubblici ufficiali usino un’arma da fuoco (una) in una festa in cui ci sono dei bambini e che chi deve dire la verità stia mentendo o mandando pizzini da venti giorni”, scrive l’ex presidente del Consiglio.

E le sue parole, anche loro, hanno tutta l’aria di essere un pizzino. Persino lui, del resto, sembra rendersi conto che il suo attivismo sul caso Pozzolo può leggittimare quantomeno qualche domanda: “Chi mi dice: ma perché insisti su questa storia Perché trovo immorale che in una festa di capodanno pubblici ufficiali usino un’arma da fuoco (una) in una festa in cui ci sono dei bambini e che chi deve dire la verità stia mentendo o mandando pizzini da venti giorni. È una cosa enorme. Ne va della dignità dei membri del Governo, della polizia penitenziaria, delle Istituzioni. Voi che dite?

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Ultima generazione scrive a Mattarella

“Mattarella non firmi la legge sulle ecoproteste”. I giovani di Ultima generazione lanciano un appello al Capo dello Stato per chiedere che non diventi legge il ddl s.693 che inasprisce le pene a chi imbratta per protestare legittimamente contro un’ingiustizia sociale rispetto a chi semplicemente vandalizza un manufatto senza alcun motivo. Per gli attivisti significherebbe “tornare al reato di opinione, inaccettabile in una democrazia” e per questo chiedono a Mattarella “una presa di posizione chiara rispetto a queste intimidazioni e chiediamo che solleciti il governo invece a intervenire per le vittime della crisi in Italia”. Ultima generazione ricorda anche le parole di Mattarella in occasione del suo discorso di fine anno nel 2022, quando disse: “Non è un caso se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani.” Ma anche nel recente Messaggio di Fine Anno del 31 dicembre 2023: “I giovani si sentono fuori posto. Disorientati (…) Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa”.

Nel comunicato gli attivisti dell’associazione ambientalista si dicono scandalizzati dai “10 astenuti d’Italia Viva e di Azione che, come gli ignavi della Divina Commedia, hanno deciso di non schierarsi: i complici migliori di ogni cultura autoritaria repressiva” e delusi “dall’assenza al voto del leader di partito Bonelli (Verdi), Conte (Movimento 5 Stelle) e Schlein (Pd). Sebbene i deputati di questi partiti abbiano votato contro il ddl, – scrivono – la loro assenza su un provvedimento legislativo pericoloso per tutti noi cittadini denota superficialità e sottovalutazione del problema”. 

Sono 12 le persone di Ultima generazione attualmente ancora sotto misure cautelari. 

Buon martedì. 

Nella foto: l’immagine che accompagna l’appello di Ultima generazione al presidente della Repubblica Mattarella

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Supercoppa d’Arabia. Un calcio in faccia ai diritti

Qualcuno ha sicuramente perso la finale di Supercoppa italiana giocata ieri sera in trasferta su un campo con più soldi che erba nel cuore dell’Arabia Saudita. Ha perso – come ricorda estenuante il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury – il giornalista Jamal Kashoggi, ammazzato nel consolato saudita a Istanbul. Il 16 novembre del 2018 la Cia ha concluso che il mandante di quell’omicidio è il principe Mohammad bin Salman (nella foto) che con il pallone italiano persevera nel lavaggio della sua credibilità agli occhi del mondo.

La Supercoppa italiana si è giocata ieri sera in trasferta su un campo con più soldi che erba nel cuore dell’Arabia Saudita

Come ricorda Amnesty ha perso pure Salma al-Shehab, madre di due figli, dottoranda dell’Università di Leeds, attivista per i diritti delle donne, che ha appena terminato il terzo anno in carcere. Ne dovrà passare altri 24 dietro le sbarre per avere scritto dei tweet sgraditi al governo. Ha perso anche Muhammad al-Ghamdi, condannato a morte per “uso dei profili social per seguire e promuovere utenti che cercano di destabilizzare l’ordine pubblico” con un profilo X che conta 10 follower e da cui aveva pubblicato 5 post.

Ha perso la promessa del principe bin Salman di invertire la rotta sulla pena di morte. Promessa non mantenuta: sono 1.250 le esecuzioni, tra cui anche quelle nei confronti di bambini. Ha perso la dignità dell’Italia che insieme all’Occidente vorrebbe essere vessillo del diritto internazionale e invece si svende al miglior offerente. Perde il mondo del calcio che si propone come veicolo di valori e poi si mostra servile appena sente l’odore dei soldi. Perdono i tifosi che devono intingersi nel sangue per seguire la squadra del cuore. E perdono tutti coloro che non vorrebbero essere complici.

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Gaza: cosa accade lì fuori

Come scrive Davide Frattini per il Corriere della Sera in Israele “i famigliari degli ostaggi ancora tenuti a Gaza capiscono ormai che l’obiettivo di sradicare Hamas è in contrasto con la liberazione del centinaio di prigionieri”. 

La zia di due ragazzini rilasciati a fine novembre da Hamas (con il padre ancora in ostaggio), Noam Dam, in televisione spiega che dovrebbe dimettersi Netanyahu con tutto il suo governo poiché il presidente israeliano ha dato ordine di sparare sul commando che ha rapito un soldato a costo della vita dell’ostaggio. Di fronte alla villa del presidente israeliano si moltiplicano le tende dei famigliari e dei cittadini che protestano. 

Le vittime a Gaza hanno superato la soglia dei 25mila. Secondo il Wall Street Journal Usa, Qatar e Egitto spingono per accelerare i negoziati con un piano che prevederebbe l’avvio di un cessate il fuoco, il rilascio di tutti gli ostaggi civili in cambio di centinaia di detenuti palestinesi in Israele e un lento ritiro delle forze israeliane dalla Striscia. Il premer spagnolo Pedro Sánchez chiede un “cessate il fuoco permanente” che tradotto significa la fine di questa inutile guerra. Sánchez ha detto che “ovviamente” i socialisti condannano “i terribili attacchi” di Hamas contro Israele, ma “con la stessa determinazione” ha chiesto a Netanyahu di cessare completamente i bombardamenti e di consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, convocando una conferenza di pace. 

Guardando lì fuori il nostro Paese appare immerso in un dibattito fuori dal tempo. 

Buon lunedì. 

Nella foto: Gaza, frame di un video Reuters, 14 gennaio 2024

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Una piccola storia ignobile sul Teatro di Roma

A Roma si è riunito un consiglio di amministrazione senza il suo presidente e senza la consigliera del socio di maggioranza per decidere di nominare un direttore. In qualsiasi campo, in qualsiasi azienda, una riunione carbonara con il favore delle tenebre convocata per nominare un direttore generale sarebbe una schifezza. Che a farlo siano le pubbliche istituzioni e un governo ossessionato dall’occupazione militare dei luoghi culturali del Paese è perfino preoccupante.

La nomina del nuovo direttore generale del Teatro di Roma, commissariato nel novembre 2021, ha fatto insorgere il Campidoglio

Con queste modalità è stato nominato il nuovo direttore generale del Teatro di Roma, commissariato nel novembre 2021. La scelta ha fatto insorgere il Campidoglio, che contesta la mossa dei consiglieri di amministrazione nominati due mesi fa dal ministero della Cultura e dalla Regione Lazio, entrambi guidati dalla destra. Per il sindaco Roberto Gualtieri si tratta di un “inquietante segnale”, mentre l’assessore comunale alla Cultura, Miguel Gotor, definisce senza mezzi termini la riunione come “un incontro abusivo”.

Il Cda della Fondazione – che amministra l’Argentina, il Torlonia, l’India e a breve anche il Valle – si è riunito sabato mattina, senza che ci fossero il presidente Francesco Siciliano e la consigliera del Comune di Roma Natalia di Iorio. Il Comune di Roma contribuisce alla Fondazione con 6 milioni e mezzo di euro mentre la Regione Lazio con 1,1 milioni di euro. Quelli che governano però evidentemente si sentono protetti dal potere. Quindi non contano le proporzioni, non contano i numeri, conta solo accumulare posti oltre al potere.

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