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Riconoscere la politica

La campagna elettorale è finita. Se cinicamente possiamo perdonare l’abuso di promesse, di parole e di carezze agli oscurantismi durante la sfida elettorale (e qui no, non lo perdoniamo) ora sarebbe il caso di riconoscere che ciò che accade è tutta politica in purezza. Ora i gesti, i voti e le parole sono azioni che modificano il Paese.

Ieri nel Consiglio regionale della Liguria Fratelli d’Italia (il partito più pesante nel Parlamento che viene) si è astenuto su un ordine del giorno che sottolineava il diritto «di effettuare questa scelta senza dover superare alcuna difficoltà nell’accesso alle strutture che effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza». L’ordine del giorno impegnava anche a «sostenere nelle sedi più opportune la richiesta del Parlamento europeo di inserire il diritto all’aborto legale e sicuro nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea».

Abbiamo passato settimane ascoltando Giorgia Meloni giocare sul diritto all’aborto come se fosse una bazzecola delle femministe, un privilegio che le donne si erano conquistato per vezzo. Abbiamo finto di credere a Giorgia Meloni che la lotta all’aborto non sia connaturata all’identità del suo partito, perfino non ci siamo accorti che la consigliera comunale che a Roma aveva esposto lo striscione con scritto “Potere alle donne. Facciamole nascere”, sia stata eletta senatrice sconfiggendo Emma Bonino (con l’aiuto santo di Carlo Calenda).

Non siamo più nella melassa elettorale. I voti di Fratelli d’Italia – anche quelli sparsi nelle amministrazioni locali – sono i voti consapevoli del primo partito d’Italia. Qui non siamo più nel campo dell’allarme democratico usato per propaganda. Non riconoscere la politica ora sarebbe un dolo. Giorgia Meloni – oggi concentrata nel recitare la parte della rassicurante – aveva promesso che avrebbe aggiunto diritti senza toglierne. Non riusciamo a vedere dove siano le aggiunte, in Liguria.

Buon mercoledì.

 

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