Io vorrei che per un attimo dimenticassimo gli attori in scena, un processo di anonimato per entrare nel senso delle cose che accadono in queste ore a Roma: un partito politico x candida un proprio esponente (fondatore del partito, tra l’altro) alla guida della capitale del Paese. Facciamo anche che non sia Roma e non sia in Italia, non è importante. Questo nostro signor Nessuno diventa sindaco e, poco dopo, si ritrova nel bel mezzo di un verminaio in cui escono anni di corrotti e corruttori, tra cui anche autorevoli membri del suo partito x. Ad un certo punto (succede nei Paesi in cui la politica crede che la stampa sia l’opinione pubblica) la situazione precipita e il partito x per non perdere la faccia chiede al sindaco di dimettersi per alcune sue leggerezze che stanno al sistema criminale tutto intorno come la particella di sodio nella bottiglia d’acqua. Il sindaco Nessuno chiede al partito x: “esattamente mi dite perché mi dovrei dimettere?”. E cosa fa il (suo) partito? Studia il modo per portarsi via il pallone chiedendo ai suoi consiglieri comunali di dimettersi e, siccome non bastano, racimolandone altri in giro.
Ecco: se gli interpreti fossero Berlusconi o Forza Italia ci sarebbero girotondi scodinzolanti che urlerebbero al “colpo di stato”, se fossero Grillo e Casaleggio con un Pizzarotti qualsiasi suonerebbero le trombe degli editorialisti sempre pronti a sentire puzza di fascismo (degli altri) e invece succede ai democraticissimi del Partito Democratico e allora tutti allineati a gridare allo scandalo del sindaco che non mantiene la parola e intanto ovviamente non rispondono alla domanda. Ma perché si sono spente le antenne critiche dei processi politici?
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