La banda, la nuova banda di Roma. “La Mafia capitale”, per dirla con le parole dei magistrati. Strutturata come una piovra che asfissia la città. Ogni uomo ha un compito, ogni compito ha un prezzo. Appalti, usura, estorsioni, corruzione. Dentro il Comune di Roma, nelle istituzioni, nelle cooperative. Amministratori “a libro paga” come Franco Panzironi, ex presidente Ama, e Carlo Pucci dirigente di Eur spa. Pubblici ufficiali “a disposizione”, come Riccardo Mancini, ex presidente di Eur spa, che ha fatto da garante con l’amministrazione di Alemanno dal 2008 al 2013. La collusione con forze di polizia e servizi segreti.
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Un luogo: il distributore di benzina di Corso Francia, gestito da Roberto Lacopo, “base logistica del sodalizio”. E tutto quest’universo criminale che ruota attorno a Massimo Carminati, l’ex nar, 56 anni. Capo, organizzatore, fornitore ai suoi sodali di schede telefoniche dedicate, reclutatore di imprenditori collusi “ai quali fornisce protezione”, l’uomo che “mantiene i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operante su Roma, nonché esponenti del mondo politico istitutzionale, con esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi”. La sua villa di Sacrofano, Carminati la intesta fittiziamente a Alessia Marini, acquistandola per 500mila euro, di cui 120 mila in contanti.
Ogni uomo ha un compito, dunque. Ad esempio Fabrizio Franco Testa, manager, e presidente di Tecnosky (Enav) e uomo di Alemanno ad Ostia. “Lui è la testa di ponte dell’organizzazione nel settore politico e istituzionale, coordina le attività corruttive dell’associazione, si occupa della nomina di persone gradite all’organizzazione in posti chiave della pubblica amministrazione”.
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Oppure Salvatore Buzzi, l’uomo della rete di cooperative. Amministratore delle coop riconducibili al gruppo Eriches-29 giugno, affidatarie di appalti da parte di Eur Spa, gestisce per conto della banda Carminati le attività criminali nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico, settori “oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo”. Si occupa anche – secondo i pm – della contabilità occulta dell’associazione.
Sullo sfondo una pletora di imprenditori collusi, in primo piano, invece Franco Panzironi. Nel suo ruolo di componente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di Ama spa dal 2008 al 2011, ha del tutto “asservito la sua qualità funzionale”. Nelle carte ci sono tutti gli addebiti a suo carico: violando il segreto d’ufficio, violando il dovere di imparzialità nell’affidamento dei lavori, ha preso accordi con Buzzi “per il contenuto dei provvedimenti di assegnazione delle gare prima della loro aggiudicazione”.
Panzironi è accusato anche di averla turbata, quella gara. L’appalto è quello della raccolta delle foglie per il comune di Roma, 5 milioni di euro. Per la sua attività di “agevolazione dell’associazione mafiosa di Carminati” nel tempo ha ricevuto, per sé e per la sua fondazione Nuova Italia, 15.000 euro al mese dal 2008 al 2013, 120.000 euro in una tranche (il 2,5 per cento dell’appalto assegnato da Ama), la rasatura gratuita del prato di casa, e finanaziamenti non inferiori a 40.000 euro per la sua fondazione.
Per dire come funzionavano le cose al Campidoglio, basta leggere le accuse che vengono fatte a Claudio Turella, funzionario del Comune di Roma e responsabile della programmazione e gestione del Verde Pubblico: per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio nella assegnazione dei lavori per l’emergenza maltempo, la manutenzione delle piste ciclabili e delle ville storiche, “riceveva da Buzzi, il quale agiva previo concerto con Carminati e in accordo con i suoi collaboratori, 25.000 euro per l’emergenza maltempo, la promessa di 30.000 euro per le piste ciclabili, più la promessa di altre somme di denaro”.
Nel calderone degli arresti c’è anche Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto di Veltroni. Nella sua qualità di appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza dei rifugiati, dunque pubblico ufficiale, “orientava le scelte del Tavolo al fine di creare le condizioni per l’assegnazione dei flussi di immigrati alle strutture gestite da soggetti economici riconducibilia Buzzi e Coltellacci”, “effettuava pressioni finalizzate all’apertura di centri in luoghi graditi al gruppo Buzzi”. E per questo “riceveva 5.000 euro mensili in forma diretta e indiretta da Coltellacci e Buzzi”. Con l’aggravante di aver agevolato la banda di Carminati.
Infine Gennaro Mokbel, che finisce in questa inchiesta con l’accusa di estorsione, perché “mediante violenza e minacce” voleva costringere Marco Iannilli a restituire 8 milioni di euro “comprensiva dell’attesa remunerazione, consegnatagli un anno prima per investirla nell'”operazione Digint””. E qui è intervenuto Carminati il quale, su richiesta della vittima, “la proteggeva da Mokbel”. Faceva anche questo, Carminati. Il protettore.
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