Vittorio Arrigoni è morto perché noi non siamo restati abbastanza umani. O forse, sulle storie e le nuvole sopra la Palestina, non lo siamo mai stati.
Ho sentito la voce di Vittorio per l’ultima volta pochi giorni fa, per una serata che avevamo organizzato a Milano sulla prossima partenza della Freedom Flottilla. Una serata silenziosa e buia. Parlare a Milano di Palestina è come scoperchiare un’isola che nessuno vuole mettere sulla cartina. La sua telefonata in quella serata è stata un ponte costruito in un attimo che ci ha spinto ad un cuore così uguale in territori così diversi. Aveva la voce ferma, chirurgica e tagliente dell’uomo che non può esimersi dall’essere consapevole. Ci raccontava di una generazione che non può non sapere. Aveva la fierezza dell’apolide che ha trovato il posto dove stare, la casa da costruire, la gente da abbracciare.
Vittorio non è un blogger, non è un giornalista freelance e nemmeno uno spirito samaritano, come leggo questa mattina. Vittorio è un volontario professionista: con la volontà del sentirsi coerente con se stesso e il professionismo di chi professa i propri valori in quello che si ritrova a fare ogni giorno.
In un paese dove si elemosinano diritti e pane, Vittorio era una delle tante briciole di democrazia. Restiamo umani, ci diceva. Lui questa mattina ci sarebbe riuscito comunque, con l’energia e la voglia di chi ha la sua isola da costruire. Per noi, è difficile. Ci proviamo, Vittorio, a restare umani.
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