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Rigurgiti di patriarcato. Pure sulla tomba di Giulia

Al funerale della figlia Giulia, Gino Cecchettin ha chiesto di sfidare “la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali”. Ha spiegato anche che “difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome” e “trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere”.

Al funerale della figlia Giulia, Gino Cecchettin ha chiesto di sfidare “la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali”

Che la politica se ne renda conto o meno quel discorso segna una svolta anche nella politica di questo Paese, cancellando una volta per tutte l’idea che il femminicidio sia solo opera di criminali e riportando la riflessione nell’alveo della responsabilità collettiva. Come ha reagito certa politica Qualche esempio a portata di mano. Il consigliere regionale Valdegamberi eletto nella lista Zaia in Veneto (lo stesso che parlò di felpe sataniche riferendosi alla sorella Elena) ieri ha definito il funerale uno “show per far approvare qualche legge assurda come l’educazione sessuale nelle scuole” e ha parlato sdegnato di “politici che si scusano di essere uomini, altri che stanziano fondi per educare contro il patriarcato”.

La ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha spiegato che “la teoria gender è una nuova forma di patriarcato” e il vero femminicidio di massa è quello “di Hamas” dove ci sarebbe “il vero patriarcato”. Per la ministra anche le battaglie dei movimenti trans per l’autodeterminazione del genere in opposizione al sesso biologico “sono le nuove forme di patriarcato, un modo di aggiornare il patriarcato a nuove filosofie e pensieri”. Giorgia Meloni – più furba – ha parlato di “crisi della famiglia” e “impatto dei social”. Non male, eh?

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