La bella intervista a Roberto Scarpinato, Procuratore Capo di Palermo:
“A proposito del passato mi consenta di partire da una testimonianza personale. Tanti anni fa ho deciso di lasciare il mio lavoro di dirigente della Banca d’Italia e di entrare in magistratura perché ero innamorato della promessa-scommessa contenuta nella Costituzione del 1948 alla quale ho giurato fedeltà”.E quale sarebbe questa “promessa-scommessa”?
“Quella scritta nell’articolo 3 di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Era uno straordinario programma di lotta alle ingiustizie e un invito a innamorarsi del destino degli altri. La Repubblica si impegnava a porre fine a una secolare storia nazionale che Sciascia e Salvemini avevano definito “di servi e padroni” perché sino ad allora intessuta di disuguaglianze e sopraffazioni che avevano avuto il loro acme nel fascismo e nella disfatta della seconda guerra mondiale”.
Sì, però l’attuale riforma costituzionale si occupa solo della seconda parte della Costituzione e lascia intatta la prima sui diritti. Cosa la turba lo stesso?
“La seconda parte è strettamente funzionale alla prima. Proprio per evitare che la promessa costituzionale restasse un libro dei sogni e per impedire che il pendolo della storia tornasse indietro a causa delle pulsioni autoritarie della parte più retriva della classe dirigente e del ritardo culturale delle masse, i padri costituenti concepirono nella seconda parte della Costituzione una complessa architettura istituzionale di impianto antioligarchico basata sulla centralità del Parlamento e sul reciproco bilanciamento dei poteri”.
E perché tutto questo coinvolgerebbe le toghe? Realizzare la promessa non era compito della politica?
“All’interno di questo disegno veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo”.
Un’affermazione forte… Ma di quale vigilanza parla?
“I giudici, tra più interpretazioni possibili della legge ordinaria, devono privilegiare quella conforme alla Costituzione e, se ciò non è possibile, devono “processare la legge”, cioè sottoporla al vaglio della Consulta. La magistratura italiana quindi è una “magistratura costituzionale” e, in quanto tale, la sua fedeltà alla legge costituzionale è prioritaria rispetto a legge ordinaria. È una rivoluzione copernicana del rapporto tra politica e legge di tale portata che a tutt’oggi non è stata ancora metabolizzata da buona parte della classe politica che continua a lamentare che la magistratura intralcia la governabilità sovrapponendosi alla volontà del Parlamento”.
Con la riforma Renzi questo equilibrio potrebbe saltare?
“Alcune parti di questa riforma si iscrivono in un trend più complesso. Oggi tutto ciò rischia di restare solo una storia terminale della prima Repubblica, perché quello che Giovanni Falcone chiamava “il gioco grande”, si è riavviato su basi completamente nuove. Alla fine del secolo scorso, a seguito di fenomeni di portata storica e mondiale, sono completamente mutati i rapporti di forza sociali macrosistemici che furono alla base del compromesso liberal-democratico trasfuso nella Costituzione del 1948. Lo scioglimento del coatto matrimonio di interessi tra liberismo e democrazia ha messo in libertà gli “animal spirits” del primo che ha individuato nelle Costituzioni post fasciste del centro Europa una camicia di forza di cui liberarsi”.
Un attimo: cosa si sarebbe rimesso in moto?
“Si è avviato un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione oligarchica del potere che si declina a livello sovranazionale e nazionale lungo due direttrici. La prima è quella di sovrapporre i principi cardini del liberismo a quelli costituzionali trasfondendo i primi in trattati internazionali e trasferendoli poi nelle costituzioni nazionali. Esempio tipico è l’articolo 81 della Costituzione che imponendo l’obbligo del pareggio di bilancio impedisce il finanziamento in deficit dello Stato sociale e trasforma i diritti assoluti sanciti nella prima parte della Costituzione in diritti relativi, cioè subordinati a discrezionali politiche di bilancio imposte da organi sovranazionali spesso di tipo informale e privi di legittimazione democratica. La seconda direttrice consiste nel trasferimento dei centri decisionali strategici negli esecutivi nazionali incardinati ad esecutivi sovranazionali, declassando i Parlamenti a organi di ratifica delle decisioni governative e sganciandoli dai territori tramite la selezione del personale parlamentare per cooptazione elitaria grazie a leggi elettorali ad hoc. Il gioco dialettico tra maggioranza- minoranza viene disinnescato grazie a premi di maggioranza tali da condannare le forze di opposizione all’impotenza”.
Questo è uno scenario politico. Perché ciò dovrebbe interessare la magistratura?
“Se muta la Costituzione, cioè la Supernorma che condiziona tutte le altre, rischia di cambiare di riflesso anche la giurisdizione. La magistratura già oggi è sempre più spesso chiamata a farsi carico della cosiddetta legalità sostenibile, cioè della subordinazione dei diritti alle esigenze dei mercati, e quindi delle forze che governano i mercati. L’articolo 81 della Costituzione ha costituzionalizzato il principio della legalità sostenibile che si avvia a divenire una norma di sistema baricentrica del processo di ricostituzionalizzazione in corso. La conformazione culturale della magistratura al nuovo corso potrà essere agevolata dalla possibilità di minoranze, trasformate artificialmente in maggioranze grazie al combinato disposto dell’Italicum e di alcune delle nuove norme costituzionali, di selezionare i giudici della Consulta e la componente laica del Csm”.
Cosa direbbe a un giovane magistrato oggi indeciso se impegnarsi nella campagna referendaria?
“Che se non capisci come funziona il gioco grande, sarai giocato. Da amministratore di giustizia rischi di trasformarti inconsapevolmente in amministratore di ingiustizia”.
(da Repubblica, 11 maggio 2016)