(editoriale scritto per I SICILIANI, il numero di marzo è scaricabile qui)
Abbiamo perso l’esercizio del senso dell’opportunità. L’abbiamo lasciata in qualche vecchio cassetto o forse l’abbiamo sempre lì appoggiata sulla solita mensola ma ci siamo dimenticati come si usa, abbiamo perso le istruzioni. Gli ultimi arresti e le cicliche maxi operazioni hanno soffiato sull’indignazione e su un molle senso di allarme generale sulle mafie ma in qualche caso sembrano avere dato inizio ad un’erezione passeggera.
In Lombardia c’è in agenda un’iniziativa antimafia al giorno: è una bella abitudine di questi tempi, roba da fregarsi le mani rispetto ai prefetti che ne negano l’esistenza o ai sindaci che balbettano imbarazzati parlando flebilmente di presunte, possibili, circostanziate possibilità di infiltrazioni future.
Eppure le mafie qui su sono una cosa a sé: un mostro un po’ peloso che ha bisogno di essere raccontato perché faccia meno paura. E mentre ci si convince di compierne l’analisi si finisce per sublimarlo, così la pulsione aggressiva sparisce e la criminalità organizzata diventa un buon tema per le disquisizioni padanamente saccenti davanti al thé.
Quando qualcuno alza la voce e tira fuori questa vecchia storia dell’opportunità invece viene zittito come si zittiscono i molestatori. L’opportunità – ci dicono – è sancita dalla magistratura, niente tribunali del popolo – inorridiscono, sono sensibili – e niente teoremi! E così il senso di opportunità e del limite del tollerabile diventa il chiodo fisso di pochi rimestatori torbidi e esce dal dibattito pubblico. Senza nemmeno essere arrivato al tavolino del thé.
Oggi la Lombardia è ferita dalla ‘ndrangheta, ossessionata dall’avere i boss sullo stesso pianerottolo ma analfabeta: analfabeta nei modi, nei tempi, nelle meccaniche delle collusioni e nel coraggio. Celebra l’avvocato Ambrosoli ammazzato dal sicario di Sindona ma non invita il figlio Ambrosoli alla commemorazione del padre: si è permesso di raccontare che l’opportunità di una Regione con più indagati che idee ed è stato inopportuno. Lui. Bisogna parlarne ma non superare il confine, contenersi in una buona educazione che si limiti per i più coraggiosi a riportare le notizie giudiziarie. Bisogna imparare in fretta il bon ton dell’antimafia lombarda come la vorrebbe la politica: tanti boss, qualche morto ammazzato per rendere truce la scenografia e al massimo qualche assessore di un paesino piccolo piccolo. Non un centimetro in più.
Diceva Paolo Borsellino che la mafia ha bisogno della politica e bisogna riconoscerne le zone d’ombra ma si è dimenticato di fare l’appello di chi si fosse reso disponibile a farlo. Poi non è importante che il riciclaggio giù al nord, la corruzione e la privatizzazione incessante delle regole siano il giaciglio perfetto per l’onnivora ‘ndrangheta che ridisegna le economie e i territori, sembra che non sia importante che le ultime indagini ci dicano che la merda sotto terra per qualche centesimo al chilo sia sotto le autostrade che porteranno a Expo, non importa che Lea Garofalo sia stata uccisa in pieno giorno in centro a Milano o che brucino i beni confiscati: la mafia qui è un alieno atterrato tra i civili. Ma i civili sono innocenti. Altrimenti che civili padani sarebbero?