Saverio Masi non è un carabiniere qualsiasi: il maresciallo Masi è l’uomo che forse più di tutti è stato vicino alla cattura di Matteo Messina Denaro, il superboss di Cosa Nostra considerato l’ultimo vero “padrino” dopo Riina e Provenzano. Per due volte nella zona di Bagheria, Saverio Masi ha segnalato ai propri superiori, in pesantissime relazioni scritte, la possibilità di avere individuato la sede della latitanza di Messina Denaro pedinando prima il fratello dell’amante del boss, Maria Mesi, e poi addirittura avendo la sensazione che un’auto fosse guidata dallo stesso Messina Denaro. Due relazioni inspiegabilmente mai arrivate in Procura.
Ma Saverio Masi è anche uno dei testimoni del processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano in cui depose il 21 dicembre del 2010 e sarà uno dei teste chiavi nel processo sulla trattativa per riferire come si legge nella lista testimoniale della procura, sugli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano”. Oggi il maresciallo Masi è il caposcorta di Nino Di Matteo, il magistrato più a rischio di questi ultimi anni. Insomma: sembra facile intuire che, come descritto nelle valutazioni, il carabiniere Masi ha alle spalle una carriera che la stessa Arma dei Carabinieri definisce eccellente. Fino a poco tempo fa.
Oggi Saverio Masi rischia di essere estromesso dal lavoro che ama per una multa. Sì, per una multa e la storia vale la pena raccontarla dall’inizio
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