È dura la vita dei politici al governo caduti in disgrazia. Devono immergersi abbastanza perché si parli poco di loro, evitando di prestare il fianco a chi legittimamente gli chiede chiarimenti dovuti o spiegazioni mai date. Eppure devono farsi vedere, ancora di più se nell’aria c’è qualche elezione, perché non possano essere accusati di essere scomparsi. È un filo sottile che dalle parti di Palazzo Chigi chiamano furbizia o moderazione. Non c’entra nulla il senso della misura: è un atavico senso di sopravvivenza applicato al mantenimento del potere che spesso è considerato protezione dal tracollo giudiziario.
La ministra al Turismo Daniela Santanchè si porta sulle spalle una nomea di imprenditrice appannata da storie di società malgestite nonostante il probabile abuso degli aiuti di Stato. È associata al pasticciaccio brutto delle spiagge che non vengono messe al bando ingrassando imprenditori balneari che si fregiano di bagni riservati ai ricchi mentre pagano concessioni da poverissimi (il Twiga del suo socio Flavio Briatore secondo Nicola Fratoianni paga 21 mila euro all’anno e fattura otto milioni). La ministra ha quel non trascurabile problema di avere mentito al Parlamento sulla gestione della sua società editoriale, sbugiardata dalle indagini in corso.
Ieri Santanchè ha deciso di fare capolino spiegandoci che è una brava ministra perché c’è un “record di turisti” (qualsiasi cosa significhi detto così) e perché “Sinner numero uno”. Che c’entra il tennista con il ministero? Niente. Tutto fumus. Non è facile scrivere qualcosa senza scoprirsi, quindi Santanchè si è buttata sul tennis. Il risultato è piuttosto ridicolo, da imbucata rediviva. Immaginate un lavoratore qualunque che al proprio capo che gli chiede cos’ha combinato oggi risponda che fuori c’era un bel sole. Una roba così.
Buon mercoledì.