Senza bisogno di nessuna faticosa riforma costituzionale il monocameralismo in Italia di fatto c’è già. Lo spiega in uno studio Openpolis che sottolinea come nell’attuale legislatura il “monocameralismo di fatto” sia evidente senza che nessuno lo faccia notare. “Sono ormai passati 4 mesi – scrive Openpolis – dall’inizio della XIX legislatura. Un periodo in cui le nuove Camere hanno approvato in via definitiva soltanto 10 leggi.
Dall’insediamento del Governo Meloni approvate 10 leggi. Tutte discusse in una sola Camera e blindate nell’altra
Ma c’è un altro aspetto particolarmente interessante che emerge dall’analisi di questi primi mesi. E cioè il fatto che per nessuna delle proposte di legge che hanno già concluso l’iter siano stati approvati emendamenti in entrambi i rami del parlamento. La scelta di deputati e senatori, in accordo con il governo, è stata infatti quella di discutere eventuali proposte di modifica ai testi dei disegni di legge (Ddl) in una sola Camera. Quella in cui il Ddl ha iniziato il proprio percorso”.
Complessivamente le proposte emendative approvate dall’inizio della legislatura sono 360. Alla Camera le modifiche accolte sono state 257, di cui 246 in commissione e 11 in aula. Al Senato invece gli emendamenti approvati sono stati 103, di cui 91 in commissione e 12 in aula. Non sono mai stati approvati emendamenti nelle due Camere sullo stesso argomento e il 93,6% degli emendamenti sono stati approvati in Commissione.
Secondo Openpolis “occorre ricordare a questo punto che in alcune occasioni il governo ha posto la questione di fiducia sui provvedimenti in discussione. È successo per la legge di bilancio e per il decreto aiuti quater in entrambe le camere. E per il decreto rave a Montecitorio. Questo ha di fatto precluso la discussione e relativa votazione degli emendamenti presentati in aula”.
In questi casi le proposte approvate sono quelle scaturite dal confronto in commissione. Fanno eccezione 2 emendamenti alla legge di bilancio che risultano approvati in aula. Questi però sono di origine governativa e contengono solamente alcune correzioni agli stati di previsione dei ministeri dell’economia, della cultura e dell’agricoltura. Il monocameralismo di fatto, insomma, serve per velocizzare l’iter delle leggi, nonostante i richiami della Corte Costituzionale. Così il Parlamento si ritrova svuotato delle sue prerogative, alla faccia dell’articolo 70 della Costituzione che prevede che Camera e Senato esercitino il potere legislativo “collettivamente”.
Come scrive Ilenia Massa Pinto nel suo saggio (Il “monocameralismo di fatto” e la questione della perdurante validità della Costituzione, 2022) “la marginalizzazione del Parlamento con lo spostamento del baricentro a favore del Governo nell’esercizio della funzione legislativa è comunque un dato unanimemente riconosciuto che, sebbene sia un ritornello che da sempre accompagna la storia repubblicana, negli ultimi tempi ha registrato scostamenti – quantitativi e qualitativi – dal modello costituzionale tali che il loro accumularsi sembra aver infine invertito del tutto il rapporto tra regola ed eccezione”.
In campagna elettorale i partiti di governo avevano promesso di mettere mano alla Costituzione. Subito dopo le elezioni la maggioranza però si è spaccata sulle modalità e sulle finalità di un’eventuale riforma costituzionale. Anche in quel caso giorni di polemiche e fiumi di articoli ma poi non se n’è saputo più nulla. Nessuna proposta di riforma è stata presentata, al di là di qualche vaga dichiarazione d’intenti. Devono aver pensato che nell’attesa di cambiare la Costituzione intanto si può forzare quella che c’è.
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