È un caso minimo ma è emblematico. Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna che si ritrova ancora sotto il processo accusato dl regime di Al-sisi, dopo avere passato quasi due anni in carcerazione preventiva, ovviamente non avendo nemmeno la possibilità di difendersi come si conviene al regime egiziano, si è ritrovato sommerso in una discussione calcistica con alcuni tifosi di calcio.
Fin qui nulla di strano visto che in Italia il pallone è l’oppio dei popoli e visto che gli italiani, come disse Churchill, perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio. Zaki, tifoso del Bologna, ha contestato l’arbitraggio nella partita della sua squadra contro la Juventus e ha scritto (piuttosto incautamente) di una presunta corruzione da parte dei bianconeri.
Patrick Zaki sommerso da odio per un tweet sulla Juventus
Ma la vicenda calcistica ci interessa poco, in questo momento in cui questioni molto più importanti e orrori drammatici riempiono le cronache. Vale la pena notare però che tra i commenti di tifosi arrabbiati ci siano persone che augurano a Zaki di tornare in galera, di finire sotto le grinfie di Al-sisi, fino alle immancabili minacce di morte.
Vero e proprio odio verso una persona non ancora libera, dopo mesi in cui non ha avuto diritto di difesa e di parola, che improvvisamente si merita tutto ciò che gli è accaduto per una frase scritta su twitter, come se i diritti, la libertà e le sofferenze fossero valori negoziabili o addirittura negabili per antipatia personale. Accade che per difendere ciò che tifiamo siamo disposti persino a rendere universale un nostro minuscolo dissidio da cortile e rimpicciolire i mali del mondo.
Non solo non c’è misura (tenere il senso della misura nel dibattito pubblico ormai è una virtù che avvicina alla santità) ma addirittura si perdono di vista gli ideali per cui si è combattuto fino a qualche secondo prima, poiché sono sicuro che tra quegli juventini incazzati ci sia qualcuno che a Zaki ha espresso nei mesi scorsi la sua solidarietà.
Anche la guerra tra Russia e Ucraina viene usata come manganello contro i propri avversari
Questo è il veleno tossico di questo tempo, in cui assistiamo da più parti al piegare la realtà per compiere le proprie vendette personali: siamo nell’epoca in cui l’invasione dell’Ucraina non viene usata dibattere sulla soluzione migliore ma per manganellare il nostro minuscolo nemico. Accade così che i morti servano per sputare sul giornale concorrente, sul politico avversario oppure siano fruste da sbattere in faccia all’intellettuale che si aspettava ardentemente di punire.
Solo che perdere il senso delle proporzioni è il cedimento più irresponsabile e immorale che possa accadere in un Paese sotto stress per la pandemia prima e una guerra dopo. So che viene difficile provare a rimanere alti mentre dai cunicoli arriva il frastuono delle sberle ma la lucidità è un dovere, ancor di più della classe dirigente di un Paese. Provate a filtrare le voci di questi giorni lasciando fuori i tifosi forsennati. Ne rimangono pochissime. E militarizzare un dibattito (per di più su una guerra) e quanto di più populista possa capitarci.
(per La Notizia)