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Patto Italia-Albania, la grande balla delle toghe politicizzate

L’idea che i giudici italiani stiano “bloccando” i rimpatri dei migranti in Albania è un esempio di fake news che distorce il dibattito pubblico, accusando la magistratura di ostruzionismo. Vitalba Azzollini, in un’analisi per Pagella Politica, ha smontato questo equivoco spiegando come non vi sia alcun blocco intenzionale. I giudici, semplicemente, applicano la legge, verificando che i rimpatri rispettino i principi giuridici nazionali e internazionali, a tutela dei diritti fondamentali.

Il ruolo dei giudici e il principio di non-refoulement

Il principio di “non-refoulement”, stabilito dalla Convenzione di Ginevra e ripreso nell’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, vieta agli Stati di espellere chiunque verso paesi dove rischi tortura o trattamenti degradanti. Questo vincolo è fondamentale nel diritto europeo e impedisce espulsioni sommarie, come ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) nel caso *Hirsi Jamaa contro Italia*. In quell’occasione, la Corte aveva sancito che l’Italia non poteva rimpatriare migranti senza valutare le loro situazioni individuali.

Azzollini chiarisce che i giudici non agiscono “contro” il governo, ma nel pieno rispetto del proprio ruolo di garanti della legalità. In base agli articoli 2 e 13 della Costituzione, che tutelano i diritti inviolabili e la libertà personale, è loro obbligo accertare che il trasferimento di persone verso l’Albania non violi tali principi. Ogni rimpatrio, infatti, deve rispettare i diritti fondamentali: non è una scelta, ma una condizione giuridica imprescindibile.

Il diritto dell’Unione europea, attraverso la Direttiva 2008/115/CE, prevede garanzie specifiche per i rimpatri, come il diritto a un ricorso effettivo e il rispetto del principio di non-respingimento. La Corte di giustizia dell’Unione Europea (Cgue), nella sentenza *Jawo* del 2020, ha stabilito che uno Stato non può espellere una persona verso un paese terzo senza verificare le condizioni di sicurezza del luogo di destinazione. Questo vuol dire che, se il governo intende rimpatriare migranti in Albania, deve assicurarsi che quel paese garantisca trattamenti conformi agli standard internazionali.

La direttiva Ue sui rimpatri e la tutela dei diritti fondamentali

L’articolo 10 della Costituzione italiana chiarisce che il diritto d’asilo e la protezione dei diritti umani devono rispettare i trattati internazionali. Questo implica che ogni rimpatrio verso paesi terzi deve essere effettuato nel rispetto delle norme europee e italiane. Se i giudici riscontrano il rischio di violazione dei diritti umani, è loro dovere bloccare i rimpatri. Non è un’opposizione ideologica, ma una garanzia essenziale.

Azzollini sottolinea che la magistratura non si oppone ai rimpatri per convinzione politica, ma svolge il ruolo di “guardiano” della legalità, verificando che ogni azione sia conforme ai trattati internazionali e alle normative UE. L’articolo 111 della Costituzione, che tutela il diritto a un processo giusto, impone che tutte le decisioni siano sottoposte a verifica giuridica.

Sostenere che i giudici “bloccano” i rimpatri è, in realtà, un modo per distrarre l’opinione pubblica dalle vere difficoltà di una politica migratoria che dovrebbe essere rispettosa della dignità umana. Invece di cercare scorciatoie, il governo dovrebbe impegnarsi a rispettare i vincoli giuridici a cui ha aderito. I giudici non “bloccano” i rimpatri per scelta, ma rispettano la legge. Non c’è nulla di ostruzionistico in questo, ma solo la difesa del rispetto delle normative. Forse conviene staccare per un po’ dalla propaganda e rimettersi a studiare. Soprattutto da parte di chi scrive leggi che si rivelano illegali ancora prima di entrare in vigore. 

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