Il mazzo del governo ha due carte: la repressione e il vittimismo. Per analfabetismo istituzionale dalle parti di Palazzo Chigi sono però convinti che la repressione sia sinonimo di fiorente egemonia culturale mentre usano il vittimismo e lo scambiano per censura. Solo due carte, nient’altro fino a qui.
Sfogliare i giornali e i telegiornali di questo anno e mezzo di governo Meloni è un andirivieni di oppositori zittiti, sventolati come trofei di caccia, e di piagnistei continui per presunti attacchi. L’effetto – pur comico – è disarmante e pericoloso per la postura.
L’ultima puntata della serie è la ministra alla Famiglia Eugenia Roccella, perfetto paradigma della squadra di ministri. Roccella sale alle cronache durante il suo mandato solo in due occasioni: quando trova il modo di infilare la sua avversione all’aborto in pubblico e quando si lamenta dell’avversione alla sua avversione. Continua a mancarle però un particolare: una ministra che sogna di ledere un diritto a una fetta di cittadini è un potere che si impone.
Un governo che impone ai giornalisti di usare le parole che piacciono al potere o peggio che impone il silenzio alle voci dissonanti è un governo che censura. La censura – qualcuno lo spieghi a Meloni e compagnia – è qualcosa che dall’alto arriva verso il basso. Basterebbe aprire un dizionario: la censura è “il controllo della comunicazione da parte di un’autorità, che limita la libertà di espressione e l’accesso all’informazione con l’intento dichiarato di tutelare l’ordine sociale e politico”.
Dichiararsi censurati in apertura dei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani è una forma intollerabile di propaganda. I censurati scrivono monologhi che non riescono ad andare in onda, vengono estromessi dalle reti pubbliche con le loro trasmissioni, smettono di scrivere certi articoli perché falciati da querele temerarie, producono e scrivono inchieste che non vengono mai pubblicate, non riescono ad accedere a un pubblico per esprimere le proprie opinioni.
Roccella, come i suoi colleghi ministri, è una vittimista incapace di gestire il dissenso ma abilissima a crearlo.
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