Lombardia, zona Varese vicino al confine svizzero. Il presidente della regione è Roberto Maroni, quello del “Prima il nord” stampato sui cartelloni elettorali e ripetuto come mantra: aveva urlato di voler trattenere le tasse dei lombardi in Lombardia (promessa da pacchista all’autogrill, visto che la competenza non è regionale) e rivendicava il diritto di pensare prima ai padani e solo poi al resto d’Italia. Chi volete che possa credere a un cialtrone così? Maroni ha vinto le elezioni regionali e dal 2013 è presidente. Appunto.
Seguitemi, perché la storia è gustosa: nel profondo pensiero politico leghista il “bene” è un valore direttamente proporzionale alla sua posizione sulla cartina geografica. “Prima il nord” è uno slogan che sbrodola tutta la sua pericolosa faciloneria (razzista) con la miopia di chi, a forza di spingere sul turbo federalismo, finisce per perdere lo sguardo generale sul mondo.
Il problema non calcolato dai leghisti è che c’è vita anche più a nord della Lombardia. Per Salvini e Maroni probabilmente la giornata di ieri è stata un mosto di terrore e disperazione al pari di coloro che scoprirono la terra non essere piatta: a nord della Lombardia c’è, ad esempio, la Svizzera. E cosa combina la Svizzera nel suo cantone ticinese? Lancia un referendum al grido “Prima i nostri” contro i sudisti italiani che vorrebbero andare lì a lavorare e la maggioranza degli elettori dice sì alla regolamentazione (sinonimo morbido di “chiusura”) dei lavoratori italiani. Italiani sporchi, maleducati e cattivi che “rubano il lavoro”.
Da oggi i 60.000 italiani pendolari che si recano in Ticino a lavorare sono ufficialmente indesiderati. E fa niente se l’Europa in realtà vieterebbe chiusure di questa sorta: “I ticinesi – ha detto il presidente della sezione ticinese dell’Udc Piero Marchesi citato dalla Radio svizzera italiana – non vogliono farsi intimorire dall’Unione europea”. Sembra di sentire Salvini e invece Salvini questa volta è l’immigrato.
(il mio buongiorno per Left continua qui)