di Francesca Coin
Circondato da guardie del corpo e accolto da una folla di giovani alla ricerca concitata di un autografo, Renzi è arrivato ieri alla Luiss, l’università di Confindustria come una popstar degli anni Ottanta, una di quelle per cui le fan gridavano e si strappavano i capelli, un po’ come in quel film di Carlo Cotti, Sposerò Simon Le Bon. A guardarlo bene quel teatrino surreale non mancava di mettere una certa tristezza. Manzoni, la buona scuola e l’azzeccagarbugli, una mescolanza di argomenti privi di alcun nesso logico, tenuti insieme solo dagli occhi sedotti di una platea imbonita e dalla boria di chi parlava, mentre ad altri non rimaneva che arrendersi allo spettacolo mesto di Premier che cita mozzichi dei Promessi Sposi quasi fossero l’ultimo libro che ha letto, assaliti dalla realizzazione tragica che la linea di demarcazione tra la politica, la cultura e lo spettacolo è definitivamente venuta a mancare. Teatrini, frasi fatte, risa auto-compiaciute: non è un caso che Renzi abbia scelto la Luiss per farsi applaudire. L’ultima volta che ci ha provato in un’università pubblica, infatti, è stato contestato. Non da tutti, c’è da dire, a rigor del vero: i docenti se ne stavano seduti docili e concilianti in platea, ma gli studenti – cui l’ingresso al Politecnico era negato – dall’esterno chiedevano che se il Premier ne andasse. Così, dopo un discorso fatto ancora una volta di slogan e ritornelli, cultura-coraggio-innovazione, un po’ come i Duran Duran cantavano no-no-notorious, Livio Serra, rappresentante degli studenti, era entrato per offrire al Presidente un cappello da giullare, dicendosi indignato che il Politecnico di Torino si fosse ridotto a fare da “passerella per il Presidente del Consiglio” tanto più di fronte a un tale scempio di retorica. Che cos’è che indigna tanto, delle passerelle di Renzi? Prima di tutto quella specie di abisso che separa i riflettori, i selfies e le telecamere dal mondo vero, quello che di cotante parole non sa che farsene, anzi ne farebbe volentieri a meno perché di problemi ne ha altri. Ma di fatto c’è un problema più profondo, cioè che in quella parlata da giullare, in quel sorriso auto-compiaciuto, Renzi offusca una realtà tragica, il fatto che la sua Luiss, Università privata promossa da Confindustria il cui Presidente è Emma Marcegaglia, sta all’istruzione pubblica come le sue parole di innovazione stanno ai bisogni reali dell’Italia. Sono, cioè, baluardi di una retorica vuota e auto-referenziale, uno spettacolo di dubbio gusto che finiti i plausi e i riflettori ci riportano all’agonia ignorata di un paese stremato dall’austerità e dal declino, senza un euro per la ricerca e le borse di studio, in cui crescono i neet e la fuga dei cervelli, mentre lui e i suoi finanziatori privati sorridono, si fanno i selfies e ci salutano dalle telecamere.
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