Gianandrea Gaiani per Il Sole 24 Ore scrive un articolo interessante sulla missione in Niger (che ovviamente non ha trovato il tempo e il modo per passare in Parlamento e così diventa fondamentale provare a sviscerarle grazie alla stampa e per questo forse il giornalismo meriterebbe un po’ di rispetto). Ed è importante capire i rischi di una missione che nonostante si sia già meritata l’etichetta di missione “quasi umanitaria” ha una faccia un po’ diversa:
Le truppe italiane, pare incentrate su un battaglione di paracadutisti, avranno compiti di “contrasto” a jihadisti e trafficanti o solo di addestramento delle truppe nigerine?
In quest’ultimo caso sarà sufficiente schierare il contingente all’aeroporto di Niamey dove vi sono già le basi francese, statunitense e tedesca. Da più parti però si evidenzia che ai militari italiani verrà assegnato il pattugliamento del confine tra Niger e Libia, lungo i 600 chilometri e attraversati da piste che possono essere tenute sotto controllo schierando le truppe nell’avamposto di Madama.
La base francese negli anni ’30 ospitava un fortino della Legione Straniera ed è stata riaperta nel 2015 con la costruzione di una pista d’atterraggio per ospitare 200 soldati di Parigi e un centinaio di nigerini. Lo schieramento in questa base comporterà elevati costi logistici poiché mezzi, rifornimenti, truppe e materiali dovranno giungere per via aerea. Inoltre pattugliare quest’area desertica significa effettuare operazioni di contrasto a jihadisti e trafficanti che non possono escludere azioni di combattimento.
Anzi, la presenza di militari “infedeli” sul suolo islamico rischia di attirare i jihadisti che potrebbero colpire le forze italiane con attentati, attacchi con razzi e mortai alla base Madama e con mine e ordigni stradali disseminati sulle piste battute dai veicoli italiani.
In questo contesto per assicurare le necessarie autonomie al contingente occorrerebbero una decina di elicotteri da attacco e trasporto, almeno un paio di aerei cargo, mortai, forze speciali, radar controfuoco e un ospedale da campo: cioè quasi un migliaio di militari con un costo della missione superiore ai 150 milioni annui, compensato con il ritiro di due terzi dei 1.400 militari in Iraq (con aerei ed elicotteri) e la leggera riduzione dei 900 militari in Afghanistan.
Lo scopo dello schieramento a Madama è bloccare i flussi di immigrati illegali che da Agadez muovono verso la Libia ma in un’area così vasta non sarebbe difficile per i trafficanti aggirare il dispositivo italiano sconfinando in Algeria per entrare in Libia a Sud di Ghat.
Per bloccare i flussi migratori illeciti non c’è bisogno di schierare truppe in Niger: sarebbe sufficiente consegnare alla Guardia costiera libica (che l’Italia finanzia, addestra ed equipaggia) i migranti illegali soccorsi nel Mediterraneo dalle flotte italiane e Ue per affidarne il rimpatrio alle agenzie dell’Onu.
Sempre a proposito di rischi vale anche la pena leggere Joan O’Grady su The Atlantic che racconta di un’imboscata ai danni dei militari USA in Niger, nei pressi della cittadina di Tongo, lo scorso 4 ottobre. Ci sono voluti 12 giorni perché il presidente Trump riconoscesse la morte di quattro soldati USA (ne scrive il Washington Post qui) e ancora oggi quei quattro morti non sono bastati per avere trasparenza sulle operazioni militari in Niger.
Tanto per capire dove ci stiamo andando a infilare.