Nel numero di questa settimana di LEFT (in edicola a partire da ogni sabato) abbiamo voluto vedere “da sinistra” l’elezione del Presidente della Repubblica e i fatti della settimana. Si apre così la mia collaborazione con il settimanale e quindi se cercate LEFT dentro troverete (anche) me. Questo è il mio editoriale di questo numero:
Quando ero bambino una volta alla settimana toccava obbligatoriamente la minestrina. Non si sfuggiva: ogni settimana era un supplizio inevitabile condito dall’entusiasmo descrittivo di mia madre che me la impiattava con iperbolici aggettivi ogni settimana nuovi e diversi, eppure ogni settimana era poi sempre solo la solita minestrina. Un mio compagno di giochi, avremo avuto sì e no cinque o sei anni, mi raccontò di essere riuscito a superare la minestra di casa convincendosi che fosse buonissima. «Ma ti piace?», gli chiesi e lui: «No, ma se mi convinco che è buona prima o poi magari la mangio volentieri». Fu così che capii che i problemi sono spesso comuni ma le soluzioni invece sono molto differenti.
Matteo Renzi, in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, come spesso accade, ha voluto essere la mamma con la minestrina obbligatoria e contemporaneamente l’amichetto furbo che ti aiuta a scamparla, e non stupisce che ci sia riuscito ma atterrisce il come: ha capito che per portare a compimento il proprio processo politico (rivestire di sinistrofila modernità la stantia democristianità) serviva aggiungerci i sapori giusti dell’antimafia, del lutto, della mitezza, di un consono cattolicesimo, e il menù fisso sarebbe stato un successo. E infatti i sempiterni democristiani Fioroni e Rosy Bindi (ma anche qualche forzaitaliota e i nuovicentrodestri) hanno pianto lacrime di gioia sull’elezione di Sergio Mattarella. Dicono che Renzi sia stato bravissimo a trovare un candidato che il centrodestra non poteva non votare, scrivono i giornali in uno spaventoso coro unanime che Renzi ha spaccato il centrodestra, esultano i morotei, esultano i miglioristi, esultano i fanfaniani.
E la sinistra? Non pervenuta: inghiottita nel conformismo del pensiero unico e disarmata dall’odore di incenso. Non sia mai che si parli di un famigliare vittima di mafia uscendo dal pietismo piallante, non sia mai che si metta in discussione un democristiano solo perché democristiano, un cattolico solo perché cattolico, o un politico solo perché riservato: in questo Paese la mediazione al ribasso è una vittoria politica, il servilismo intellettuale un cromosoma trasversale e il dibattito è solo un esercizio stanco da campagna elettorale e così la laicità, la lotta sindacale, i diritti (verrebbe da scrivere: la sinistra) sono stati sospesi per apparecchiare tranquilli al nuovo Presidente.
I resti della “sinistra” (a sinistra del Pd e a sinistra nel Pd) ci dicono che poteva andare peggio, anzi ci invitano a brindare, ad apprezzare l’unità popolare, da Sel addirittura sottolineano che fu quello stesso Mattarella che si dimise per protesta contro Berlusconi e il voto sulla legge Mammì (era il 1990: Matteo Renzi aveva 15 anni, per dire) e che anzi dovremmo tutti concordare sul fatto che l’assenza dal dibattito politico sia un requisito presidenziale obbligatorio. No, scusate, non mi convinco, no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale, per raccontare un’altra storia (come si diceva da queste parti prima di diventare tutti così vecchi e fiacchi).
Eravamo ai preliminari con i safari “sinistrosi” tra Syriza e Podemos, ci siamo sorbiti i pavoneggianti delle Leopolde sinistre e ora dovremmo esultare per la minestrina? No, grazie. Grazie, no. Scrive Mark Cirino che «la gente che dorme sotto la coperta del conformismo riposa bene, si fa le sue belle otto ore di sonno, ma fa sogni squallidi». Noi qui facciamo tanto per stare svegli, invece.