L’algerino, da 11 anni nel nostro Paese, era educatore nel prestigioso liceo Chateaubriand a Roma. Fino a quando in una chat privata ha scritto un commento rabbioso pro Palestina. Licenziato, è ora recluso in un Centro permanenza e rimpatrio perché ritenuto pericolosamente vicino al terrorismo. Ma perseguire un reato di opinione non è da regime ungherese?
Seif Bensouibat è algerino, vive da 11 anni in Italia. Per oltre nove anni ha lavorato come educatore nel prestigioso liceo Chateaubriand a Roma. Sarebbe perfetto come esempio dello straniero «ben integrato», come dicono e scrivono coloro che applicano un diverso metro di severità per giudicare gli altri in base alle loro provenienze geografiche. Dopo l’aberrante massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 e l’aberrante reazione del governo di Israele, Bensouibat si lascia andare a commenti rabbiosi e pesantissimi osservando le immagini della distruzione di Gaza. Non lo fa all’interno della scuola in cui lavora, non lo fa nel suo ruolo di educatore e soprattutto non lo fa in pubblico. Bensouibat non lo scrive nemmeno sui suoi social, dove persone molto più influenti di lui hanno lasciato aperte le porte di un’isteria collettiva innescata dalla guerra. I suoi giudizi li scrive in una chat privata, ma quelle parole diventano pubbliche.
Si confondono volutamente i terroristi con chi chiede il cessate il fuoco a Gaza
Viene licenziato dal liceo in cui lavora. Quando alcune persone manifestano nei pressi dell’istituto per chiedere il rispetto dei suoi diritti di lavoratore, la direzione della scuola interrompe le elezioni in anticipo e spedisce tutti gli studenti a casa «per paura delle tensioni». La vita di Seif Bensouibat precipita molto velocemente. A gennaio viene perquisita la sua abitazione, lui è tranquillo. È in Italia da molti anni, non ha nessun precedente penale, ha espresso un’opinione in privato, per quanto criticabile, e non ha nessun collegamento con nessun terrorista. Ma è troppo ottimista: la caccia agli “amici di Hamas”, confondendo scientemente i terroristi con coloro che chiedono il cessate il fuoco, è un gioco grande in cui si sono buttati in molti. Il clima è teso. Si apre la procedura per revocargli il permesso di soggiorno.
Come può essere ricondotto all’Isis chi difende la Palestina?
A febbraio il comico e drammaturgo Alessandro Bergonzoni, il parlamentare dell’Alleanza Verdi e sinistra Giuseppe De Cristofaro e l’ex senatore Luigi Manconi avevano scritto una lettera al manifesto sulla vicenda. «Le opinioni», si legge, «anche le più lontane dalle nostre, quando restano opinioni, tanto più come in questo caso espresse in forma privata, non devono costituire un fattore di criminalizzazione». Giovedì 16 maggio Seif Bensouibat si è ritrovato in casa la Digos. L’hanno prelevato per portarlo all’ufficio immigrazione di via Patini e da qui trasferito nel Cpr (Centro permanenza e rimpatrio) di Ponte Galeria dove è recluso. Il suo avvocato Flavio Rossi Albertini spiega che nel provvedimento la pericolosità sarebbe stata desunta «attraverso una lettura comparata dei post (nella famosa chat privata, ndr) con il pericolo del terrorismo religioso di matrice jihadista, con il fenomeno dei lupi solitari, della radicalizzazione solitaria. Evidentemente ritenendo che i moti di sdegno, anche scomposti, urlati e rabbiosi per quanto avviene in Palestina possano essere ricondotti all’Isis».
La libertà di espressione è costituzionalmente garantita
De Cristofaro, presidente del gruppo Misto, ha depositato un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno e a quello della Giustizia, per chiedere «se non ritengano il provvedimento del tutto abnorme rispetto ai fatti contestati e in violazione del diritto fondamentale alla libertà di manifestazione del pensiero dell’uomo». Manconi, che ex presidente della Commissione parlamentare per la tutela dei diritti umani, parla di «decisione inaudita». Aggiungendo: «Seif ha vissuto oltre 10 anni in Italia, rispettando sempre le leggi e integrandosi nel nostro sistema di relazioni sociali. Adesso viene espulso dall’Italia per aver inneggiato ad Hamas. Il suo è al più un reato di opinione, che ricorre ad affermazioni per me totalmente inaccettabili, ma che sono una manifestazione, sia pure estrema, della libertà di espressione, costituzionalmente garantita».
L’algerino e le due iraniane: non sembrano storie da Ungheria?
Seif Bensouibat è una storia (nel giornalismo le persone spesso sono solo la storia che rappresentano) che interessa poco ai giornali: è straniero, per di più scuro, ed è dentro quella scomoda polarizzazione della questione palestinese. Un po’ come Maysoon Majidi che è arrivata dall’Iran per scappare dalla furia dagli Ayatollah, è attivista per i diritti umani e ora si ritrova incarcerata a Locri con l’accusa di essere una scafista secondo la testimonianza di due compagni di viaggio che dalla Germania hanno fatto sapere di non avere mai testimoniato. A pochi chilometri, a Crotone, è detenuta Marjan Jamal, iraniana anche lei, arrivata con il figlio che ora non può più vedere. L’accusa? Scafista. L’hanno interrogata in una lingua che non conosce. Dite la verità, non sembrano storie da Ungheria?
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