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Perché l’intesa con il Ruanda sui minerali critici ci mette in discussione come europei- Lettera43

Il conto del memorandum siglato dall’Ue rischia di pagarlo la RD del Congo. Kigali è accusata di contrabbando di materie prime e di finanziare le milizie ribelli M23 che insanguinano il Paese. Bruxelles si limita a chiedere alle industrie estrattive maggiore trasparenza. Chi dovrebbe essere controllato diventa così controllore. Per la transizione energetica noi europei siamo davvero disposti a ignorare diritti e principi?

Perché l’intesa con il Ruanda sui minerali critici ci mette in discussione come europei

L’Europa ha fame. Una fame vorace e cieca che divora principi, valori e vite umane con la stessa nonchalance con cui si mangia un croissant a colazione. Il piatto del giorno? Minerali. Quelli che servono per smartphone e auto elettriche. Il conto? Lo paga la Repubblica democratica del Congo, con il sangue. L’accordo sui minerali strategici siglato lo scorso 19 febbraio dall’Ue con il Ruanda solleva questioni molto serie sulle responsabilità di Bruxelles nel conflitto che insanguina il Paese. Nonostante se ne parli poco.

L’accordo Ue-Ruanda rischia di fornire una copertura legale per il traffico di “minerali di conflitto” dal Congo

La regione dei Grandi Laghi, ricca di risorse minerarie essenziali per le tecnologie verdi e l’elettronica, è teatro di una crisi umanitaria che ha causato 6 milioni di morti e 7 milioni di sfollati negli ultimi decenni. Proprio in questo contesto, l‘intesa Ue-Ruanda si configura come una mossa geopolitica potenzialmente destabilizzante. Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha espresso forte disapprovazione, definendo l’accordo «una provocazione di pessimo gusto». La sua reazione riflette una preoccupazione diffusa: il Ruanda, partner dell’Ue in questo accordo, è accusato di sostenere attivamente le milizie ribelli M23, protagoniste di una sanguinosa insurrezione nell’est della Rd del Congo. Gli eventi successivi alla firma dell’accordo sembrano confermare questi timori. L’M23 ha esteso il proprio controllo sulle risorse minerarie della regione, occupando a fine aprile Rubaya, un importante centro minerario vicino al confine orientale della Rd del Congo. Sebbene un portavoce delle milizie abbia negato l’interesse del gruppo per le riserve di coltan dell’area, gli esperti rimangono scettici. Il nodo centrale della questione è il contrabbando di minerali. Secondo dati Onu citati dal Dipartimento di Stato Usa, il Ruanda esporta più minerali di quanti ne estragga, e questo solleva seri dubbi sulla provenienza di queste risorse. L’accordo Ue-Ruanda rischia di fornire una copertura legale per il traffico di “minerali di conflitto” dal Congo.

Perché l'intesa con il Ruanda sui minerali critici ci mette in discussione come europei
Donne congolesi contro l’accordo siglato tra Ue e Ruanda (Getty Images).

Bruxelles pare disposta a mettere l’accesso alle risorse al di sopra dei diritti umani

L’Europa dal canto suo difende l’accordo sostenendo che miri a promuovere filiere sostenibili e responsabili. Un funzionario Ue, parlando in condizione di anonimato nei giorni scorsi a Politico, ha dichiarato che l’intesa punta a «favorire il cambiamento sul terreno». Tuttavia, queste rassicurazioni non sembrano sufficienti a placare le critiche. Emmanuel Umpula Nkumba, direttore esecutivo di African Natural Resources Watch, lo dice chiaramente: l’Ue sembra disposta a mettere l’accesso alle risorse minerarie al di sopra dei principi dei diritti umani. Questa percezione ne mina la credibilità come attore globale impegnato nella promozione della pace e dei diritti fondamentali. L’accordo si inserisce in un contesto più ampio di competizione geopolitica. L’Ue sta cercando di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento di minerali critici, in una corsa che la vede contrapposta alla Cina. Pechino mantiene già stretti legami con il Congo e controlla vaste parti del suo settore minerario. Ma quanta democrazia è sacrificabile in questa lotta? Il ruolo del presidente ruandese Paul Kagame è centrale in questa vicenda. Rieletto per un quarto mandato con il 99 per cento dei voti in elezioni altamente controllate (roba da fare impallidire gli autocrati più duri in giro per il mondo), Kagame ha ammesso che il suo Paese è diventato una rotta di transito per i minerali estratti artigianalmente e semi-industrialmente dal Congo. Nonostante le ripetute smentite di Kigali, un rapporto delle Nazioni Unite accusa direttamente Kagame di sostenere l’M23.

Perché l'intesa con il Ruanda sui minerali critici ci mette in discussione come europei
Il presidente ruandese Paul Kagame (Getty Images).

Come ci procureremo i minerali destinati alla transizione energetica dirà molto di cosa siamo noi europei

E quindi? Per mitigare le critiche, Bruxelles ha chiesto al Ruanda di aderire all’Iniziativa per la Trasparenza delle Industrie Estrattive e di fornire una mappa di tutte le miniere da cui si approvvigiona. Inoltre, l’Ue vuole che il Ruanda utilizzi strumenti scientifici per verificare l’origine dei minerali. Sembra il gioco delle tre carte: il controllato che diventa controllore per controllarsi da solo. Un film già visto. Attivisti e ricercatori suggeriscono che l’Europa potrebbe esercitare pressioni più efficaci, ad esempio condizionando gli aiuti allo sviluppo, considerando che l’Unione è uno dei maggiori donatori del Ruanda. Guillaume de Brier, ricercatore presso l’International Peace Information Service, sottolinea la necessità di un approccio più ampio, che vada oltre la mera regolamentazione e includa un vero e proprio processo di pace per la regione. Ma l’accordo Ue-Ruanda sui minerali strategici solleva interrogativi cruciali sul ruolo dell’Unione europea in Africa. Mentre Bruxelles cerca di bilanciare interessi economici e principi etici, la situazione nel Congo orientale rimane critica. È possibile perseguire i propri interessi economici senza rinunciare ai principi etici? Questa è la vera domanda. Come ci procureremo i minerali per sostenere la transizione energetica dirà molto di cosa siamo noi, europei.

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