Il salario minimo, da qualsiasi parte lo si guardi, che si sia d’accordo o meno, sarebbe una riforma impattante e immediata sulla vita di milioni di persone. Di colpo ricevere offerte lavorative che promettono stipendi orari irrisori non sarebbe più gavetta, non sarebbe più un “proviamo e poi vediamo”, non sarebbe più la giustificazione di “un momento difficile”: sarebbe illegale. È vero, siamo un Paese che spesso cammina placidamente nei sentieri dell’illegalità ma con l’istituzione di un salario minimo si spezzerebbe – questo è sicuro – la sensazione di inadeguatezza di un’intera generazione.
La decisione politica di non decidere – in questo caso passando le carte al Cnel di Brunetta usandolo come refugium peccatorum – è l’ennesimo caso di una vigliaccheria politica che è la seconda evidente matrice di questo governo. Non regge la giustificazione dell’approfondimento poiché senza nessuna remora questa stesso governo ha preso decisioni catastrofiche che hanno reso orfani bambini per decreto o che hanno scaricato sulla strada poveri accusati perché poveri.
Sono gli stessi inizi di vigliaccheria che con l’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi hanno via via abolito le conferenze stampa della presidente del Consiglio, sostituendo le abituali domande dei giornalisti con video preconfezionati e unilaterali o letterine di Meloni ai giornali che le riservano una rubrica personale di fianco alla posta del cuore. Per questo risulta ancora più farlocco questo continuo appellarsi al “mandato popolare” ricevuto da parte della maggioranza: è vero, hanno vinto le elezioni, ma dopo un anno c’è da capire ancora “per fare cosa”.
Buon lunedì.