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Sibilla Barbieri e la tortura di Stato

“Per anni Sibilla si è battuta per vivere, poi ha scelto l’aiuto del figlio Vittorio, accettando la sua richiesta di accompagnarla, con coraggio, anche rispetto alle conseguenze che potrebbero esserci per lui. Non è possibile interpretare in modo diverso la sentenza della Consulta: Sibilla era dipendente da trattamenti di sostegno vitale, quindi negarle quel diritto ad autodeterminarsi è stata una violenza di Stato”: sono le parole di Marco Cappato che ieri si è autodenunciato per l’assistenza al suicidio offerto a Sibilla Barbieri, paziente oncologica terminale costretta ad andare in Svizzera perché in Italia le era stato negato il diritto al suicidio assistito. Ad autodenunciarsi è stato anche il figlio di Sibilla Barbieri, Vittorio Parpaglioni, insieme a Marco Perduca dell’Associazione Coscioni. 

Durante la conferenza stampa hanno ricordato come Barbieri avesse i requisiti per l’aiuto medico alla morte volontaria previsti dalla sentenza Cappato – Antoniani (ovvero, che la persona sia capace di autodeterminarsi, sia affetta da patologia irreversibile, che tale malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale). Proprio per questo hanno deciso di presentare due esposti contro l’Asl della regione Lazio, per chiedere di verificare se nei protocolli e nelle procedure possano ravvisarsi reati. “Per noi si configura anche il reato di tortura“, ha spiegato Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni.

Uno Stato che decide di non decidere, sulla pelle dei malati.

Buon mercoledì. 

Nella foto: Sibilla Barbieri, frame del video-appello dalla pagina fb Liberi fino alla fine

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