Negli ultimi due anni 722 tra le più grandi imprese del mondo hanno realizzato, in media, quasi 1.000 miliardi di dollari di extraprofitti all’anno, mentre i prezzi di beni di consumo, cibo ed energia schizzavano alle stelle assieme ai tassi di interesse, con un impatto devastante sul costo della vita per miliardi di persone in tutto il mondo. A rivelarlo è una nuova analisi di Oxfam e ActionAid, che ha passato in rassegna le compagnie della classifica “Global 2000” di Forbes, valutandone gli extraprofitti realizzati nel 2021-22.
Considerando i dati per gli specifici settori dell’economia, l’analisi rivela come 45 società energetiche abbiano realizzato, in media nel biennio 2021-2022, 237 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso. Ebbene, se i governi avessero tassato al 90% gli extraprofitti realizzati dagli operatori nel settore dei combustili fossili e riversati ai ricchi azionisti,avrebbero avuto risorse sufficienti per aumentare del 31% gli investimenti globali in energia prodotta da fonti rinnovabili. Oggi, al contrario, nel mondo ci sono 96 miliardari che hanno costruito le proprie fortune grazie ai combustibili fossili e possono vantare un patrimonio complessivo di quasi 432 miliardi di dollari (50 miliardi in più rispetto all’aprile dello scorso anno).
Anche le multinazionali del comparto alimentare, le banche, le maggiori aziende farmaceutiche e i principali rivenditori al dettaglio hanno visto migliorare le proprie posizioni durante la crisi inflattiva, che ha visto portate alla fame 250 milioni di persone in 58 Paesi. Nel settore food and beverage 18 colossi hanno realizzato, in media nel biennio 2021-2022, oltre 14 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti. Una cifra equivalente a oltre due volte il gap di finanziamento di 6,4 miliardi di dollari indispensabile per fronteggiare la tremenda crisi alimentare che in Africa orientale – tra Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan – rischia di far morire per fame 1 persona ogni 28 secondi nei prossimi mesi, a fronte anche del drastico aumento, di oltre il 14%, dei prezzi dei prodotti alimentari a livello globale nel 2022.
Nel comparto farmaceutico 28 grandi imprese hanno totalizzato, 47 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti, mentre 42 grandi rivenditori al dettaglio e catene di supermercati hanno registrato utili in eccesso per 28 miliardi di dollari all’anno, in media nel biennio 2021-2022. Nove tra le più grandi società del settore aerospaziale e della difesa hanno realizzato 8 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso in media nell’ultimo biennio, mentre 9.000 persone muoiono ogni giorno di fame, in gran parte a causa di conflitti e guerre. Il “problema profitti” sta emergendo prepotentemente nell’attuale crisi inflattiva, soprattutto nel contesto europeo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’aumento dei profitti spiega il 45% dell’aumento dei prezzi in Europa nel 2022. Autorevoli figure istituzionali, come la presidente della BCE, Christine Lagarde, si sono anche spinti a paventare il rischio di una greedflation o “inflazione da avidità”. Un termine che indica il tentativo di alcune imprese di ottenere opportunisticamente un vantaggio dall’inflazione, incrementando i prezzi ben oltre i costi di produzione senza che ciò sorprenda i consumatori vista l’inflazione generale.
“Che si tratti di avidità o meno, la questione di fondo è che le imprese sono comunque riuscite a traslare integralmente l’aumento dei costi sui prezzi”, ha detto Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale e lotta alle disuguaglianze di Oxfam Italia. E ha spiegato: “Se in aggregato la profittabilità delle imprese si sta anche rivelando costante, mostrando una incredibile resilienza, le imprese più grandi, in non pochi settori, beneficiando di situazioni di monopolio e dell’aumento della domanda, hanno visto un considerevole aumento dei margini. È innegabile che i profitti siano oggi i veri vincitori nel conflitto distributivo, mentre i salari – che cambiano meno in fretta dei prezzi, riflettendo i ritardi nei rinnovi e la debolezza contrattuale dei lavoratori – sono tra i perdenti. L’esito – conclude Maslennikov- è profondamente iniquo con una sola categoria, i lavoratori, lasciata a sostenere il peso della crisi del caro-prezzi. Ed è anche profondamente inefficiente, visto che i salari alimentano la domanda di beni e servizi delle stesse imprese”.
Secondo le stime di Oxfam, 1 miliardo di lavoratori in 50 Paesi ha subito una riduzione media della retribuzione di 685 dollari nel 2022, con una contrazione complessiva, in termini reali, di 746 miliardi di dollari della massa salariale. Non tutti i “lavoratori” hanno visto ridursi il proprio salario nel mezzo della crisi inflattiva: nel 2022 gli amministratori delegati più pagati di quattro Paesi (India, Regno Unito, Stati Uniti e Sudafrica) hanno visto crescere i propri emolumenti del 9% in termini reali, mentre i salari dei lavoratori sono diminuiti del 3%. In Italia sempre nel 2022 la caduta dei salari reali ha raggiunto il 7,6%.
Buon venerdì.