Doveva testimoniare al processo di Mafia Capitale, ma non si è presentato. Per due volte. La prima volta dicendo di avere disturbi gastroinestinali, la seconda senza giustificazione. Così i carabinieri sono andati a prelevarlo, come si dice in gergo, e lo hanno portato a piazzale Clodio. Chi? Uno sgherro di Massimo Carminati? Un funzionario di secondo piano di una delle coop che facevano capo a Salvatore Buzzi? No, Fabrizio Panecaldo, ex capogruppo del Pd all’assemblea capitolina, il consiglio comunale di Roma.
A disporre l’accompagnamento coattivo dell’ex eletto del Partito democratico erano stati i giudici della X sezione penale del tribunale di Roma, presieduta da Rosanna Ianniello, che aveva avuto già i suoi problemi con la testimonianza di un’altra esponente del Pd, la deputata Micaela Campana, che aveva messo insieme in una sola testimonianza 39 “non ricordo”. Una decisione presa il 25 ottobre quando Panecaldo era stato citato come testimone ma non era comparso nell’aula bunker di Rebibbia. All’udienza precedente Panecaldo aveva invece disertato adducendo con un certificato problemi di salute (“sindrome parainfluenzale con disturbi gastrointestinali”, ricorda Il Messaggero). Panecaldo si è scusato con il tribunale e con le parti per non essersi presentato nelle due udienze precedenti. A volere la testimonianza di Panecaldo sono stati Valentina Panvini e Pier Gerardo Santoro, legali di due imputati, Giordano Tredicine (ex consigliere comunale del Pdl) e Salvatore Buzzi, guida della Coop 29 giugno e ritenuto capo dell’associazione finita a processo.
Era stato proprio Buzzi in una telefonata con la compagna, Alessandra Garrone, aveva definito Panecaldo una “mucca da mungere“. “Panecaldo – si sente nell’intercettazione – me faceva: ‘Ah a me non me dà niente?’ Allora gl’ho detto… ‘Lo sai il proverbio ‘La mucca tu la devi mungere ma gli devi da’ da mangia’. Tu solo la mungi’. Allora mi fa: ‘Tra un mese e mezzo glie damo da magna’ e tra un mese e mezzo la mungeremo”. Da qui nasce una domanda del pm Luca Tescaroli, cioè se per caso Panecaldo ha mai sollecitato utilità a suo vantaggio. L’ex capogruppo ha risposto di non aver “mai chiesto nulla. Neanche un finanziamento. Eppure sono stato eletto cinque volte in consiglio comunale”.
E’ sempre Buzzi che in un interrogatorio in carcere aveva detto ai magistrati: “Il Pd non lo avevamo mai finanziato così, era famelico. Panecaldo era insistente, mi chiedeva assunzioni”. E, racconta il Messaggero, proprio il capitolo “segnalazioni” è diventato il perno della testimonianza. L’ex consigliere del Pd ne ammette una, “poi basta”. Ma Santoro, l’avvocato di Buzzi, tira fuori un “pacchetto” di messaggini con nomi, numeri di telefono, attitudini: “Patente C e BK”, per esempio. Panecaldo ha risposto così: “Rivendico le mie segnalazioni, non me ne vergogno, non ritengo che siano motivo di biasimo o di reato. Segnalo soprattutto gente che a 50 o più anni si ritrovava senza futuro. E non ho mai chiesto nulla in cambio”. Anche qui, come in altre udienze, è servita una “spinta” della presidente del tribunale, Ianniello: “Prima aveva detto un solo segnalato, ora siamo già a tre. Come mai?”. Risposta: “Sempre senza risultato”.
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