Sembra passato un secolo da quando il Presidente del Consiglio Regionale Davide Boni minacciava querela nei miei confronti per avere detto in studio da Gad Lerner che alcuni personaggi del Consiglio avevano ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Erano gli stessi giorni in cui Formigoni dava del ‘drogato’ a Vendola che aveva ribadito il concetto e lo stesso tempo in cui Ponzoni mi ha avvicinato per riferirmi che mi “sbagliavo di grosso, le indagini sono state prorogate quindi non hanno trovato nulla di consistente” (ma lo sappiamo, nel PDL più la giustizia si allunga e più intravedono la luce della vittoria).
Oggi Ponzoni è in carcere, la ‘ndrangheta ha perso il proprio “capitale sociale” (ma l’aveva già mollato da tempo, sulla puzza di politicamente morto le mafie hanno sempre avuto l’occhio lungo) e a pensarci bene il ‘drogato’ è sempre da quelle parti.
Oggi i giornali titolano con articoli che sono gli stessi di un’era fa, scrivono di abitudini brianzole che sono state denunciate e raccontate nei circoli, nei libri e tra i comitati; e una Lombardia alle prese con il San Raffaele (e Santa Rita) nella sanità, con l’affare Nicoli Cristiani (dirigente dell’Arpa incluso) nel mondo delle discariche e dell’ambiente, con il caso Minetti nel campo etico della paraprostituzione, con un listino presentato con firme false e il “sistema Sesto” come ombra nel candidato presidente dell’opposizione è una Lombardia che ha svenduto la credibilità arroccata in autodifesa. Formigoni parla di ‘caso personale’. E forse ha ragione. Suo e in ricaduta di ogni cittadino lombardo.
Perché se non è stata la politica a scegliere allora piuttosto che le dimissioni in Regione Lombardia sarebbe il caso di parlare di scioglimento. Per il bene di tutti. Quello comune. Appunto.