Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il famoso Pnrr, continua a essere al centro del dibattito politico ed economico italiano. Ma quanto realmente inciderà sulla crescita del nostro Paese? Le stime del governo contenute nel Documento di economia e finanza (Def) sono state recentemente messe in discussione dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), l’organismo indipendente che vigila sui conti pubblici.
Come riporta un’analisi di Pagella Politica, l’Upb ha pubblicato il 1° agosto una nota sulla congiuntura economica contenente una valutazione aggiornata dell’impatto del Pnrr sull’economia italiana. Le cifre presentate dall’Upb dipingono un quadro meno roseo rispetto a quello tracciato dal governo Meloni nel Def dello scorso aprile.
L’analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio: stime più caute
Secondo l’Upb, nei primi tre anni di attuazione del piano (2021-2023) “gli impatti del Pnrr sull’economia italiana sono moderati”, contribuendo per “un paio di decimi di punto percentuale in media sulla crescita annua”. In altre parole, in ciascuno di questi tre anni il Pnrr avrebbe contribuito alla crescita con uno 0,2% in media.
Le cose dovrebbero migliorare nei successivi tre anni (2024-2026), quando “gli impatti medi sulla variazione annuale si rafforzano, tra i sette e gli otto decimi di punto”. L’Upb stima che nel 2026, ultimo anno di attuazione del piano, “l’effetto complessivo sul livello del Pil sarebbe maggiore del 2,9 per cento rispetto allo scenario di base, ossia al livello del Pil che si sarebbe realizzato in assenza del piano”.
Queste stime sono decisamente più caute rispetto a quelle contenute nel Def del governo. Il documento governativo, infatti, prevede che nel 2026 il Pil italiano sarà più alto del 3,4% grazie al Pnrr. Una differenza apparentemente piccola, ma che in termini assoluti si traduce in miliardi di euro.
Ma non è solo questa discrepanza a destare attenzione. Il Def stima un contributo crescente del Pnrr alla crescita del Pil: dallo 0,2% del 2021 si passa allo 0,1% del 2022, per poi salire allo 0,4% nel 2023, allo 0,9% nel 2024, all’1% nel 2025 e allo 0,8% nel 2026.
Particolarmente ottimistica appare la previsione per il 2024: secondo il Def, il 90% della crescita prevista per quest’anno (stimata all’1%) dipenderebbe dalla corretta attuazione del Piano. Un’affermazione che sembra quasi una scommessa, considerando che, come riporta Pagella Politica, “dal 1° gennaio al 17 luglio 2024 sono stati spesi meno di 10 miliardi di euro del Pnrr: entro fine anno ne vanno spesi altri 33 miliardi”.
Le stime del governo non si fermano qui. Nel Def si legge anche che “l’effetto delle riforme possa generare un incremento del Pil del 5,6 per cento al 2030 e di circa il 10 per cento nel lungo termine”. Numeri che hanno fatto alzare più di un sopracciglio tra gli esperti.
Differenze tra le previsioni del governo e dell’Upb
Gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, nel loro libro “Pnrr: La grande abbuffata”, definiscono questi effetti stimati “semplicemente pazzeschi”. Secondo i due studiosi, l’operazione di stima fatta dal ministero è un’”impresa di per sé eroica, perché non conosciamo metodologie attendibili per stimare gli effetti di tali riforme, e l’incertezza statistica è ancora maggiore che nel caso degli investimenti”.
Boeri e Perotti sottolineano come, seguendo le tabelle del Def, “nel 2026 queste riforme porterebbero a un Pil più alto di 70 miliardi, e nel ‘lungo periodo’ (oltre il 2030) di altri… 200 miliardi all’anno (!)”. Se a questa cifra si aggiungono i benefici generati dagli investimenti del Pnrr, si raggiunge un valore che i due economisti definiscono “poco credibile”.
In questo scenario di stime contrastanti e previsioni ardite, l’analisi dell’Upb sembra offrire un approccio più cauto e realistico. Resta da vedere se il governo sarà in grado di raggiungere anche solo gli obiettivi più modesti delineati dall’Ufficio parlamentare di bilancio, considerando i ritardi e le difficoltà che già si stanno manifestando nell’attuazione del Piano. Continuare a ripetere che tutto va bene non basterà.
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