La lettera pubblicata su I Siciliani Giovani, che condivido:
Signor Presidente,
il quotidiano La Sicilia non è “la voce delle forze impegnate nella legalità”; Lei sbaglia a dirlo. La Sicilia non è stata affatto, e non è tuttora, voce d’impegno civile, ma esattamente l’opposto.
Ha combattuto Scidà, ha esaltato i Cavalieri, ha intimidito pentiti, ha insultato Beppe Montana e Giuseppe Fava. Ha ospitato dei boss, sulle sue pagine e fisicamente. E in questo preciso momento essa è inquisita – in persona del suo proprietario – per eventuale collusione con mafiosi. È inquisita da magistrati che dipendono dal Csm, di cui Lei – signor Presidente – è il massimo garante. Son giudici coraggiosi, devoti all’ordine, e non terranno conto delle Sue parole. Ma se non lo fossero stati? Se esse, senza volerlo, avessero poi contribuito a salvare un reo?
Se sotto indagine fosse stato un santo, Lei avrebbe dovuto esitare a parlare – in bene o in male – di questo santo: per scrupolo, per timor d’influire anche minimamente nel giudicato. E qua non si trattava d’un santo, come Catania sa bene.
Scriviamo queste parole non con polemica, non col tono che avremmo usato per un Napolitano o un Cossiga, ma – signor Presidente – con dolore. Lei non è uno dei tanti politici, Lei è dei nostri. Di noi che per decenni abbiamo combattuto – ma questo è il meno – e che abbiamo dovuto chiamare generazioni di giovani a lottare e a soffrire insieme a noi, chiedendo sacrifici e offrendo pericoli, con l’unica ricompensa di servir fedelmente ciò a cui Lei, salendo alla nostra Repubblica, ha giurato.
Mai più, signor Presidente. Mai più di questi dolori.