Carlo Rapicavoli propone un’interessante riflessione che da tempo avevamo anticipato e analizziamo nei nostri giri in giro per l’Italia: con la scadenza di queste amministrative otto province rimangono scoperte in un limbo di rappresentatività che riflette il piano nazionale. Otto province commissariate non sia sa bene come per inseguire una cancellazione (che condivido nell’obiettivo) senza modalità chiare.
Un primo risultato è stato raggiunto: nasce una palese disparità nella rappresentanza di alcuni territori.
I cittadini di otto Province – a differenza delle altre – non avranno più una rappresentanza politica portatrice dei loro interessi in tutte le sedi istituzionali, ma saranno rappresentanti da un Commissario – non eletto ma nominato – che non risponde delle proprie scelte agli elettori ma al Ministro dell’Interno che l’ha nominato.
Con quale mandato un commissario potrà decidere se approvare un no ad esempio un piano urbanistico comunale?
Sulla base di quale autorità rappresentativa potrà stabilire le priorità negli investimenti ad esempio su scuole o su viabilità?
Sulle priorità nella destinazione delle risorse? Sulle scelte in merito al futuro assetto istituzionale nei tavoli di coordinamento?
E’ possibile che non ci renda conto del grave vulnus al sistema democratico ed al diritto di elettorato attivo si sta determinando in questo modo?
Era proprio necessario anteporre una decisione di tale portata ad una revisione ponderata di riordino istituzionale e di riassetto delle competenze?
Le domande di Rapicavoli non sono banali e non sono provocazione. E, forse, i tecnici dovrebbero avere le risposte. Che però non sono pervenute.