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Siamo il Paese dei veleni, Sei milioni di italiani vivono in aree inquinate

In Italia, sei milioni di persone abitano in zone classificate come gravemente inquinate, secondo un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Le aree, distribuite su tutto il territorio nazionale, comprendono 42 Siti di Interesse Nazionale (Sin), che coprono circa 170mila ettari di terra e 78mila ettari di mare, e 36.814 Siti di Interesse Regionale (Sir), per un totale di oltre 43mila ettari da risanare. Sono frutto di attività industriali ormai chiuse o in declino, presentano concentrazioni elevate di sostanze tossiche e cancerogene, con un’incidenza significativa di tumori, malattie respiratorie e altre patologie tra i residenti.

Sei milioni di italiani tra veleni e malattie

Per Legambiente la questione delle bonifiche è un’emergenza nazionale: nonostante i fondi stanziati, le opere di risanamento restano ferme in molti dei principali Sin, tra cui Porto Marghera, Taranto, Priolo, Augusta e Napoli Orientale. Le conseguenze si manifestano nella salute pubblica e nell’ambiente ma anche a livello sociale ed economico. In queste aree industriali si registra un incremento dei tassi di malattie gravi e di mortalità, soprattutto per tumori e problemi respiratori, legati alla presenza di contaminanti come metalli pesanti, diossine e altre sostanze tossiche. L’inquinamento, unito alla mancanza di risanamento, limita inoltre il potenziale sviluppo economico e crea spazi desertificati.

Un’analisi del costo delle mancate bonifiche suggerisce che un investimento nel risanamento delle aree SIN potrebbe generare importanti benefici economici. Secondo una stima di Confindustria, un impegno di dieci miliardi di euro nelle bonifiche genererebbe 200mila nuovi posti di lavoro, con un ritorno economico per lo Stato di circa 4,7 miliardi in entrate fiscali e contributi sociali. Il calcolo include le possibilità di impiego nell’ambito dei green jobs e della rigenerazione ecologica, settori in crescita, che nel 2023 hanno toccato i 3,1 milioni di lavoratori, pari al 13,4% degli occupati italiani, secondo il rapporto GreenItaly realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere.

La bonifica mancata: tra fondi e responsabilità

A livello normativo, in Italia esiste il principio “Chi inquina paga”, che obbligherebbe le aziende responsabili dell’inquinamento a finanziare le attività di bonifica. Tuttavia la sua applicazione è spesso difficile e le responsabilità, in molti casi, sono vaghe o difficili da attribuire. Le organizzazioni ambientaliste denunciano la carenza di attuazione di questo principio e chiedono che venga applicato con maggiore rigore. In una recente campagna, Acli, Agesci, Arci, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera hanno lanciato l’iniziativa “Ecogiustizia subito”, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e di stimolare l’azione politica a favore di una giustizia ambientale concreta. La campagna, che partirà il 27 novembre 2024 e toccherà alcune delle aree più colpite, mira a portare visibilità alla problematica e a chiedere impegni certi per il risanamento di queste aree.

Sul fronte delle risorse, il mancato risanamento delle aree SIN si accompagna anche a un problema di investimento per la transizione ecologica. In molte delle aree inquinate, la riconversione economica è rimasta sulla carta mentre in altre i fondi sono stati ridotti, bloccando il potenziale di sviluppo. La carenza di fondi e di iniziative coordinate tra Stato e Regioni è un fattore chiave che – secondo Legambiente – contribuisce al ritardo. Per risolvere questa situazione, gli enti locali e le associazioni ambientaliste chiedono che il governo istituisca una task force dedicata, con la finalità di accelerare il processo di bonifica e di garantire che i fondi vengano utilizzati in modo efficiente.

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