«L’Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest’estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi. Questi sono Paesi che se dai ricevi». Sono le parole pronunciate durante la convention di Forza Italia dall’amministratore delegato dell’Eni, elogiando la sua bravura nel sopperire al taglio del gas russo con il gas egiziano in nome dell’antica amicizia tra i due Paesi.
Si è dimenticato Descalzi di spiegarci minuziosamente cosa abbia dato l’Italia per ricevere. Si è dimenticato anche di raccontarci quali siano le caratteristiche di questa “antica amicizia”. Sappiamo sicuramente che noi italiani dall’Egitto insieme al gas abbiamo ricevuto il cadavere di Giulio Regeni, ammazzato da uomini di al-Sisi che non riusciamo a processare perché il governo egiziano protegge gli assassini. Abbiamo ricevuto anche l’immagine delle botte sul corpo di Patrick Zaki, fotografia del pessimo stato dei diritti in Egitto.
E chissà come spiegherebbe Descalzi (e quelli d’accordo con lui) di scegliere di liberarsi del regime russo virando sul regime egiziano. Fingendo, come accadde con Putin, di non vedere i segnali di un Paese che potrebbe essere benissimo essere il prossimo regime. Chissà se Descalzi sarà brillantemente pronto al prossimo giro quando ci sarà da smarcarsi da un nuovo regime fingendo di non averlo concimato, esattamente come accaduto con Putin.
Un anno fa proprio Descalzi aveva spiegato che era importante risolvere il caso Regeni «per creare stabilità nel Mediterraneo». «Ho sempre cercato e ribadito nei miei incontri in Egitto, anche al livello di presidente (Abdel Fatah al Sisi), l’importanza di chiarire questa situazione proprio per i rapporti che ci sono tra Egitto e Italia, (…) due Paesi che devono rappresentare un momento di stabilità in una situazione non facile» nel Mediterraneo, disse Descalzi audito dalla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.
Si era dimenticato di dirci che stava dando per ricevere. Mica giustizia, per ricevere il gas.
Buon lunedì.
Nella foto Giulio Regeni dal sito di Amnesty international