Accade a Firenze. Quattro agenti della polizia (quattro!) entrano nell’Istituto Universitario Europeo e tolgono un manifesto che diceva “I rifugiati sono benvenuti”. Il manifesto è stato riappeso degli studenti. Ma l’onta delle priorità delle forze dell’ordine rimane lì, ben visibile.
Raid in facoltà
Un gruppo di ricercatori racconta “la profilazione razziale” e le “molestie subite (senza nessuna provocazione)” avvenute negli ultimi giorni. “L’Istituto universitario europeo (Eui) – scrivono – e l’evento The State of Union (Sou) pretendono di essere spazi per lo scambio di idee libero e franco. Ciò che è successo oggi, tuttavia, dimostra chiaramente che questo spazio è limitato solo alle forme di espressione pre-sanzionate e pre-approvate”.
I ricercatori (che provengono da tutto il mondo) raccontano di avere sollevato più volte la questione della sicurezza nel campus, dove la presenza massiccia di forze di polizia chiamate direttamente dall’istituto è indice dell’incapacità della direzione di “non sapere gestire la sicurezza dei propri studenti”.
Già qualche giorno fa, in occasione dell’annunciata presenza della vicepresidente spagnola Nadia Calviño in occasione di una sessione Sou (“Intelligenza artificiale responsabile: l’Europa può essere un leader globale?”) i ricercatori spagnoli hanno denunciato un clima di intimidazione. Agenti della Digos erano intervenuti per identificare alcuni di loro che avevano preparato per Calviño un report sulle loro condizioni precarie (basso stipendio, difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria, ecc.). Calviño non si è presentata all’evento ma un agente della Questura avrebbe ripetuto ai ricercatori (che si dicono stupiti dalle modalità della polizia italiana) che “non era quello il posto in cui protestare”.
“Ma non esiste la libertà di espressione, visto che stiamo solo distribuendo volantini?”, ha chiesto incredula una ricercatrice spagnola. “Perché non è questo il posto?”. Nessuna risposta. I presenti raccontano che “il linguaggio e il comportamento del poliziotto comunicavano chiaramente un atteggiamento aggressivo e intimidatorio, e continuava a schivare la domanda”.
I fatti
Ieri un gruppo di quattro agenti (questa volta in divisa) si è recato nella mensa dell’Istituto universitario europeo per rimuovere una locandina dalla bacheca. “Questo poster – raccontano i ricercatori – presentava una grande grafica “Refugees Welcome” e metteva in discussione la legge e la politica su rifugiati e migrazione dell’Ue e dell’Italia”. Solo dopo qualche minuto i 4 poliziotti hanno deciso di rimettere il manifesto al loro posto, accortisi della tensione in sala.
Secondo gli studenti questo episodio fotografa la natura problematica di un evento come “The State of Union” ospitato nell’università che, spiegano, “non solo interrompe il lavoro dei ricercatori, ma crea anche un ambiente ostile e condizioni di lavoro non sicure”. In una nota i ricercatori scrivono: “Il nostro campus dovrebbe essere uno spazio sicuro per tutti i ricercatori, indipendentemente dalla loro cittadinanza o dal colore della loro pelle. Non dovrebbe essere un luogo in cui esprimersi – o anche semplicemente esistere – può portare a discriminazione, profilazione razziale e molestie e intimidazioni della polizia”.
Povera ricerca
Siamo diventati così. Siamo un Paese in cui dei ricercatori universitari (peggio ancora se con la pelle più scura) vengono adocchiati come criminali mentre decidono di esprimere le loro opinioni a margine di un evento che discute proprio dello stato dell’Unione. Siamo un Paese in cui un foglio appeso in mensa che rilancia la solidarietà e che critica le politiche italiane e europee riesce a meritarsi l’attenzione di un nutrito gruppo di poliziotti. All’interno di un’università che si professa aperta e internazionale. L’Istituto universitario europeo per ora ha deciso di non rilasciare dichiarazioni.
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