Non usa mezzi termini Claudio Fava dopo la convocazione a Palazzo San Macuto dei magistrati di Viterbo titolari dell’inchiesta sulla morte dell’urologo Attilio Manca: il vicepresidente dell’Antimafia parla di “sciatterie giudiziarie”, di “superficialità”, e di “pregiudizi negativi” nei confronti della vittima, ma non vuole immaginare complotti, almeno ufficialmente, “per evitare di allontanarci dalla verità”. Stiamo ai fatti, dice Fava. “Ci sono due certezze: la prima è che questa inchiesta è stata fatta male, la seconda è che a Barcellona Pozzo di Gotto (città di origine di Attilio Manca, ndr.) qualcuno mente”.
Qual è l’impressione finale dopo aver ascoltato i magistrati?
“Non è una magnifica impressione. Questa inchiesta è stata gestita con eccessiva sufficienza. Non è un caso che buona parte delle attività istruttorie siano state ripetute, o siano state fatte per la prima volta soltanto su sollecitazione del Gip. Mi è sembrato (e questa la cosa più preoccupante) che ci fosse un pregiudizio negativo addirittura nei confronti della vittima, nel senso che non si riescono ad immaginare ipotesi diverse dalla morte accidentale per overdose. Di fronte ad ogni evidenza, l’atteggiamento di questi magistrati è stato quello di spazzare via il beneficio del dubbio con sufficienza, come per dire: era un tossicodipendente occasionale, ma no, forse era un consumatore frequente, il naso si è fracassato cadendo sul letto, probabilmente perché è stato in posizione supina per molte ore, insomma molte cose di fronte alle quali chiunque si sarebbe fermato un attimo a ragionare”.
Crede che dietro alla morte di Attilio Manca ci sia qualcosa di grosso?
“Attilio Manca non è morto per un’overdose accidentale. E’ un omicidio organizzato con pignola attenzione anche nei dettagli. Credo che Manca si sia trovato coinvolto, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vicenda che ha riguardato l’operazione e le cure post operatorie prestate a Provenzano per il tumore alla prostata, e che per questa ragione sia stato ucciso”.
Non è eccessivo che i magistrati di Viterbo – durante l’audizione in Commissione antimafia – abbiano bollato Attilio Manca come un drogato, attribuendo questo termine alla madre che, cinque giorni dopo la morte del figlio, dichiarò a verbale che Attilio, negli anni del liceo, ‘’si era fatto qualche canna’’? La Polizia, invece di scrivere marijuana, scrisse “stupefacenti”, creando da quel momento l’equivoco che Attilio Manca fosse un tossico…
“In Commissione i magistrati hanno citato la deposizione della madre, che ovviamente si riferiva a un periodo studentesco in cui il ragazzo si sarà fatto qualche spinello. Però dicono pure di avere ascoltato alcuni amici d’infanzia di Barcellona, che Attilio Manca avrebbe continuato a frequentare. Secondo costoro, quando il medico scendeva in Sicilia, si ritrovava con loro anche per fare uso di eroina. Tutto questo, però, non ha avuto alcun riscontro. I colleghi laziali di Manca, sentiti sul punto, hanno smentito tutto. Peraltro è praticamente impossibile che un chirurgo possa fare uso di eroina e al tempo stesso entrare in sala operatoria con la stessa abilità di Manca”.
A proposito dei quattro ex “amici” barcellonesi che accusano Attilio Manca di essere un drogato: appartengono al contesto del circolo paramassonico “Corda fratres”, di cui fanno parte, fra gli altri, i boss Rosario Cattafi, uomo di Santapaola e dei servizi segreti deviati, e Giuseppe Gullotti, colui che recapitò a Giovanni Brusca il telecomando della strage di Capaci e che è stato ritenuto dalla Cassazione il mandante dell’assassinio del giornalista Beppe Alfano. Fra questi ex “amici” c’è anche il cugino dell’urologo, tale Ugo Manca (coinvolto in questa storia, la cui posizione è stata archiviata a Viterbo), che risulta vicino alla mafia di Barcellona e al tempo stesso intimo amico dei Colletti bianchi della città.
“In questa indagine non è stato approfondito neanche il contesto criminale di Barcellona. Che vede insieme, in un’unica filiera, Provenzano (che trascorre periodi della sua latitanza proprio in quella città) e Cattafi (che lo ospita), legato a sua volta a Ugo Manca. Non è stata considerata la possibilità di intervenire su quel tessuto di amicizie locali, pilotandole in certe direzioni”.
In che senso?
“La donna romana, considerata dai magistrati di Viterbo come la presunta fornitrice di eroina di Attilio Manca, conduce anche lei a Barcellona. C’è un rapporto dei Ros che mette insieme Provenzano, Barcellona e Cattafi, il quale, ripeto, frequentava Ugo Manca. La cosa sbalorditiva è che i magistrati di Viterbo dicono di non conoscere neanche questo rapporto. Stessa cosa della permanenza di Provenzano a Barcellona. L’unica cosa che dicono di sapere è che Provenzano non può essere stato operato da Manca perché l’intervento non sarebbe stato eseguito in laparoscopia, tecnica nella quale era specializzato Attilio. La cosa impressionante è che sono apparsi informatissimi su alcuni dettagli e particolarmente disinformati sulla dimensione criminale di Provenzano in relazione a Barcellona”.
La famiglia Manca, in tutti questi anni, neanche è stata ascoltata dai magistrati laziali.
“Trovo davvero singolare che la famiglia non sia stata ammessa neanche come parte civile al processo, così come trovo singolare che non siano stati sentiti il padre, la madre e il fratello di Attilio. Ci si è affidati a qualche interrogatorio a distanza, condotto al Commissariato di Barcellona. Penso che sia naturale, in casi del genere, per un pubblico ministero ascoltare un genitore. Non è stato fatto neanche questo”.
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