Vai al contenuto

Siamo stati Capaci solo vent’anni dopo

Ci abbiamo messo vent’anni a trovare il commando della strage di Capaci. Venti anni per avere il quadro di una delle stragi che ha disegnato la geografi sociale e politica di questo tempo. Ma siamo stati abbastanza curiosi in questi vent’anni? Noi, le istituzioni?

Le parole di Spatuzza:

“Ricordo che un mese e mezzo prima della strage di Capaci, Fifetto Cannella mi chiese di procurargli una macchina voluminosa, per recuperare delle cose. Ci recammo pertanto con l’autovettura di mio fratello nella piazza Sant’Erasmo di Palermo, dove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro, e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo, ed assieme a lui ci recammo su un peschereccio attraccato al molo, da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Al loro interno vi erano delle bombe”. Durante il tragitto verso Palermo, i mafiosi trovarono un posto di blocco dei carabinieri, ma non furono fermati. Così ricorda ancora Spatuzza: “Una volta arrivati a casa di mia madre, in cortile Castellaccio, scaricammo i bidoni all’interno di una casa diroccata di mia zia, che si trova a fianco”. Il giorno dopo, i “cilindri” furono spostati in un magazzino di Brancaccio: “Lì cominciammo la procedura – spiega il pentito – tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto”. Ma quell’operazione era troppo rumorosa: “Mi resi conto che eravamo all’interno di un condominio, quel posto non era adatto al lavoro”, ricorda Spatuzza davanti ai magistrati di Caltanissetta. Così, l’esplosivo fu trasferito ancora: in un magazzino della zona industriale di Brancaccio dove aveva sede la ditta di trasporti “Val. Trans.”, lì Spatuzza lavorava come autista.

“L’esplosivo che macinavamo era solido, di colore tra giallo chiaro e panna. Lo macinavamo schiacciandolo con un mazzuolo, lo setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia”. Quell’esplosivo prelevato a Porticello non bastò: “Ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala, sempre legati a un peschereccio”, prosegue Spatuzza. Una parte di quella micidiale carica fu consegnata poi a Giuseppe Graviano per la strage di Capaci, una parte servì per la strage Borsellino.

20130416-104722.jpg