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La solidarietà impossibile per Nino Di Matteo

si-muore-quando-si-e-lasciati-soliPino Maniaci è arrivata la telefonata di Matteo Renzi in persona: “Pino vienimi a trovare a Roma”, ha detto il premier manifestando solidarietà al giornalista, minacciato per l’ennesima volta, con il macabro atto dei cani impiccati. Una telefonata simile a quella fatta dal premier pochi giorni fa, quando sotto minaccia era finita il pm di Latina Lucia Aielli: anche in quel caso dal centralino di Palazzo Chigi era partita la chiamata di solidarietà di Renzi. Pochi mesi fa, invece, a squillare era stato il telefono di don Luigi Ciotti: “Farà la fine di Don Puglisi“, aveva sentenziato Totò Riina, intercettato dalla Dia nel carcere milanese di Opera mentre chiacchierava col compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso. A stringersi giustamente attorno al fondatore di Libera erano arrivati i messaggi di solidarietà di tutta la classe politica, dal Nuovo Centro Destra a Sel, passando dai Cinque Stelle. Poi, dopo l’ormai classica chiamata di solidarietà di Renzi, era arrivata la telefonata di Giorgio Napolitano in persona.

Uno solo è il numero di telefono che i centralini di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale non hanno mai composto: quello di Nino Di Matteo, il pm della Trattativa Stato mafia. “Gli farei fare la fine del tonno, lo faccio finire peggio del giudice Falcone” aveva detto Riina, emettendo la sua sentenza di morte. Un ordine che, come ha svelato il neo pentito Vito Galatolo, è in fase esecutiva dal dicembre del 2012. Il piano di  un attentato al tritolo svelato nei dettagli dall’ex picciotto dell’Acquasanta è stato preso sul serio dalla procura di Caltanissetta e dal prefetto di Palermo Francesca Cannizzo: messo al corrente del racconto di Galatolo, il ministro Angelino Alfano si è affrettato a convocare una riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza.  E anche il governo ha agito di conseguenza inserendo proprio ieri un emendamento alla legge di Stabilità che prevede lo stanziamento di sei milioni di euro per realizzare misurestraordinarie di sicurezza al Palazzo di giustizia di Palermo. Palazzo Chigi, dunque, ritiene credibile il progetto di strage annunciato dal pentito, al punto da mettere a disposizione una cifra considerevole (in tempi di spending review) per fare del Palazzo di Giustizia un vero e proprio fortino, ma il telefono del pm condannato a morte è rimasto muto: nessun messaggio da Renzi, nessun cenno, neppure minimo, di solidarietà da parte del Quirinale.

E se da Roma i messaggi di vicinanza per Di Matteo o sono generici oppure semplicemente non esistono, a Palermo non va certo meglio: a parte il sindaco Leoluca Orlando, e qualche esponente del Pd o del Movimento Cinque Stelle, per la classe dirigente cittadina il pm della Trattativa semplicemente non esiste. Nessun messaggio da parte della Palermo dei professionisti, neppure quelli dell’antimafia, sempre impegnati in continui convegni per ragionare sul problema Cosa Nostra, sordi e ciechi di fronte al piano dettagliato di un attentato, con il tritolo già pronto per essere piazzato nel centro della città.

E se la solitudine di Di Matteo si percepisce anche soltanto avvicinandosi al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo, ancora irrisolta è la questione sicurezza.”Mi risulta che Di Matteo sia protetto nel migliore dei modi”, assicura il presidente del Senato Piero Grasso, sulla stessa lunghezza d’onda del procuratore antimafia Franco Roberti: “A Di Matteo sono state assicurate misure di altissimo livello di protezione. Bisogna tenere sempre alta la guardia, in questo momento il collega è particolarmente esposto per le cose che ha fatto e per quelle che fa, quindi va tutelato e sostenuto”. Di segno opposto il parere degli uomini della scorta del pm: “L’unico strumento che ci può salvare la vita è il bomb jammer” dicono, riferendosi al congegno elettronico capace di neutralizzare i telecomandi che attivano gli ordigni esplosivi.  “Il bomb jammer per Di Matteo? E’ già stato messo a disposizione” assicurava Alfano dopo le minacce di Riina. Era il dicembre del 2013: da allora sono passati dodici mesi, è arrivata la confessione di Galatolo sul progetto attentato da mettere in pratica con un’autobomba, ma il bomb jammer per Di Matteo non è mai arrivato. Anzi è arrivata quasi una mezza marcia indietro del Ministro dell’Interno. “Si è parlato con troppa superficialità di bomb jammer: ci sono state riunioni in questi giorni e lo Stato sta mettendo a punto tutti i dispositivi necessari per proteggerlo da congegni elettronici di attivazione dei telecomandi delle bombe senza però creare danno alle apparecchiature elettroniche che possono trovarsi vicino al suo passaggio”.

Riunioni e studi che sarebbero, si presume, ancora in corso. E mentre a Palermo si aspetta il bomb jammer, Di Matteo continua a lavorare ogni giorno per servire lo Stato: lo stesso Stato che sembra lasciarlo ogni giorno più solo.

(fonte)

(Per firmare la petizione e il mailbombing potete andare qui)