Eccolo qui Matteo Salvini, vice presidente del Consiglio e ministro dei Trasporti nonché leader di una Lega in declino. Eccolo mentre arranca in cerca di qualche voto per rallentare il dissanguamento elettorale, disposto anche a mettere in crisi gli equilibri della maggioranza di cui fa parte. “Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione”, ha detto Salvini in merito alle elezioni farsa che si sono svolte in Russia, dove Vladimir Putin ha messo in scena elezioni né libere né democratiche con un controllo totale sulle urne. Ci sarebbe da tenere in considerazione anche che gli oppositori del regime russo – per ultimo Navalny – sono stati ammazzati o si ritrovano reclusi.
“Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione”, ha detto Salvini in merito alle elezioni farsa che si sono svolte in Russia
Ma a Salvini tutto questo non basta e il leader della Lega non riesce a trattenere un moto sotterraneo di giubilo. Così il ministro del governo italiano si accoda a Lukashenko, Xi Jinping e Raisi, presidenti di Bielorussia e Cina e Iran, nella legittimazione di Putin. A parlare per il governo sobbalzato dalla sedia dopo le parole del ministro leghista ci ha pensato il ministro agli Esteri Antonio Tajani: “Le elezioni sono state caratterizzate da pressioni forti e anche violente – ha detto il ministro degli Esteri – Navalny è stato escluso da queste elezioni con un omicidio, abbiamo visto le immagini dei soldati nelle urne, non mi sembra che sia un’elezione che rispetta i criteri che rispettiamo noi”, ha detto Tajani visibilmente contrariato per l’improvvida uscita dell’alleato sempre più scomodo.
Il vice premier: “Il popolo che vota ha sempre ragione”. Tajani furibondo corre a mettere una pezza
Le fibrillazioni però sono arrivate fino a Palazzo Chigi e poco dopo la Lega scrive una nota ufficiale per correggere il tiro: “In Russia hanno votato, – scrive il Carroccio – non diamo un giudizio positivo o negativo del risultato, ne prendiamo atto e lavoriamo (spero tutti insieme) per la fine della guerra ed il ritorno alla pace. Con una guerra in corso non c’è niente da festeggiare”. Dall’opposizione Giuseppe Provenzano (Pd) esprime ironicamente “solidarietà al vicepresidente e ministro Antonio Tajani”. “Non dev’essere facile – scrive Provenzano su X – avere un omologo vicepresidente Salvini che non condanna i crimini di Putin e vede in queste elezioni russe una grande affermazione del popolo. Ma con queste posizioni il Governo può mai essere credibile? E Meloni tace…”.
Carlo Calenda attacca: “Salvini, ti suggerisco di ripassare le basi. Quando un popolo vota nel contesto di una democrazia liberale – libertà di espressione, associazione, stampa e magistratura indipendente – il risultato va riconosciuto. La democrazia senza stato di diritto non esiste. La Russia è una dittatura e le elezioni sono una farsa. Punto”. Il capogruppo dei senatori dem Francesco Boccia chiede al leghista se “va bene quindi votare con le urne trasparenti e i militari che controllano il voto nei seggi? Sono curioso di conoscere la sua risposta e di sapere se i suoi alleati di governo la pensano alla stessa maniera”.
Critico anche Maurizio Lupi, leader di Noi moderati: “Noi un giudizio lo esprimiamo e affermiamo che una democrazia senza un’opposizione reale non esiste, che il plebiscito a favore di Putin è stato espresso sotto la minaccia delle armi, in un clima di repressione e arresti”, spiega. Una ricerca realizzata per Adnkronos da Vis Factor, società leader a livello nazionale nel posizionamento strategico, segnala che sui social network si registra un sentiment negativo dell’84% da parte degli italiani in merito alle dichiarazioni di Matteo Salvini sul voto in Russia. Le emozioni più associate alle dichiarazioni del leader della Lega sono rabbia al 52%, indignazione 20% e tristezza 10% con un picco del 32% di commenti offensivi sui profili del ministro. Un successo, insomma.
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Si allarga così sempre di più il solco tra il leader della Lega e gli altri partiti della maggioranza. Differenze che rischiano di allargarsi ogni giorno di più con l’avvicinarsi delle Europee che vedranno Salvini e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni su fronti contrapposti difficilmente coincidenti. Il gruppo europeo Identità e Democrazia di cui fa parte la Lega preme sull’antieuropeismo sfrenato con la francese Marine Le Pen nel ruolo di ariete. I Conservatori europei, di cui è presidente Meloni, continuano la loro marcia di avvicinamento a Ursula von der Leyen appoggiandone per ora la riconferma.
Ma i problemi a Bruxelles per Meloni non riguardano solo l’alleato scomodo in patria. A elezioni politiche appena vinte l’ideologo del melonismo Giovanbattista Fazzolari sognava di fare dell’Italia l’avamposto atlantico dell’Europa occidentale, la Polonia del quadrante Ovest del Continente. Le cose non stanno andando proprio così. Nel ruolo della Polonia sembra esserci ben salda la Polonia di Donald Tusk e il triangolo Varsavia-Parigi-Berlino sembra più saldo che mai con l’Italia esclusa. “Continuare in un momento così difficile a suddividere le coalizioni che hanno aiutato l’Ucraina in tanti pezzetti mi pare poco pratico”, ha detto tre giorni fa in un’intervista a Repubblica il ministro Crosetto. Il triangolo di Weimar rischia per Meloni di diventare un problema ben più serio del filoputinismo della suo alleato Salvini.
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