Vale la pena riportare le parole che ha pronunciato oggi in Aula Pippo Civati. Vale la pena leggerle, al di là dei legittimi schieramenti politici di ognuno. Perché le truffe hanno bisogno di lucidità per essere smontate. Ecco qui:
È la seconda volta che si ripropone la stessa discussione. La prima volta me la ricordo bene: era il 2015 e uscii dalla maggioranza, non potendo più accettare certe scelte e non volendo conformarmi a comportamenti contrari al mandato elettorale.
Se quella era la volta dell’arroganza, questa è la volta della disperazione. Una mossa della disperazione dopo tanti fallimenti della legislatura che non esito a definire «vergogna».
Una legislatura-vergogna nei modi e nella sostanza. Dopo cinque anni siamo arrivati a una legge elettorale che non garantisce solo i nominati, garantisce soprattutto chi li nomina.
Una legge del Cipolla potremmo dire: una legge elettorale della stupidità, autoritaria nei modi con cui viene approvata, quanto autolesionistica nei risultati.
Pensata per penalizzare gli avversari di un movimento, lo fa crescere e fa crescere anche le destre che il partito del governo dice di volere fermare, proprio le destre con le quali la minoranza di governo – perché di minoranza ormai si tratta – è alleata in quest’operazione.
Fare del male agli altri facendone però di più a se stessi e alla qualità del sistema in generale: questa legge contiene la propria condanna, perché chi di poltrona ferisce, di poltrona perisce.
Nata per tenere insieme uninominale e proporzionale, la legge non è né proporzionale, né uninominale: questa legge è solo pessima.
Sarebbe stato possibile sbloccarla, con il dibattito e con il voto dell’aula, questa legge, possibile e necessario. Con due schede, il voto disgiunto, l’abolizione delle coalizioni, la soglia unica e più consistente, la libera scelta dei candidati nella quota proporzionale.
Invece ci ritroviamo con un trucco, con un uninominale a grappolo in cui il voto non è libero e c’è di fatto un’unica lista bloccata in cui si vede bene il candidato del collegio, abbastanza bene il simbolo e molto poco le liste bloccate che sono ad essi collegate.
Ci ritroviamo con coalizioni fittizie, coalizioni che peraltro esistono solo in Italia, coalizioni precarie, temporanee: coalizioni della domenica. Ci si allea con qualcuno sapendo che poi ci si alleerà con qualcun altro. Coalizioni fedifraghe.
Anche in questo caso la legge fregherà chi si vuol far fregare: Giorgia Meloni lo ha capito, Matteo Salvini – corso in soccorso dell’omonimo – pare proprio di no.
Ci ritroviamo poi con una legge piena di clausole e di eccezioni e non a caso prevede un bugiardino (absit) sulla scheda, cosa più unica che rara.
All’insegna di una certa cultura politica – o, forse, meglio: una sottocultura politica – si rivendica con orgoglio il precedente della “legge truffa” del 1953: segnalo che fu una discussione tormentata e combattutissima, che finì con Andreotti con il cestino sulla testa, Ingrao ferito in piazza, il Presidente della Camera ferocemente contestato, le dimissioni del Presidente del Senato e con una profezia che nemmeno Fassino: perché la legge non raggiunse il suo scopo e fu abrogata l’anno dopo. E quella fiducia non portò certo fortuna a chi la pose, com’è accaduto anche con l’Italicum, peraltro, che qui fu votato.
L’ex premier – il vero franco tiratore di questa storia – impone e forza, com’è suo costume, e Gentiloni obbedisce: ecco non siate troppo gentili con il Capo, siate costituzionali, perché questo è un disastro che provoca sfiducia, non fiducia. È la legge della sfiducia: anche il vostro nume tutelare Giorgio Napolitano vi ha abbandonato.
Volenti non fit iniuria: siccome il voto dei cittadini non potrà essere libero e consapevole in questo marchingegno volutamente complicato e pensato da menti ossessionate dal potere a tutti i costi, lo sia il vostro.
Care colleghe, cari colleghi, almeno una volta in questa legislatura, siate liberi.