Ho appena finito di leggere Sottomissione di Michel Houellebecq e devo dire che pur avendolo acquistato sull’onda emotiva dei fatti di Charlie Hebdo è un romanzo che vale la pena di leggere e vale la pena lasciare decantare. Houellebecq è innanzitutto un grande romanziere e quindi non è difficile appallottolarsi sotto il calore della sua scrittura ma nella Parigi di un indeterminato futuro in cui il protagonista del libro vive l’ascesa al governo del partito musulmano ci sono molti tratti dell’europa di oggi. Sì, dell’Europa piuttosto che l’Islam, perché Sottomissione è soprattutto un romanzo sulla nostra ignoranza del cambiamento, sull’essere maleducati nel cogliere le differenze di un ambiente che ci modifica sotto traccia, infidamente liquido, portandoci alla sensazione di una naturale accettazione del corso degli eventi. In fondo anche a noi (come a François, studioso di Huysmans e protagonista del libro) è capitato in questi ultimi anni di impegnarci a cambiare il mondo senza mai avere imparato a farci cambiare dal mondo, sempre fissi sulle nostre convinzioni tradendo un ostinazione come compiacente virtù piuttosto che una sclerotizzazione delle nostre antenne che ascoltano là fuori. E forse davvero anche noi siamo finiti per riconoscere (senza avere il coraggio di confidarlo a nessuno) che la sottomissione, nostra e delle nostre aspirazioni, ha qualcosa di vergognosamente comodo e confortante. Mancanza di responsabilità, ecco, come condono sempre valido.
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